È una sentenza per omicidio colposo aggravato quella che ha sancito la condanna a 12 anni di carcere, più l’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici, per l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny riconosciuto colpevole di violazione delle norme per la prevenzione sul lavoro che ha causato 392 vittime di amianto a Casale Monferrato.
Un verdetto positivo perché arriva dopo l’annullamento della sentenza di condanna di Schmidheiny da parte della Cassazione nel 2014 e perché, contrariamente a quell’atto, si riconosce che il danno sul territorio era ed è permanente. Nel casalese si moriva e si continua a morire di amianto: tra i 76 e l’86 morivano 50 persone all’anno, oggi 35.
Ma sebbene il reato imputato sia concreto nel suo impatto punitivo, e anzi segni un passo importante dopo anni di totale ingiustizia, non corrisponde alla richiesta di condanna per omicidio volontario e dolo eventuale avanzata dall’accusa in riferimento alla gestione dello stabilimento e alla fuga criminale lasciando nel territorio una bomba mortale per la salute della comunità; non risponde alla sete di giustizia di molte famiglie perché implica che molte di quelle morti, avvenute da più di quindici anni, siano considerate prescritte; soprattutto solleva la contrarietà di chi, come l’associazione dei familiari delle vittime dell’amianto, lotta da decenni per avere giustizia per le vittime e per quel territorio martoriato e vede il rischio che il declassamento del reato apra la strada a nuove prescrizioni.
Rifondazione Comunista è al fianco delle associazioni dei familiari di tutte le vittime dei morti sul lavoro e per il lavoro e lotta con loro per rendere davvero cogenti le norme sulla prevenzione e la sicurezza e per il pieno riconoscimento delle malattie professionali e dei reati ambientali.
Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Alberto Deambrogio, segretario del Piemonte
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea