di *Loredana Fraleone -
C’è un rapporto tra la condizione con cui inizia l’anno scolastico 2022/2023 e il numero chiuso, che persiste per l’accesso all’Università? Mi sembra evidente il legame “ideologico” di una classe dirigente, che considera i diritti, in questo caso quello allo studio, come ferrivecchi da rottamare, per essere sostituiti da competitività e privilegi. Nell’anno topico per l’inizio dei guasti al sistema di istruzione il 1999, la legge n. 264 introdotta dal ministro dell’Università e Ricerca Zecchino, poneva per la prima volta limiti all’accesso all’Università, considerata dalla Costituzione un segmento del diritto allo studio.
Nello stesso anno il suo omologo per la Scuola Luigi Berlinguer avviava, anche nel linguaggio, offerta formativa, debiti, crediti quei provvedimenti per l’autonomia, che spostavano la fisionomia del sistema di istruzione da un’articolazione dello Stato ad un servizio a domanda individuale. E’ stata una costante infatti da parte dei governi di centro sinistra e di quelli di centro destra di individualizzare, dividere, gerarchizzare, rompere collegialità.
Gli studenti che vorrebbero entrare in importanti facoltà a numero chiuso, sono sottoposti ad improbabili quiz, che spesso presuppongono conoscenze che dovrebbero essere acquisite proprio nel percorso universitario, esattamente come negli ultimi concorsi per insegnanti sono stati utilizzati quiz per misurare una formazione che presuppone articolazioni ben più complesse di un vero/ falso.
Il diritto allo studio, sia per le condizioni materiali, costi da sostenere per le tasse, strutture disponibili, alloggi per fuori sede, ma anche per il crescente prevalere di una cultura selettiva e non funzionale all’emancipazione, sta diventando un privilegio per pochi. Persino nella scuola superiore questi fattori stanno incidendo fortemente sull’abbandono scolastico, in forte aumento a differenza degli altri paesi europei. Laureati e diplomati invece che crescere diminuiscono, ma ciò non preoccupa una classe dirigente che punta sui privilegi e non sui diritti, come non si preoccupa della restrizione del numero dei votanti nelle elezioni. Su Scuola e Università i parametri europei non costituiscono alcun riferimento, gli aumenti di risorse per l’istruzione sono un miraggio, come retribuzioni adeguate per i docenti, riservate semmai a “insegnanti esperti”, come il supporto agli studenti svantaggiati, come i fondi per la Ricerca e tanto altro, che richiederebbe una radicale inversione di tendenza.
*Responsabile Scuola Università Ricerca PRC/SE