Partito
della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 09 - 10 marzo 2013
Documento respinto
Il voto ai tempi del Fiscal Compact
Il voto del 25 febbraio evidenzia una sconfitta pesantissima di Rivoluzione Civile e con essa della linea portata avanti dal gruppo dirigente del PRC.
Rivoluzione Civile non si avvicina allo sbarramento pagando non solo il poco tempo a disposizione e gli errori evidenti nella composizione delle liste elettorali, ma soprattutto il profilo debole e ambiguo nei confronti del centrosinistra (espresso dalle dichiarazioni ondeggianti verso il PD di Ingroia e dalla sottovalutazione del segno “negativo” dell’IDV). Insomma mentre, a torto o a ragione, il Movimento 5 Stelle è stato percepito come “fuori” e “contro” i giochi delle alleanze a sostegno del Fiscal Compact e dei vincoli della UE, Rivoluzione Civile è stata percepita “fuori” ma non “contro” tali giochi delle alleanze.
Il voto mostra anche come tutto ciò avvenga in uno scenario di grande instabilità del sistema.
Il PD non sfonda e perde 3 milioni e mezzo di voti ed il 5% rispetto alla pur perdente gestione veltroniana del 2008. Il partito di Monti non occupa gli spazi persi dal berlusconismo a destra e stenta a superare lo sbarramento di coalizione registrando la quasi scomparsa dell’UDC di Casini e l’annichilimento del FLI di Fini. Il polo di Berlusconi perde più di 7 milioni di voti e 17 punti percentuali. Il suo partito-azienda personale oggi si attesta al 21% (aveva il 37%) e la Lega è uscita dimezzata sia in termini di voti che di percentuali. Gli unici dati in crescita netta sono il M5S e in parte l’astensionismo.
I poteri forti che avevano scaricato Berlusconi come interlocutore privilegiato di questa fase, quindi, non hanno trovato altri cavalli di razza capaci di imporre un livello di sostegno forte alle politiche di massacro sociale. L’idea di un governo politico a sostegno delle politiche di austerity della troika, incarnato dall’ipotesi di patto di legislatura PD-Monti, è stato sconfitto e non ha i numeri per governare. Berlusconi, dal canto suo, anche se ha tenuto di fronte al pericolo di scomparsa dallo scenario politico, non ha più la dimensione sufficiente per governare da solo in maniera plebiscitaria come era abituato. Ed è in questo quadro che è cresciuta a dismisura l’ipotesi populista di Grillo che trascina, attraverso la critica alla “casta” politica governante, larghi settori di massa su un terreno di opposizione alle politiche del capitalismo finanziario filo-UE.
Se questo movimento reggerà o si sfalderà, non è dato saperlo oggi. Le sue sorti dipenderanno anche dal grado di mobilitazione sociale contro l’agenda dell’austerità e dall’affacciarsi o meno di un movimento antiliberista e anticapitalista degno di questo nome che occupi parte delle praterie oggi cavalcate solo da Grillo.
Movimento 5 Stelle. La “resistenza” populista ai dogmi dello spread.
A differenza di Rivoluzione Civile, il M5S è un movimento che ha una sua base sociale (seppur interclassista) poiché incarna quelle aspirazioni di resistenza alla crisi e alla feroce competizione del capitalismo che schiaccia quei settori che possiamo definire piccolo-borghesi. Grillo raccoglie sul piano populistico i sentimenti del piccolo imprenditore, del proprietario di bottega o di un’azienda agricola, del lavoratore autonomo, del popolo delle partite IVA, e li fonde con quelli di ampi settori delle nuove generazioni e di lavoro dipendente e precario che si sentono senza rappresentanza, esclusi e oppressi dal dominio della “finanza”. Questo movimento lega questi settori a una idea di uscita dall’euro e dalla crisi di tipo autarchico e alle illusioni della regolamentazione del mercato capitalistico (“tartassato” da tasse e sindacati), dell’economia verde e del ritorno alle piccole produzioni.
