Partito
della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 22 - 23 dicembre 2012
Documento respinto
Per un polo di sinistra e di classe
La fine anticipata della legislatura con la crisi del governo Monti
indotta dall’iniziativa di Berlusconi ci chiama a scelte rapide.
La campagna elettorale già aperta assume grande rilevanza per
il nostro partito e per la costruzione di un chiaro riferimento politico
a sinistra, capace di raccogliere la crescente protesta che attraversa
il paese e connettersi al movimento in campo in altri paesi europei
e non solo.
Dopo l’implosione della Fds, crollata sul punto dirimente del
rapporto col centrosinistra, anche i tentativi di costruzione di un
“quarto polo” stanno mostrando rapidamente tutte le loro
contraddizioni.
Il percorso è già annegato nei tatticismi elettorali.
L’area “cambiare si può” è lacerata
da un dibattito arretrato nel quale alcuni elementi di radicalità
riguardo la piattaforma economica e sociale vengono associati a una
ostilità verso il nostro partito che spesso sconfina in un autentico
livore. Questa contraddizione si esaspera con l’entrata in campo
del movimento arancione e dell’appello di Ingroia, che di fatto
hanno già assunto l’egemonia nel campo del “quarto
polo”.
I dieci punti dell’appello promosso da Ingroia, che confluiscono
nella parola d’ordine di un “governo democratico e riformatore”
non sono semplicemente insufficienti o vaghi: l’assenza di qualsiasi
riferimento alla rottura dei patti capestro (a partire dal Fiscal compact),
l’appello alla meritocrazia nella scuola e alla liberazione dell’iniziativa
d’impresa configurano una piattaforma che definire riformista
sarebbe un complimento. Si configura una lista civica nel campo della
pura democrazia borghese, al di là di un obbligato (e comunque
generico al limite dell’ambiguità) riferimento all’articolo
18.
Non è una piattaforma riconducibile al movimento operaio, né
per ispirazione, né per simboli, né per nomi. L’affidamento
al leaderismo di Ingroia costituisce un ulteriore punto di arretramento,
non solo per la sua dichiarata intenzione di tentare una interlocuzione
col Pd, ma per l’azzardo che mette nelle mani di una sola persona
la decisione finale sulla stessa costituzione della lista, posto che
essa è possibile solo con la candidatura dello stesso Ingroia
a primo ministro.
Al di là dei tatticismi elettorali emerge il dato di fondo: nessuna
reale alternativa può essere costruita se non in un rapporto
forte con il movimento operaio, con la crescente radicalizzazione giovanile,
senza una chiara prospettiva politica e programmatica capace di uscire
dalle secche di generiche richieste di equità, giustizia, di
utopiche politiche economiche “espansive”, che ancora oggi
segnano l’orizzonte del dibattito.
Una proposta politica incerta, priva di un chiaro segno di classe, con
una cultura politica che non va più in là di quella del
movimento girotondino, che ad oggi per definirsi non è neppure
in grado di usare la parola sinistra: su questa strada non è
possibile un reale rilancio del nostro partito, né di una prospettiva
di alternativa. La stessa composizione delle assemblee, al di là
dei numeri, con la completa assenza di realtà giovanili e del
movimento operaio, con un sostegno meno che tiepido della Fiom, con
una assoluta predominanza dei nostri militanti e di settori della “diaspora
di Rifondazione”, conferma i limiti del progetto.
La stessa questione del quorum non è affatto risolta dalla presenza
di personalità visibili e “note”, capaci certo di
far conoscere la lista al di là di un ambito militante, ma che
nel loro insieme non configurano necessariamente un profilo politico
e una credibilità necessari ad affrontare una campagna elettorale
che sarà estremamente complessa.
La rottura fra Monti e il Pd, al di là di come si configurerà
concretamente l’iniziativa politica del primo ministro, sarà
uno dei segni della campagna elettorale. A Melfi, Monti ha ricevuto
una aperta investitura da Marchionne in una iniziativa che è
stato uno schiaffo in faccia al Pd, alla Cgil, alla Fiom e soprattutto
ai lavoratori Fiat, presentati dai media come una massa di sudditi pronti
ad applaudire il padrone, il suo rappresentante politico e i dirigenti
sindacali suoi servi.
Se questo sarà lo scenario, la promessa che “domani cambierà”
sventolata da un Bersani già rafforzato dalle primarie che conduce
una battaglia contemporaneamente contro Monti e Berlusconi non può
che generare un richiamo al voto utile di sinistra.
Posta la assoluta necessità di non farsi trascinare da questa
possibile spinta, e di svelarne l’inganno, dobbiamo essere consapevoli
che solo una campagna elettorale di grande nettezza, ancorata con forza
a tutti i punti di conflitto reale a partire dai punti alti del conflitto
operaio, che sappia parlare alla testa e al cuore di una classe operaia
e di un popolo dissanguati dalle politiche di austerità, dalla
disoccupazione, dal crollo dei redditi e dagli attacchi allo stato sociale,
può creare la rottura necessaria e aprirci la strada per il ritorno
del nostro partito in parlamento e in ogni caso di seminare per le battaglie
successive.
È necessario un investimento che a partire dalla campagna elettorale
sappia guardare a una prospettiva strategica più ampia. La presentazione
della lista del Prc o, in presenza di disponibilità significative,
di una lista di sinistra con una chiarissima connotazione di classe,
è ad oggi l’unica scelta in grado di condurre una campagna
elettorale chiara e soprattutto che costituisca un investimento per
il futuro.
Il Prc ad oggi non rappresenta una forza sufficiente a raccogliere e
ad esprimere in forma compiuta una prospettiva di rottura anticapitalista
all’altezza della crisi e dello scontro imposto dalla classe dominante.
Tuttavia questo limite può essere superato in forma positiva
solo con un forte investimento che renda chiara la nostra prospettiva
di forza antagonista al sistema. Dobbiamo superare la scissione di fatto
creata in questi anni con scelte sbagliate che hanno separato fisicamente
il nostro impegno militante nelle vertenze di lotta, nei luoghi di lavoro,
nell’opposizione ai provvedimenti del governo Monti (e prima Berlusconi)
da una prospettiva politica che è stata completamente subordinata
alle geometrie elettorali prima della Fds, oggi del “quarto polo”;
un processo che ci ha resi un partito politicamente muto, nonostante
il continuo e generoso impegno della nostra militanza.
In questa chiave la campagna elettorale può e deve essere un
primo passaggio di costruzione, il cui obiettivo non sarà solo
il superamento degli sbarramenti, comunque possibile in un contesto
di forte mobilità del voto, di rabbia crescente nella società,
di ricerca di alternativa. La campagna elettorale può e deve
essere costruita come una semina per un futuro non lontano, nel quale
di fronte al nuovo quadro politico viene meno la paralisi temporanea
creata dall’unità nazionale sotto Monti e la lotta di classe
compressa all’estremo in questi mesi sarà destinata inevitabilmente
ad esplodere su scala anche più vasta di quanto visto in Grecia
e in altri paesi.