Lo sciopero odierno delle lavoratrici e dei lavoratori delle telecomunicazioni ha sacrosante ragioni che dovrebbero essere al centro del dibattito politico e mediatico.
Non solo perché in ballo ci sono 20.000 posti di lavoro, ma anche la transizione digitale del nostro paese, il digital divide, l'attuazione del Pnrr.
Siamo di fronte al fallimento della privatizzazione del settore a cui 25 anni fa ci opponemmo solo noi di Rifondazione Comunista mentre centrosinistra e destre seguivano le indicazioni dell'allora commissario europeo Mario Monti.
Fu dichiarata guerra al monopolio pubblico, pienamente giustificato per un settore strategico, aprendo la strada a spezzatini e saccheggio di privati. Il risultato è il ritardo del nostro paese in un settore fondamentale per la modernizzazione e anche per la sovranità democratica.
Ritardo che si fa sempre più grave anche grazie all’inerzia del governo sulla vicenda Tim lasciata ai giochi di mercato dei soci privati, tra cui una società francese che detiene la quota maggioritaria, mentre solo un pieno ritorno del pubblico potrebbe garantire gli interessi nazionali.
Come al solito la "riforma" neoliberista ha portato al moltiplicarsi di appalti esterni a spese di diritti e salari di chi lavora e al tentativo delle aziende di customer service di fuoriuscire dal contratto nazionale.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale, Antonello Patta, responsabile lavoro del Partito della Rifondazione Comunista