L'unione Europea interviene di nuovo sulla piaga del lavoro precario nella pubblica amministrazione in Italia. La Commissione ha intimato ancora una volta al nostro paese di smetterla con l'abuso nel ricorso a lavoratori e lavoratrici a tempo determinato nel settore pubblico e con le discriminazioni verso gli stessi.
Stiamo parlando di un sopruso che colpisce centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratrici che tengono in piedi funzioni pubbliche fondamentali e servizi indispensabili per i cittadini che senza di loro collasserebbero.
Tra questi, per fare solo alcuni esempi, 250 mila insegnanti, uno su quattro, che tengono in vita la scuola pubblica e gestiscono la formazione delle future generazioni; decine di migliaia di operatori sanitari grazie ai quali sopravvive un sistema sanitario sottofinanziato, carente di organici e di strutture; migliaia di lavoratori di servizi essenziali come i vigili del fuoco, e l’elenco potrebbe continuare.
E’ un riassunto, parziale, dell’attacco brutale dei diritti dei lavoratori e della distruzione del pubblico perseguiti da decenni da governi di ogni colore uniti nelle politiche liberiste.

La Commissione ha contestato con l’invio di un “parere motivato” la violazione della norma UE, la direttiva 1999 del 70, che prescrive il divieto di discriminare i lavoratori a tempo determinato. Se il governo attuale non interverrà entro due mesi la Commissione potrà deferire il caso alla Corte di Giustizia.
Il governo Meloni non è il solo su cui la Ue è dovuta intervenire contro il proliferare dei contratti precari, lo aveva già fatto avviando la procedura d’infrazione nel 2019 e con una nuova messa in mora nel 2020.
Sono cambiati tre governi, sono cambiati i partiti nei ministeri, le vessazioni nei confronti delle lavoratrici e di lavoratori restano.
Solo le lotte e la crescita di una soggettività politica fuori dalle logiche del pensiero unico neoliberista potranno avviare il cambiamento oggi più necessari che mai.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

di Antonello Patta* -

Il costo della vita continua a colpire sempre di più l’Italia rispetto agli altri paesi e in Italia soprattutto i ceti popolari. I dati Eurostat dicono che l’inflazione a marzo nell’area euro dovrebbe attestarsi sul 6,9%, in Spagna al 3%, ma in Italia all’8,2%. Quindi non va proprio bene come ci raccontano le destre al governo e i media al loro servizio a partire dalla Rai.

Ma è guardando dentro questo dato generale che emerge come a essere colpiti duramente sono i ceti popolari i cui magri salari finiscono in gran parte nel carrello della spesa. L’inflazione sui beni alimentari registra infatti anche a marzo tassi sopra il 15% facendo ben capire perché i consumi delle famiglie siano diminuiti nel 2022, siano raddoppiate rispetto al 2021 le famiglie in gravi difficoltà a fare la spesa e tutte le stime prevedano un peggioramento nel 2023. Nel frattempo sono aumentati i profitti, sempre a due cifre, delle catene dei discount cui le famiglie popolari sono costrette a rivolgersi per far quadrare i conti. Tutto questo, il caro prezzi che non accenna a finire, avviene, lo denunciano fonti Bce, non a causa dello spettro degli aumenti salariali, che sono fermi e quindi diminuiscono, ma a causa degli aumenti ingiustificati dei profitti delle aziende che hanno colto l’occasione per aumentare i prezzi a dismisura.

Il governo cosa fa? Continua con le politiche di austerità del governo precedente verso i ceti popolari, taglia la spesa pubblica, colpisce i lavoratori e i poveri, mentre dirotta le risorse pubbliche a sostenere rendite e profitti, taglia le tasse ai ricchi e vara norme che favoriscono l’evasione e la corruzione.
La Francia indica la strada che in Italia sarebbe ancora più urgente percorrere: quella della ripresa delle lotte per aumenti generalizzati dei salari e delle pensioni, per una nuova scala mobile, per prezzi e tariffe calmierati. E occorre subito l’introduzione di un salario minimo per legge.

*Responsabile lavoro, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

Sono quasi 2.000 i lavoratori irregolari scoperti dalla guardia di finanza nella cantieristica navale di Venezia retribuiti con paghe misere e privati dei più elementari diritti. Da anni era nota la situazione di sfruttamento e illegalità all'interno della Fincantieri basata sul ricatto della Bossi Fini , sulle minacce e intimidazioni dei caporali, sulla connivenza della stessa direzione dello stabilimento
Da anni denunciamo come nel sistema degli appalti e dei subappalti senza fine si annidino spesso le più brutali forme di sfruttamento, il ricorso a tutte le peggiori forme di precarietà, gli orari di lavoro impossibili e i salari da fame resi possibili dalla ricattabilità dei lavoratori, specie quando migranti.
Ricattabilità iscritta in tutte le leggi che hanno permesso di precarizzazione del lavoro e il proliferare ovunque del sistema degli appalti. Una devastante riduzione dei diritti di cui centrodestra e centro-sinistra portano la responsabilità
Adesso con l'iniziativa della magistratura e con le recenti denunce finalmente accolte della Fiom il verminaio è sotto gli occhi di tutti e non c'è più la possibilità per qualcuno di fare finta di non vedere per decenni.
È ora di dar vita a una grande stagione di lotte per il salario e i diritti che sono tutt’uno con quelle contro la precarietà e lo sfruttamento alla Fincantieri come in ogni altra realtà.
Facciamo anche in Italia come i lavoratori e le lavoratrici francesi.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Paolo Benvegnù, segretario regionale del Veneto
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

A distanza di quasi 2 anni dai licenziamenti via mail, sconfitti con la lotta, i lavoratori della Gkn continuano ad essere un esempio straordinario per la loro resistenza, la capacità di costruire la convergenza con le altre lotte per il lavoro, quelle sociali e ambientali, di unire le competenze per progettare forme alternative di produzione.

Fallito il blitz dei licenziamenti la nuova proprietà presunta, gli accordi di acquisto con Gkn sono riservati, ha giocato la carta del logoramento dei lavoratori rinviando continuamente la realizzazione di promesse di reindustrializzazione che non aveva evidentemente intenzione di realizzare; in ciò spalleggiato dalla complicità delle istituzioni interessate.

La forza intelligente dei lavoratori ha resistito anche al tentativo feroce di piegarli lasciandoli senza stipendio da novembre 2022, è di ieri la sentenza del tribunale di Firenze che condanna la proprietà a pagare gli stipendi pieni dal 9 ottobre 2022, e continuano determinati la loro lotta in difesa dei posti di lavoro contro lo smantellamento di un’altra realtà industriale importante per i territorio.

Un esempio straordinario di resistenza certo, ma non solo. Con le loro parole d’ordine, uniamoci e insorgiamo, i lavoratori della Gkn hanno indicato la possibilità concreta e le grandi potenzialità insite nell’unificazione di lotte, vertenze e movimenti per sconfiggere l’offensiva neoliberista e far crescere la consapevolezza dell’alternativa necessaria. Con il loro progetto industriale di riqualificazione ecologica e mutualistica dell’azienda rappresentano una risposta innovativa e una denuncia dell’assenza del pubblico e di politiche industriali indispensabili per salvaguardare ‘occupazione e le produzioni all’interno di una riconversione ecologica e sociale dell’economia.

Sosteniamo la lotta dei lavoratori della Gkn fino alla vittoria perché il suo esito ci riguarda tutte e tutti. quelle/i che non si rassegnano alla devastazione sociale prodotta dal neoliberismo.
Domani 25 marzo saremo a Firenze e invitiamo ad accogliere l’invito dell’Assemblea permanente a sostenere la campagna di crowdfunding per la reindustrializzazione autogestita.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Antonello Patta, responsabile nazionale Lavoro
Lorenzo Palandri, segretario di Firenze
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

Nonostante che questa interpretazione sia stata smentita dalla banca in un incontro con i sindacati aziendali (riducendo il tutto ad una bega tra banchieri), si tratta di un potenziale pesante attacco al Contratto Nazionale di categoria che, oltre tutto, viene sferrato proprio alla vigilia dell’apertura delle trattative per il suo rinnovo. Intesa Sanpaolo dice che “affiancherà” (!!) l’ABI nel percorso negoziale ma è del tutto evidente che, se i risultati finali non saranno ritenuti adeguati, potrà decidere di procedere sulla strada “secessionista” e farsi un contratto “tutto suo”. È una notizia bomba per le relazioni sindacali del settore, sicuramente inattesa ma che, letteralmente, non si può definire “un fulmine a ciel sereno”; era da tempo, infatti, che stavano addensandosi nubi nere, foriere di sinistri presagi. Nel descrivere il contesto, vogliamo partire da una notiziola di inizio anno che non ha avuto particolari echi di stampa (tranne che sull’inesistente “Corriere dell’avidità”).

Alludiamo al fatto che, Intesa Sanpaolo, primo gruppo bancario del paese che ha chiuso il bilancio 2022 con un utile di quasi 4,5 miliardi di euro, con un comunicato tutto sostenibilità ed ecologia (un clamoroso, e un po’ ridicolo, esempio di greenwashing) ha annunciato la decisione di togliere l’acqua calda da sportelli ed uffici, iniziando a procedere di conseguenza. Fortunatamente, dopo qualche giorno, l’intervento degli RLS (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza) ha costretto i manager ad una precipitosa marcia indietro (alcune leggi ancora esistono…). Una semplice provocazione? Può darsi. Tuttavia, l’episodio è indicativo di come, sempre più spesso, siano proprio gli RLS a svolgere un ruolo succedaneo (sostitutivo?) dei sindacati aziendali nel provare a contestare, sulla base di leggi e normative vigenti, le scelte padronali che puntano a ridisegnare a proprio piacimento gli ambienti di lavoro e le modalità del loro utilizzo (il “next way of working”) ed a scaricare su lavoratrici e lavoratori i costi diretti ed indiretti della “produzione” (e le connesse tutele) quanto questa venga svolta in una qualche stanza del proprio appartamento, naturalmente ribattezzata smart. La questione centrale è che, da alcuni mesi e con una progressione inquietante, i vertici della banca hanno deciso di buttare nella spazzatura (senza più nemmeno infingimenti formali) la vecchia (e dannata) prassi della concertazione, procedendo in una serie di iniziative unilaterali che toccano le colonne portanti della contrattazione collettiva: il salario e l’orario.

La “modernità” delle proposte su settimana corta e smart working (propagandata con enfasi dalla stampa amica) nasconde, in realtà, quanto di più antico ci sia nei desiderata dei padroni: frantumare la compagine lavorativa, individualizzare i contratti, trasformare i diritti in richieste sottoposte al potere del ricatto. Una scelta arrogante, per l’appunto, e secondo molti persino “sciocca” dal momento che i sindacati aziendali (che vengono umiliati e marginalizzati) non si sono certo distinti, per lo meno negli ultimi quindici anni, per combattività e radicalità; gli ultimi scioperi di gruppo, per limitarsi ad un esempio, si perdono nella notte dei tempi. Ed è particolarmente significativo il fatto che la banca abbia deciso di disdettare anche quell’accordo del 2017 che introdusse il mostruoso “contratto ibrido” (che mette insieme, nella stessa figura professionale, il lavoro subordinato e quello autonomo) ed i cui destinatari, infatti, sono stati popolarmente definiti “minotauri”. Per quell’intesa (definita “sperimentale”) i sindacati aziendali ricevettero non pochi rimbrotti da parte delle sigle di settore (e non era la prima volta…) in quanto era evidente il suo carattere potenzialmente eversivo rispetto alla tenuta del contratto nazionale.

Ora, a far saltare l’accordo, è stato sufficiente il rifiuto sindacale a rimuovere l’unica clausola in qualche modo tutelante (la possibilità per i “minotauri” di diventare lavoratori dipendenti a tempo pieno dopo due anni). Infastidita da lacci e lacciuoli la banca proverà anche qui ad andare avanti da sola, non bastandole più la pratica vendicativa di spostare a centinaia di chilometri di distanza dalla loro residenza i poveri “minotauri” che decidono di lasciare “l’esperimento”. E a proposito di ripicche, dietro lo schiaffone tirato all’ABI, c’è chi ha voluto vedere il fastidio per il fatto che il CASL (Comitato per gli affari Sindacali e del Lavoro), proprio l’organismo al quale è stata ritirata la fiducia, è stato affidato da dicembre scorso ad un esponente di Unicredit dopo anni nei quali era quasi sempre stato diretto da un alto dirigente di Intesa Sanpaolo. Per carità, ci sta tutto (viste anche le dichiarazioni della banca), anche se il contesto descritto induce a pensare a motivazioni ben più di sostanza. È la dottrina Marchionne (afflitta sin dalla nascita dalla sindrome dei “primi della classe”) che prova a farsi strada nel settore. In realtà, per quanto concerne il comparto assicurativo, un precedente c’era già stato nel 2014 con l’uscita di UnipolSai da ANIA (ahi, lo spirito cooperativo!!). Ma questa volta la dimensione del problema è decisamente diversa. Intesa Sanpaolo, forte dei tanti favori scambiati con i governi di ogni sfumatura del solo colore possibile, è un attore chiave dell’economia nazionale.

Non solo è la prima banca del paese ma è anche il primo datore di lavoro privato in assoluto e occupa quasi un terzo dei dipendenti oggi coperti dal contratto ABI. E ora, naturalmente, occorrerà vedere le contromosse di Unicredit, che, già anni fa, si vociferava avesse intenzioni simili. Non è da escludere che i bancari potrebbero anche non avere più, nel prossimo futuro, un vero e proprio contratto nazionale di riferimento. In fondo sono passati solo dodici anni da quando Fiom, sinistra Cgil e sindacati di base invocavano lotte più incisive ricordando che quello che stava capitando in Fiat poteva, presto o tardi, toccare a chiunque altro. Occorre purtroppo ribadirlo. I padroni, i ricchi, i potenti stanno vincendo la lotta di classe anche perché sono perfettamente consapevoli di combatterla ed aprono costantemente nuovi fronti alimentando quella spirale, in apparenza inesorabile, che punta alla svalorizzazione del lavoro a vantaggio di profitti e rendite. Rifondazione Comunista si impegnerà affinché le lavoratrici ed i lavoratori di Intesa Sanpaolo e di tutto il settore acquisiscano rapidamente piena consapevolezza della portata dello scontro che si è aperto e premano sulle organizzazioni sindacali perché escano da quell’angolo nel quale, con concorso di colpa, si sono fatte cacciare.

Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
Dipartimento Lavoro
Ufficio Credito ed Assicurazioni

Il taglio del reddito di cittadinanza proposto dal governo Meloni è un'infamia. Questo è un governo classista che riesce a essere più antipopolare di Draghi. Non si vive con 375 euro al mese. Ma non basta: si riceverà solo per un anno, prorogabili di 6 mesi, poi sospensione per 18 durante i quali non si capisce come possano vivere i disoccupati. Inoltre si abbassa la soglia ISEE per avere diritto da 9360 euro a 7200.

Questo è un governo contro i poveri. Quelli che arrivano dal mare li fa morire annegati, quelli che vivono in Italia li farà morire di fame.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale e Antonello Patta, responsabile lavoro di Rifondazione Comunista

Oggi, 7 marzo, la Francia si ferma in occasione di un nuovo sciopero generale contro il progetto di legge che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni voluto caparbiamente da Macron e in discussione in parlamento.

I sindacati francesi uniti proseguono la mobilitazione contro la prepotenza di Macron, il riferimento del PD e di Calenda, che va avanti a testa bassa infischiandosene della grande impopolarità del provvedimento in Francia.
Di fronte alla chiusura e all’arroganza mostrate dal governo anche di fronte alle 5 giornate di mobilitazione di gennaio lo sciopero di oggi si propone di bloccare il paese.
I preparativi degli ultimi giorni hanno già fatto capire che si annuncia una mobilitazione imponente per salvaguardare il diritto alla pensione e contro un governo che si pone chiaramente l’obiettivo di demolire la forza del movimento dei lavoratori.

La lotta delle lavoratrici e dei lavoratori francesi è un segnale di grande importanza per tutti i lavoratori europei e in special modo per quelli italiani di fronte a un governo Meloni che proseguendo sulla linea Draghi e dimentico delle promesse elettorali procede al progressivo aumento dell’età pensionabile.
Noi pensiamo che la miglior risposta a quel segnale consista nell’unirsi alle lotte in Francia in una vasta mobilitazione europea contro la demolizione della previdenza pubblica come punto di partenza per una riscossa antiliberista in tutto il continente.

Questo è l’impegno di Rifondazione Comunista che insieme alle forze della Sinistra Europea solidarizza con la giusta lotta dei lavoratori francesi che riguarda tutte e tutti.
I sondaggi in Francia dicono che più del 60% della popolazione è dalla parte dei sindacati.
Invitiamo i sindacati italiani e in particolare la Cgil che si avvia al congresso a prendere esempio dedicare attenzione dal colossale movimento francese che ha visto creato dai sindacati coinvolgere coinvolgendo tutti i movimenti sociali, le donne e le giovani generazioni su una piattaforma assai avanzata. Come abbiamo sempre proposto è ora di intraprendere anche in Italia una mobilitazione che abbia come obiettivo l'abolizione della legge Fornero, un drastico abbassamento dell'età pensionabile a 60/62 anni e il ritorno al sistema retributivo che in Francia c'è ancora. Facciamo come in Francia!

Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

Un gruppo di lavoratori della Portovesme srl, l’unico produttore italiano di zinco e piombo da primario, si è arrampicato su una ciminiera alta cento metri contro l’annunciata la cassa integrazione per 1500 lavoratori e il licenziamento di 62 di loro che lavorano da anni come interinali.
I lavoratori sono stati costretti a questo gesto estremo dalle inadempienze del governo e della Regione che continuano a non assumere impegni concreti e linee strategiche chiare per la risoluzione della crisi che grava sullo stabilimento, la cui produzione è definita dallo stesso ministero d’importanza strategica nazionale.
la mobilitazione è scattata oggi come risposta al non rispetto degli impegni assunti formalmente in un incontro del 20 gennaio tra azienda, Regione e le organizzazioni sindacali, che prevedevano la presentazione entro il 28 febbraio di soluzioni in grado di tutelare occupazione e produzione.
Si ripete anche in quest’area della Sardegna, in grave sofferenza sociale per le decine di migliaia di disoccupati, una storia di spoliazione del tessuto produttivo del territorio dovuta alla sottomissione dei governi alle logiche del mercato nell’assenza totale di linee d’indirizzo e politiche industriali in grado di salvaguardare i posti di lavoro e le produzioni a partire da quelle strategiche minacciate.
Rifondazione Comunista solidarizza con la mobilitazione dei lavoratori della Portovesme ed è pronta a sostenere l’estensione della lotta che si renderà necessaria per fermare l’ennesimo attacco all’economia del territorio all’occupazione e alle condizioni economiche dei lavoratori e delle loro famiglie.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Enrico Lai, segretario regionale della Sardegna
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

portovesme28

Si chiamava Alberto Motta il giovane operaio di 29 è morto stamani all’alba mentre lavorava nel porto di Civitavecchia; Quest’ennesimo delitto si consuma a meno di 24 ore dalla morte di un altro operaio, Paolo Borselli, morto ieri al molo 7 del porto di Trieste; ancora altri morti , altre famiglie nella sofferenza e nel lutto.
Non c’è giorno ormai che la classe operaia di questo paese non versi il proprio tributo di sangue e di dolore in luoghi di lavoro nei quali fatica per garantire l’esistenza a se stessi e ai propri cari.

E’ una strage senza fine resa ancor più insopportabile dai media che continuano a etichettare questi tragici fatti come incidenti sul lavoro, termine che veicola l’idea che un certo tasso di casi stia nelle cose, che sia inevitabile; che non siano le condizioni di lavoro a determinarli ma elementi fortuiti, quando non la stessa distrazione del lavoratore.

E invece no! Non è il destino cinico e baro che uccide più di tre lavoratori o lavoratrici tutti i giorni. È ampiamente verificato che nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte a veri e propri omicidi evitabili determinati da condizioni quali non rispetto delle norme di sicurezza, super sfruttamento, mancanza di dispositivi o addirittura distacco di sistemi di protezione.

Se a questo si aggiunge l’allentamento progressivo delle sanzioni e del rischio penale per mancata applicazione delle norme e assoluta insufficienza di controlli succede che molte imprese preferiscono puntare sulla possibilità di farla franca invece che investire sulla salute e la sicurezza dei propri dipendenti.

Siamo sentitamente solidali con la famiglia e i colleghi di questa ennesima vittima di un sistema che ogni giorno mette migliaia di lavoratori e lavoratrici a rischio della vita in nome del profitto.

Sosteniamo la decisione delle organizzazioni dei lavoratori del porto di indire uno sciopero di 24 ore, ma pensiamo che occorra generalizzare le iniziative per far assurgere quella dei morti sul lavoro al rango di questione nazionale da risolvere una volta per tutte costringendo chi governa a smetterla di essere complice di questa orribile strage.

Basta morti sul lavoro!

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

La dirigenza del gruppo ha espresso l’intenzione di chiudere lo stabilimento di Longarone. L’annuncio comunicato direttamente alla stampa smentisce spudoratamente gli accordi firmati dall’azienda nel 2019 e avviene dopo un anno di aumento dei ricavi di un miliardo.

Considerando poi che Lo stabilimento di Longarone venne costruito grazie agli ingenti contributi ricevuti per le leggi speciali per la ricostruzione dopo il Vajont, strage di stato, è chiaro come siamo all’ennesimo esempio di una azienda che in forme tracotanti e volgari mostra il disprezzo per i lavoratori e non si fa problemi a sfregiare un territorio cui deve la sua fortuna.

È un’altra perfetta manifestazione dell’arroganza delle multinazionali che spadroneggiano impunemente nel nostro paese: prendi i soldi pubblici, sfrutta i lavoratori e il territorio e poi scappa all’estero.

Tutto ciò è inaccettabile! Rifondazione lo ha detto nel 2019 e lo ribadisce oggi: chiudere SAFILO significa non solo mettere in crisi la possibilità di sopravvivenza di molti lavoratori, ma la tenuta sociale e produttiva di un’intera Provincia. Un territorio difficile che sconta un calo demografico importante, che in questi anni ha subito molte chiusure molte dismissioni e difficilmente è in grado di assorbire circa 500 lavoratori.

Chiudere Safilo è una offesa per i lavoratori che in questi anni hanno dato al gruppo Safilo più di quanto ricevuto permettendogli di arricchirsi; è una offesa per i morti del Vajont, è una offesa per tutti quelli che giorno dopo giorno decidono di vivere in questa Provincia.

La fabbrica non deve chiudere, la multinazionale va fermata!

Per questo Sosteniamo lo sciopero indetto per oggi dai sindacati confederali e anche per dire alla politica locale di occuparsi meno dei grandi eventi e di più del grande problema di questa nostra terra: le tante chiusure di aziende e il progressivo depauperamento del tessuto produttivo del territorio, altrettante aggressioni alla dignità dei lavoratori e delle loro famiglie in nome del primato del profitto.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Moira Fiorot, segretaria provinciale della federazione di Belluno
Partito della rifondazione Comunista/Sinistra Europea

Continua anche in Lombardia la strage dei morti sul lavoro. Questa volta la tragedia si è consumata a Bollate (MI) dove un dipendente di una ditta di demolizioni di auto, mentre lavorava, è rimasto incastrato con una gamba all’interno di un macchinario che vaglia e separa le gomme e per lui non c’è stato nulla da fare.
Le indagini sull’accaduto faranno il loro corso ma nel frattempo non possiamo non denunciare ancora una volta la carenza di organici tra i funzionari degli enti preposti ai controlli che da tempo affligge la Lombardia più che altre regioni d’Italia.
Da anni gli stessi operatori dei servizi denunciano questa gravissima criticità stante la quale secondo fonti sindacali già prima del covid per un'impresa Lombarda c’era la probabilità di subire un’ispezione ogni 40 anni! E oggi le cose non sono migliorate.
E’ quindi certo che tra allentamento progressivo delle sanzioni e del rischio penale per mancata applicazione delle norme e assoluta insufficienza di controlli molte imprese preferiscono puntare sulla possibilità di farla franca invece che investire sulla salute e la sicurezza dei propri dipendenti.
Con le destre al governo le cose sono destinate, se possibile, a peggiorare proseguendo loro su una linea che antepone il profitto perfino alla vita delle persone e continua quindi a deregolamentare e precarizzare il lavoro rendendolo ricattabile e quindi meno sicuro.
Fra le altre misure proposte per fermare la strage Rifondazione Comunista nella scorsa legislatura ha avanzato con le ex parlamentari di ManifestA ed al sindacato USB una proposta di legge per l’assunzione di 10000 ispettori e l’inserimento del reato di omicidio sul luogo di lavoro e rivendichiamo ancora oggi con forza questa richiesta.
Esprimiamo la nostra sentita solidarietà alla famiglia, ai colleghi e agli amici di questa ennesima vittima di un sistema assassino che in nome del profitto mette ogni giorno migliaia di lavoratrici e lavoratori a rischio della propria vita.

Basta morti sul lavoro!

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Fabrizio Baggi, segretario regionale Lombardia
Partito della Rifondazione Comunista / Sinistra Europea - Lombardia

Questa mattina, a Roma, di fronte alla prefettura - la piazza del Viminale è stata negata - si è tenuta una manifestazione sindacale delle donne e degli uomini, assunti nel giugno 2020, per facilitare le pratiche di emersione dal lavoro nero previste dal decreto rilancio e di coloro che sono stati assunti e formati per portare a compimento le pratiche delle commissioni territoriali per la richiesta di asilo. Si tratta di circa 1200 persone, in gran parte giovani, dislocati, nelle diverse prefetture e questure del Paese, grazie al cui lavoro è stato possibile recuperare il ritardo accumulato, permettendo a tante e tanti, donne e uomini migranti, di uscire dal ricatto dell'invisibilità. Con la nuova manovra si prevede un drastico taglio di questo personale che metterebbe a rischio il futuro del servizio le cui esigenze obbligherebbero peraltro ad assumere lavoratori interinali il cui costo è maggiore, rispetto a chi è stabilizzato e che necessita di un periodo di formazione di almeno 4 mesi. Alla manifestazione hanno partecipato anche rappresentanti di associazioni di migranti e di sportelli sociali che beneficiano della presenza di queste figure in grado di rendere esigibili i loro diritti. Come Rifondazione Comunista consideriamo questa convergenza che si è realizzata in piazza importante sia sul piano sindacale che politico. Rispetto ad uno Stato che non accetta di considerare l'immigrazione come parte strutturale della propria quotidianità e che ricorre unicamente a soluzioni emergenziali danneggiando l'intera collettività, chiediamo che tale comparto venga non solo garantito nell'immediato e senza tagli, ma stabilizzato con un contratto a tempo indeterminato, di cui non solo chi è migrante ha bisogno. Quella di oggi è stata una bella giornata di lotta e solidarietà che vorremmo vivere più spesso: trovarsi insieme in piazza cittadini immigrati e lavoratrici e lavoratori che, con dedizione e professionalità, ne garantiscono la dignità è un segnale positivo per l'intero Paese.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Stefano Galieni, responsabile nazionale immigrazione
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra europea

Ancora una volta i dati certificano impietosamente quanto drammatica sia la questione salariale nel nostro paese e quanto sarebbe necessario l’apertura di un programma di lotte generali e articolate su questo tema. E mostrano ancora una volta l’intensità dell’attacco ai salari delle lavoratrici e dei lavoratori italiani portato avanti da imprese e governi negli ultimi decenni mentre smentiscono le lamentele padronali sul costo del lavoro.

Nell’indagine sui “reddito e condizioni di vita 2021” si mostra chiaramente come nel solo 2020 il costo del lavoro per le imprese si sia ridotto del 4,3% mentre le retribuzioni dei dipendenti sono diminuite del 5%.
Tra il 2007 e il 2020, prosegue l’indagine, mentre i contributi a carico delle imprese sono diminuiti del 4%, i contributi dei lavoratori sono rimasti sostanzialmente invariati e le imposte sul lavoro dipendente sono aumentate e la retribuzione netta dei lavoratori si è ridotta del 10%.

Drammatica risulta la fotografia dei redditi individuali al lordo delle tasse in riferimento al 2020: circa il 76% non supera i 30.000 euro annui: la metà si colloca tra 10.001 e 30.000 euro annui, oltre un quarto è sotto i 10.001; quest’ultimo dato in particolare ci parla di circa 4 milioni di lavoratori “regolari” spesso giovani e donne che sopravvivono con salari letteralmente da fame.

A conferma di come decenni di politiche neoliberiste abbiano creato un progressivo depauperamento del mondo del lavoro e una continua redistribuzione dei redditi a vantaggio dei profitti e delle rendite è arrivato ieri un report pubblicato dall’INAPP secondo cui negli ultimi 30 anni la quota di ricchezza posseduta dalla metà più povera della popolazione è diminuita dal 18,9% al 16,6%, mentre quella dell’1% per cento più ricco è aumentata di ben il 60%.
Non ci stancheremo mai di ripeterlo: solo con un nuovo grande ciclo di lotte per aumenti generalizzati dei salari e per un salario minimo legale di 10 euro l’ora sarà possibile invertire la svalorizzazione progressiva del lavoro, riconquistare salari e stipendi dignitosi e riaffermare il valore e il ruolo sociale del lavoro previsti dalla Costituzione.
Se non ora quando?

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

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Parte oggi con lo sciopero e la manifestazione della Calabria la settimana di mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori contro la manovra del governo indetta da Cgil e Uil con scioperi e manifestazioni che nei prossimi giorni si svolgeranno in tutte le regioni.
Al governo si contesta giustamente l’iniquità di una manovra contro i lavoratori, i pensionati e i poveri, che con la flat tax e i condoni premia il lavoro autonomo e gli evasori fiscali, che taglia le tasse sulle rendite da capitale, non tassa come dovrebbe gli extraprofitti delle aziende che hanno speculato sui prezzi dell’energia, non interviene seriamente contro l’inflazione e il carovita che depredano salari e pensioni, continua a tagliare su sanità scuola e servizi, allarga le maglie della precarietà e del lavoro grigio e nero.
Sosteniamo queste scioperi casomai in ritardo rispetto a un anno in cui sui lavoratori e i ceti popolari sono stati scaricati i costi pesantissimi della guerra e delle sanzioni volute dal partito euroatlantico; li sosteniamo perché la lotta è l’unica risposta possibile di fronte a questo governo che prosegue le politiche neoliberiste di quelli che l’hanno preceduto e ad un parlamento che non fa un’opposizione vera o la fa su aspetti marginali delle scelte economiche e sociali.

Li sosteniamo perché tra le richieste avanzate ci sono punti che sosteniamo da sempre come una riforma fiscale improntata a criteri di progressività, il recupero del drenaggio fiscale, una vera lotta all’evasione, l’eliminazione della precarietà, l’abolizione reale della legge Fornero e il riconoscimento del lavoro di cura e delle differenze di genere nel calcolo dell’età per la pensione, la rivalutazione delle pensioni e l’aumento delle minime a 1000 euro, una seria tassazione degli extraprofitti, , il rilancio del pubblico attraverso investimenti e un piano straordinario di assunzioni, un piano per l’occupazione.
Rifondazione Comunista sarà come sempre con le lavoratrici e i lavoratori in lotta sostenendo però la necessità di dare continuità e più forza alle lotte ed evitando la ritualità degli appuntamenti annuali; che questo sia solo l’inizio del grande ciclo di lotte necessario per battere le politiche neoliberiste che, non da questa finanziaria, ma da decenni impoveriscono il lavoro, favoriscono l’aumento dello sfruttamento e della precarietà mentre scaricano i costi della guerra e della crisi che ha prodotto sui ceti popolari e arricchiscono ancora di più i già ricchi.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale
Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

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