Antonello Patta* -
Gli applausi a scena aperta con cui il consiglio dei ministri ha accolto l’illustrazione della manovra di bilancio sono i sintomi più chiari dell’unità delle forze politiche sulla linea neoliberale rappresentata oggi in italia al massimo livello da Draghi. Ritorno anticipato, perfino rispetto a quanto richiesto dall’Europa, a una ferrea disciplina di bilancio nel rispetto dei vincoli di Mastricht, priorità al taglio delle tasse rispetto alla sostenibilità sociale, progressiva eliminazione di tutti i vincoli al mercato del lavoro e nessun intervento pubblico sull’occupazione in nome del primato del libero mercato, attacco al pubblico e rilancio delle privatizzazioni nel nome dei principi cardine della concorrenza e della competitività. Sono alcuni delle linee di fondo riscontrabili in tutti i documenti di economia e finanza varati dal governo nell’ultimo anno.
Una Manovra già scritta…
La condivisione dei saldi di bilancio della manovra prefissati e indiscutibili da parte di tutti i partiti al governo mostra chiaramente come assomiglino a un farisaico gioco delle parti, un teatro tutto a fini di consenso elettorale, le richieste di aumenti avanzate dai sodali di governo su uno o l’altro dei capitoli di spesa.
Tutto era già scritto a chiare lettere nel momento in cui le forze della maggioranza hanno approvato la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza che conteneva già i saldi di bilancio della manovra chiaramente insufficienti per coprire gli interventi che oggi, come ha evidenziato la pandemia, sarebbero indifferibili: investimenti cospicui su strutture e organici di scuola, sanità e pubblica amministrazione, il pensionamento definitivo della riforma Fornero con aumento delle pensioni attuali e pensioni future dignitose per giovani e donne, un vero reddito di cittadinanza sottratto ai vincoli che ne fanno uno strumento di precarizzazione del lavoro, un sistema fiscale progressivo che riporti nelle tasche di lavoratori dipendenti e pensionati i 200 miliardi trasferiti ai ricchi negli ultimi decenni.
Cosa ancor più grave è che questo sia avvenuto riducendo al 9,4 il deficit del 2021 rispetto all’11,8% programmato e non messo in discussione dalla UE: si è cioè rinunciato a spendere più di 40 miliardi che avrebbero potuto rispondere a domande sociali ineludibili rinvigorito i consumi e quindi giovato a tutta l’economia.
Lo si è fatto nonostante proprio in corso d’anno sia stato dimostrato che la spesa pubblica, e non la riduzione delle tasse e i tagli, fanno crescere l’economia e ridurre il debito: il debito previsto per il 2021 al 159%, grazie alla notevole entità della spesa pubblica nel 2021, si è attestato nelle previsioni della Nadef al 153%.
L’adesione di tutta la compagine di governo al pensiero unico neoliberista con l’accettazione delle gravissime conseguenze sociali e la miopia sugli effetti per l’economia del paese è confermata dal fatto che è stato ratificato un rientro accelerato nei parametri dei patti europei nonostante la previsione condivisa che con queste limitazioni di bilancio nel 2023 la crescita italiana si attesterà molto al di sotto di quella europea e lontanissima da quella mondiale.
….Che non risponde alle domande sociali
Per quanto riguarda la manovra di bilancio il giudizio non può che essere pesantemente negativo sia sul piano dei contenuti sia per quanto riguarda le valutazioni che ne hanno fatto i diretti protagonisti.
E’ una manovra che non dà nessuna risposta strutturale al disagio sociale e alle povertà diffuse, alla necessità di investimenti nella scuola, nella sanità e nella pubblica amministrazione, al problema della precarietà, della disoccupazione e dei bassi salari, esaspera le iniquità di un fisco ingiusto.
L’esame del Parlamento potrà produrre modifiche di aspetti secondari, all’interno di un budget limitato già definito ma non inciderà significativamente sulle questioni di maggior interesse sociale: fisco, pensioni, reddito di cittadinanza.
IL fisco
La legge è segnata pesantemente dalla priorità data al taglio delle tasse che è da sempre una bandiera delle destre e di confindustria a scapito della tenuta dei conti pubblici e delle misure di tipo sociale; un “ricco antipasto alla delega fiscale” gongola il giornale di Confindustria. Si spiega cosi l’enfasi data dal presidente del consiglio al fatto che il taglio delle tasse pesa per il 40% per cento della manovra e salirà a 40 miliardi nei prossimi 3 anni. A guadagnare saranno soprattutto ancora una volta le imprese con una riduzione dell’Irap di cui è già stata prevista l’eliminazione nella delega fiscale, un regalo di 12 miliardi, a tanto equivale quella pagata dai privati.. Lontana dalle intenzioni del governo qualsiasi ipotesi di revisione del fisco in senso progressivo a vantaggio dell’insieme di lavoratori dipendenti e pensionati e di introduzione di prelievi su grandi ricchezze e patrimoni. Per quanto riguarda il lavoro le proposte su cui discuterà il parlamento sono diverse, ma quella che raccoglie le maggiori adesioni tra i partiti, indicata anche dal documento d’indirizzo delle commissioni finanze è quella della sola riduzione dell’aliquota del 38% applicata oggi ai redditi tra 28 mila e 55 mila euro all’anno; meno probabili anche se non del tutto esclusi interventi che agiscono sulle detrazioni piuttosto chesul bonus 80 euro.
Le pensioni
Scandaloso il capitolo sulle pensioni. Quota 102 varrà solo per l’anno prossimo, l’età per andare in pensione è aumentata da 62 a 64 anni e dal 2023 tornerà pienamente in vigore la riforma Fornero con l’età minima a 67 anni e tutte le misure che spingono ad allungare senza fine la vita lavorativa. Un vero e proprio imbroglio che secondo un’analisi della fondazione Vittorio permetterebbe l’uscita cosiddetta anticipata a meno di 10 mila lavoratrici e lavoratori. Per quanto riguarda le donne l’età per andare in pensione con opzione donna si allunga da 58 a 62 anni restando sempre 35 gli anni di contributi richiesti e le forti penalizzazioni dell’assegno pensionistico. Niente si dice sulle future pensioni dei giovani attualmente al lavoro.
Al danno si aggiungono le parole offensive di Draghi quando dichiara che però dal 2023 si potrà discutere di riforma delle pensioni, cosa che ridicolmente la Lega attribuisce a proprio merito.
Il reddito di cittadinanza
Le misure sul reddito di cittadinanza inserite dal governo Draghi nella manovra di bilancio stanno nel solco della progressiva trasformazione dell’welfare in workfare, il modello di matrice neoliberale che condiziona il reddito all’accettazione di un lavoro qualsiasi, anche precario, a breve termine, sottopagato. Le cifre stanziate sono del tutto insufficienti rispetto alla platea 1,7 milioni di famiglie, 3,8 milioni di persone, attualmente sostenute dal reddito di cittadinanza; infatti sono previste restrizioni ( da chiarire) sui requisiti per l’accesso che ridurranno la platea degli aventi diritto, sono previste riduzioni dell’assegno dopo 6 mesi o in caso di rifiuto della prima offerta di lavoro e si riducono da tre a due il numero delle offerte congrue rifiutabili dalle persone in carico. Da tenere presente che non è mai stato chiaro cosa sia un offerta di lavoro congrua, lasciando ampi margini di arbitrarietà a svantaggio del lavoratore e che la seconda offerta di lavoro non rifiutabile pena la decadenza del reddito può obbligare le persone a spostarsi su tutto il territorio nazionale. Questo avviene anche perché i nostri apprendisti stregoni si sono accorti che il sistema architettato, nella versione grillina della legge, per costringere a un lavoro qualsiasi non funzionava per il semplice motivo che in molte parti d’Italia, specie al sud non si arrivava mai a ricevere tre proposte di lavoro. E naturalmente non c’è nessuna intenzione di avanzare il piano del lavoro che sarebbe necessario perché questo confliggerebbe con le sacre leggi del mercato. Da sottolineare l’aumento del ruolo delle agenzie private rispetto ai centri per l’Impiego.
Anche con queste misure prosegue dunque il percorso di attacco ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori per renderli sempre più ricattabili nella prospettiva di una completa subordinazione del lavoro al capitale. La lega e le destre brindano, gli alleati di governo, Pd e 5 stelle, non si stracciano le vesti.
Una manovra da respingere con la lotta
Nella manovra troviamo tante altre voci di spesa che vanno nei rivoli più diversi spesso ripercorrendo lo strumento disorganico dei bonus anche in relazione alle attività di lobbing di partiti e poteri economici che andranno analizzate in rapporto al dibattito parlamentare. Alcune concorrono sfacciatamente a dare il segno della direzione di marcia di questo governo. Si va dall’eliminazione del cashback inviso alle destre contrarie da sempre a ogni strumento che possa far emergere evasione e illegalità al rinvio di un altro anno delle tasse su bevande zuccherate e plastica monouso; Ma più in generale è confermato un grande trasferimento di risorse alle imprese cui vanno diversi miliardi per stimolare l’innovazione, o la transizione climatica e addirittura la proroga per un anno del superammortamento per beni strumentali tradizionali.
Di fronte a queste scelte il sostegno convinto delle sedicenti sinistre di governo e la riedizione da parte delle confederazioni sindacali di una posizione simile a quella tenuta nei confronti dell’approvazione della legge Fornero rischiano di produrre effetti sociali catastrofici.
L’unica risposta all’altezza della sfida del momento è il rilancio di un vasto e unitario movimento di lotta a partire dallo sciopero generale nazionale.
*responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea