Il movimento sviluppatosi con i Fridays for future contro tutte le emissioni che alterando gravemente il clima producono effetti devastanti sugli habitat, mettendo a rischio la stessa vita sul pianeta, suona come una critica mortale verso l’attuale modello di produzione, di relazioni sociali, di distribuzione e consumi che ha a suo fondamento il profitto. “Cambiare il sistema non il clima” appunto. Un sistema, quello capitalista, che nello stadio neoliberista ha accentuato i suoi caratteri distruttivi di risorse umane e ambientali con lo sfruttamento senza limiti dell’uomo e della natura, aumento a dismisura delle disuguaglianze, impoverimento di uomini e donne, devastazione di popoli e paesi, privazione del futuro delle nuove generazioni, nella spinta a una competitività di tutti contro tutti.

Dopo il movimento delle donne con le sue istanze di liberazione e uguaglianza anche questo straordinario movimento ci parla della necessità della lotta contro il capitalismo neoliberista in direzione di un nuovo modello di società che noi chiamiamo socialismo del XXI secolo.

A noi che pensiamo da tempo che sia necessario un processo rivoluzionario per fermare lo scivolamento progressivo dell’umanità verso la barbarie si presenta una nuova opportunità e una non facile sfida.

Ma c’è il rischio concreto, come è avvenuto in passato, che i grandi movimenti globali non riescano a tradurre il loro potenziale di cambiamento in lotte articolate contro le forme concrete che assumono il dominio, l’oppressione e la distruzione ambientale, con il risultato che le tante forme di resistenza che pure periodicamente si sviluppano contro la desertificazione industriale in difesa dell’occupazione, contro le privatizzazioni, contro le grandi opere in difesa del territorio, contro le varie forme d’inquinamento, per i diritti di tutte e tutti non si unifichino in un grande movimento unitario in grado di contrastare il neoliberismo e contrapporgli un altro modello di società.

Col risultato che si può ripetere quanto già visto in questi anni: le lotte vengono sconfitte e si accumula nuova sfiducia.

Le difficoltà a far crescere un grande movimento per il cambiamento sono da attribuire a molti fattori, in primo luogo alla disgregazione sociale prodotta dalle politiche neoliberiste cui si è accompagnata la penetrazione nel corpo sociale della competitività esasperata, dalla perdita di fiducia nell’azione collettiva che di fronte incertezza sul futuro producono chiusure e rancore. E pesa enormemente l’egemonia del pensiero unico, la rassegnazione rispetto alla possibilità stessa di un’alternativa di società. Per questo alle sofferenze sociali prodotte dal neoliberismo si risponde stando all’interno della concorrenza assunta come principio ordinatore delle relazioni sociali, fino al “prima noi” contro tutti gli altri.

Gioca anche un forte ruolo negativo la diffusione a piene mani da tutti gli apparati ideologici di sistema dell’idea che siamo di fronte alla scarsità e quindi occorre subordinare le richieste di diritti e migliori condizioni di esistenza alla disponibilità limitata di risorse economiche. Mentre invece come mostra la finanziaria in gestazione le risorse ci sarebbero, ma non si vogliono andare a prendere per una precisa scelta di classe.

Processi epocali dentro i quali ha avuto un peso determinante quella che è stata la prima e principale offensiva del neoliberismo contro la società: quella contro la classe lavoratrice, le lavoratrici e i lavoratori, i loro diritti, le protezioni sociali, il loro ruolo nei luoghi di lavoro, nella cultura e nei rapporti sociali e politici.

L’offensiva del capitale ha mutato profondamente il “cuore del sistema” sia nei suoi aspetti materiali, il meccanismo dello sfruttamento, sia nei suoi aspetti soggettivi, ideologici riproducendo insieme al controllo sul lavoro anche quello sulle menti.

La disarticolazione del mondo del lavoro in una moltitudine di figure lavorative, la compressione dei salari, la disoccupazione e la precarietà come condizione esistenziale di milioni di lavoratori, cresciute con l’eliminazione di fondamentali diritti acquisiti e la ripresa del controllo sul lavoro sono alla base dell’involuzione e della regressione sociale culturale e politica che stiamo vivendo. Sono queste le cause fondamentali, insieme ai rischi ambientali delle paure e dell’incertezza sul futuro che disorientano le persone e possono spingerle verso l’adesione a ricette reazionarie falsamente rassicuranti.

Allora un partito comunista non può non vedere come compito decisivo, la ripresa di iniziative nei luoghi e nei confronti del mondo del lavoro al fine di contribuire alla ripresa e all’estensione delle lotte contro la disoccupazione, la precarietà, i salari da poveri, la perdita di tutele e diritti.

Questo richiede obiettivi unificanti chiari come abbiamo cominciato a definire nel documento della direzione nazionale, ma soprattutto la messa a tema di una serie di analisi e pratiche con lo scopo di:

- rilanciare la costruzione di momenti di internità delle/i comuniste/i alle lotte delle molteplici figure di cui si compone il lavoro oggi,

- operare dovunque si sia collocati - sindacati, forme di autorganizzazione, attività mutualistiche - per l’unificazione dei movimenti e delle lotte e l’affermazione di un punto di vista di classe,

- riprendere il lavoro d’inchiesta per indagare la composizione di classe nelle sue componenti oggettive e soggettive come premessa indispensabile per la riunificazione della grande varietà di figure in cui il mondo del lavoro è stato disgregato,

- avviare una riflessione sull'intreccio tra riproduzione sociale caricata sulle spalle delle donne e il lavoro retribuito con le sue discriminazione di genere,

- mettere in rete il sapere di chi lavora e lotta e le competenze e le analisi prodotti da economisti, sociologi, storici critici che non hanno abbandonato un punto di vista di classe.

Senza una forte ripresa delle lotte per la dignità e i diritti del lavoro e nel lavoro, la costruzione delle convergenze sociali indispensabili per produrre grandi mobilitazioni in grado di contrastare il neoliberismo mancherà del suo tassello decisivo e così pure la prospettiva dell’alternativa. Mai come in questo momento si è sentita la mancanza di una sinistra di classe.

Con questo spirito a un mese dall’incarico ricevuto dalla direzione prende il via con l’incontro di giovedì 19 il nuovo dipartimento lavoro nazionale, con la piena consapevolezza della sproporzione tra i compiti da affrontare e le forze disponibili, ma con la serena determinazione di tante compagne e compagni che vogliono continuare a dirsi ed essere comuniste/i.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro PRC-SE
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