Questo movimento cavalca l’ondeggiamento tipico delle posizioni della piccola borghesia che non ci sta ad essere schiacciata dal grande capitale finanziario e dalla feroce concorrenza ed è su questo terreno che incrocia le sensibilità di alcuni movimenti antagonisti che sono sempre stati di fondo astensionisti ma che oggi occhieggiano con alcuni punti della piattaforma grillina. Non è solo per l’appoggio che il M5S ha dato a questi movimenti, ma perchè tocca alcune corde di chi aspira al ritorno alle produzioni agricole precapitalistiche e a forme di autoproduzione, rivendica reddito e pur essendo contro le privatizzazioni vagheggia un affidamento “non statale” dei beni comuni magari al settore no profit (processo che nell’assistenza sociale, ade es., ha già prodotto una privatizzazione strisciante dei servizi e precarizzazione del lavoro).
Tutto questo è tenuto insieme da una critica durissima al sistema dei partiti e alla casta dei governanti di cui si auspica un taglio netto mettendo nello stesso calderone tutti i lavoratori considerati “improduttivi” contrapponendo così il lavoro privato a quello pubblico e le nuove generazioni precarie a quelle dei vecchi lavoratori in pensione.
L’egemonia grillina su questi settori è destinata a durare se questi terreni non vengono recuperati da una proposta anticapitalista credibile che saldi attorno a interessi di classe precisi un’alleanza più vasta di un nuovo blocco sociale antagonista al capitalismo.
Per una Rivoluzione Civile o per una prospettiva anticapitalista?
L’operazione Rivoluzione Civile è stata un evidente fallimento.
L’unica cosa che può essere salvaguardata è quel patrimonio minimo di ripresa di contatto coi settori sociali che ha caratterizzato una campagna elettorale fuori dai grandi mezzi di comunicazione di massa. Molte assemblee hanno visto una partecipazione che andava al di là della base dei partiti che componevano questa coalizione. Rivoluzione Civile è apparsa schiacciata sul nome del magistrato-leader e sul suo profilo legalitario, non ha saputo parlare dei temi della giustizia sociale e del lavoro, e dunque è stata percepita non utile. Chi si poneva l’obiettivo di contrastare i diktat della BCE ha percepito utile Grillo o si è astenuto, chi si illudeva di condizionarli ha votato la coalizione PD-SEL. Pochissimi hanno scelto Rivoluzione Civile e praticamente nessuno il PCL (l’unica falcemartello sulle schede). Il problema quindi non è stato di identità formale e di simboli, ma di profilo politico e di radicamento sociale.
Nonostante alcune candidature apprezzabili provenienti da alcune battaglie civili e sociali, non c’è stato nessun coinvolgimento dei movimenti reali del paese e non è emersa nemmeno una piattaforma sociale con proposte dirompenti sul piano economico o che rompessero coi vincoli europei proponendo in questo profilo il senso del non apparentamento col PD e non nella scelta di quest’ultimo di allearsi con Monti. Tutto è stato calato dall’alto e in questo ha influito anche l’eterogeneità dei gruppi dirigenti che componevano la “cabina di regia” di RC.,insieme ad alcune candidature palesemente indecenti.
E' mancata inoltre la capacità di unire con proposte concrete la critica al ceto politico dominante ed alla separatezza della politica alla questione sociale, lasciando questo campo nelle mani della demagogia grillina.
Pensare di far percepire una proposta chiara all’elettorato con queste contraddizioni in campo è stato un azzardo. Il PRC avrebbe dovuto farsi garante in maniera pubblica e forte di un chiaro profilo anticapitalista e antiliberista proponendosi come interlocutore anche di quei movimenti critici con la proposta di Rivoluzione Civile. Invece le esclusioni di esponenti provenienti dai movimenti e vicini al PRC (come Nicoletta Dosio del NoTav e Vittorio Agnoletto proposto da un’assemblea di centinaia di persone) sono avvenute senza grossi scossoni, mentre si era impegnati a individuare col manuale Cencelli i rappresentanti delle diverse anime della maggioranza da proporre in lista. Questo ha provocato che nel campo comunista ci si è divisi tra chi per lealtà ha votato Rivoluzione Civile, chi l’ha fatto sperando che rimanesse un lumicino di visibilità pubblica per “chi si oppone” da sinistra ai diktat della BCE, chi invece non ha votato o ha preferito dare il voto altrove tanto per 'dare uno scossone'.
Di fronte a tutto questo ed al fatto che De Magistris ha già dichiarato conclusa l’esperienza di Rivoluzione Civile, Di Pietro sta cercando una via d’uscita alla sua scomparsa e nel PdCI stanno riaffacciandosi le pulsioni a tornare nelle braccia del PD, la proposta di continuare l’esperienza di RC è quantomeno surreale.
Voltare pagina, basta navigare a vista!
Dopo il terremoto elettorale del 24-25 febbraio, le dimissioni della segreteria nazionale rappresentano un atto dovuto, ma non possono bastare: occorre. voltare decisamente pagina in termini di linea politica e gruppo dirigente, senza indugiare in atteggiamenti autoconsolatori e continuisti che tendano a giustificare comunque le scelte fatte.
La sconfitta elettorale di Rivoluzione Civile, così come il fallimento della Federazione della Sinistra, non sono il frutto di errori tattici e contingenti degli ultimi mesi, ma l'epilogo di una linea sbagliata, ondivaga e contraddittoria, che ha cancellato la svolta a sinistra decisa a Chianciano nel 2008, dopo la fallimentare esperienza del governo Prodi.Per questo è necessario restituire subito parola e sovranità ai compagni/e con un congresso, i cui tempi e modalità di svolgimento non possono essere “ordinari”, ma pensati e valutati in relazione alla eccezionalità della fase politica ed alla necessità di produrre in tempi utili una forte discontinuità.
Una svolta reale e radicale rispetto al percorso fin qui compiuto, rappresenta un passaggio obbligato per impedire la dissoluzione del patrimonio e dell'esperienza di Rifondazione Comunista, per ciò che essa rappresenta storicamente all'interno del movimento operaio, e di larga parte della sinistra comunista ed anticapitalista nel nostro paese..
E' necessario superare la delusione, la stanchezza e la demotivazione che oggi vivono molti compagni/e, dicendo con chiarezza che le responsabilità delle sconfitte vanno individuate negli errori di linea compiuti dal partito. Facciamo appello alla base, a tutti i militanti dei circoli affinchè riprendano la parola e rilancino dal basso la rifondazione comunista, anche attraverso l'autoconvocazione di assemblee e attivi di tutti gli iscritti e simpatizzanti. E' importante che si sviluppi un confronto reale avviato già in molti circoli e territori all'indomani della sconfitta elettorale, con il coinvolgimento delle realtà sociali e politiche di opposizione..E' necessario avviare il percorso congressuale su basi di chiarezza e modalità effettivamente democratiche, un congresso che rappresenti un momento di crescita collettiva, finalizzato a individuare gli errori di linea per poterli superare, definire un ruolo utile dei comunisti in questa fase e assolvere alla nostra funzione di costruzione dal basso dell'alternativa di sistema.
Riteniamo che Rivoluzione Civile, come del resto la Federazione della Sinistra, siano due esperienze chiuse e finite su cui riflettere con rigore per affrontare su basi diverse una questione centrale, tuttora irrisolta e quanto mai attuale, quella della costruzione di un ampio schieramento sociale e politico anticapitalista, per opporsi e resistere alla gestione capitalistica della crisi. Oggi questo terreno concreto di impegno rappresenta la priorità e l'unica possibilità per rilanciare la rifondazione comunista e ricostruire il partito, fuori da opportunismi, settarismi e scorciatoie elettorali..
Il PRC non deve sciogliersi in generici contenitori di sinistra, ma investire le proprie energie nei conflitti sociali per essere promotore e strumento di un processo nuovo di ricomposizione di forze, oggi disperse, sulla base di una linea di massa per sviluppare l'opposizione di classe e delineare l'alternativa di sistema.
Occorre dare segnali forti di cambiamento. Uscire dall' ambiguità nei rapporti col centrosinistra, rompendo subito le giunte locali col PD, laddove siano incompatibili con un programma di alternativa, riprendere la questione centrale della rifondazione di un sindacalismo di classe, l'impegno nei comitati No Debito, nella Piattaforma contro l'austerità e nelle principali esperienze di lotta, proporre una assemblea nazionale, una sorta di “stati generali” dei movimenti di opposizione. Questi sono alcuni passaggi concreti per voltare pagina e fare un congresso vero che ci consenta di superare le attuali difficoltà e rimotivare la militanza di tanti compagni/e.
Claudio Bettarello, Sandro Targetti e altri