Partito
della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 9 - 10 giugno 2012
Documento respinto
Per un polo della sinistra di classe. Alternativi al Pd
La crisi economica entra in una nuova fase. Le contraddizioni dell’Eurozona sono arrivate al livello di guardia; l’uscita della Grecia dalla moneta unica viene considerata ormai pressoché inevitabile anche se si tenta di tenere la crisi congelata fino al voto del 17 giugno nel tentativo di impedire la vittoria di Syriza in una campagna elettorale polarizzata all’estremo, come in Europa non si vedeva da generazioni.
La crisi greca genera il timore di un effetto domino, con la Spagna in prima fila sotto attacco per la crisi bancaria (legata alla bolla immobiliare) e il debito pubblico sia statale che delle autonomie locali. Mai come oggi l’intera costruzione della moneta unica appare a rischio.
Ma non è solo l’Europa ad essere in crisi. Negli Usa i dati sulla disoccupazione confermano la natura flebile e altalenante del ciclo; più importanti ancora sono i segnali di forte rallentamento dell’economia cinese, che fino ad oggi era apparsa sostanzialmente immune dagli effetti della crisi.
Di fronte ai rischi di implosione della moneta unica avanzano ora ipotesi di ristrutturazione istituzionale e finanziaria dell’eurozona: eurobond, ulteriore integrazione e accentramento delle politiche di bilancio, norme ancora più stringenti sull’attacco ai diritti del lavoro e al welfare.
In un contesto nel quale la crisi dei debiti sovrani si avvia a nuove esplosioni e in cui la direzione di marcia delle diverse economie si divarica ulteriormente, è assai dubbio che i governi europei riescano a costruire un accordo di vasta portata che rafforzi significativamente l’integrazione europea. Il tentativo di “europeizzare” o “federalizzare” parte dei debiti pubblici e quindi dei bilanci non può che riprodurre su scala allargata le stesse contraddizioni che oggi si misurano nella divaricazione di condizioni che porta la Germania a finanziarsi a tassi inferiori all’1 per cento mentre l’Italia o la Spagna viaggiano tra il 6 e l’8 per cento.
Ma al di là di quanto verrà effettivamente deciso, appare più che mai evidente come la risposta “europeista” che unisce Draghi, Monti, Hollande, la Spd tedesca, il governo spagnolo conferma il suo carattere socialmente regressivo e antidemocratico. Non esiste un reale spazio emendativo o riformista all’interno dell’architettura dell’Unione europea e quelle forze che si illudono di poter praticare un “europeismo di sinistra” all’interno delle compatibilità capitalistiche saranno destinate al fallimento e ad essere lacerate.
È questo un nodo politico della massima importanza tanto più in presenza della forte avanzata elettorale di forze affini alla nostra e legate alla sinistra europea (Front de Gauche, Izquierda Unida, Syriza) che incorporano nella propria impostazione politica una ambiguità critica precisamente su questo terreno.
Siamo nella classica situazione nella quale è decisiva la capacità di elaborare una piattaforma programmatica basata sul concetto delle rivendicazioni transitorie, sulla capacità di connettere le lotte di resistenza alla prospettiva della rottura di sistema. Parole d’ordine quali la nazionalizzazione del sistema bancario, delle aziende che chiudono e licenziano, della rinazionalizzazione dei beni pubblici, della riduzione dell’orario di lavoro, della difesa dello Stato sociale si connettono alle lotte di resistenza oggi in atto ma assumono un carattere obiettivamente incompatibile con la gestione capitalistica della crisi. Su questo asse va indirizzata l’elaborazione programmatica che il partito ha deciso di intraprendere.
I risultati elettorali in Europa segnalano una svolta profonda. Per la prima volta dagli anni ’70 in una serie di paesi la radicalizzazione del movimento operaio e giovanile che si era già espressa nelle manifestazioni e negli scioperi generali cerca una espressione politica, per ora soprattutto sul piano elettorale, in forze alla sinistra del partito socialista europeo. Nonostante limiti e contraddizioni, il messaggio di estraneità e radicale opposizione alle politiche di gestione della crisi anche laddove queste siano state gestite da governi di sinistra o centrosinistra, ha pagato. La Grecia va analizzata come punta avanzata di un processo più ampio.
Il fatto che il nostro paese appaia oggi estraneo a questo processo di radicalizzazione si lega soprattutto a condizioni politiche specifiche, non certo a fattori materiali o strutturali.
Ha pesato e pesa il fatto che la crisi economica sia esplosa nel preciso momento in cui la sinistra usciva a pezzi dall’esperienza di governo ed entrava in una dinamica di disgregazione; la mancanza di riferimenti politici ha influito anche sul ripiegamento dei vertici della Cgil, un ripiegamento la cui profondità si misura oggi nella mancanza di qualsiasi battaglia credibile sulla controriforma Monti-Fornero.
Più volte in questi anni settori di lavoratori si sono messi in spalla l’intero peso delle contraddizioni rompendo il muro di passività e di consenso apparentemente unanime verso il governo tecnico. Più volte queste rotture hanno spinto il gruppo dirigente della Fiom a fare passi che potevano preludere alla costruzione di un fronte sindacale e anche politico capace di rompere la catena Monti-Pd-maggioranza Cgil. Tuttavia il bilancio di questo percorso ci parla soprattutto di una grande occasione persa da parte del gruppo dirigente della Fiom. Non può stupire in questo contesto la difficoltà dei lavoratori a produrre una forte resistenza. Tuttavia dobbiamo essere consapevoli che si tratta di una fase temporanea, la profondità delle contraddizioni non lascia spazi di manovra e si accumula dal basso una pressione che si farà ad un certo punto incontenibile. Se i gruppi dirigenti si ostinano a resistere a tale pressione e a non darle un canale di espressione organizzato, inevitabilmente si manifesterà sotto forma di esplosioni inaspettate e radicali delle quali abbiamo già avuto numerosi esempi negli anni recenti.
Il risultato delle elezioni amministrative mostra in primo luogo la profonda crisi del centrodestra, sia nella Lega che nel Pdl. Neppure il Pd sfugge al generale calo di consenso delle forze che sostengono il governo Monti e perde circa un voto su tre. Il tentativo centrista di raccogliere consensi presentandosi come i più coerenti sostenitori del governo fallisce completamente: Monti è popolare solo tra i padroni, ma questo non crea un bacino elettorale, al contrario; lo stesso varrà quindi per tutti i tentativi velleitari di creare liste di stampo confindustriale (v. Montezemolo).
Nonostante la sconfitta delle forze che sostengono Monti, il risultato elettorale rende più probabile il mantenimento di una legge elettorale di impianto bipolare, su questo si fonda la speranza del Pd di potere conquistare la guida del governo alle prossime elezioni politiche.
Il risultato della Fds deve essere valutato politicamente, poiché un dato di “tenuta” nel contesto di un cataclisma elettorale traduce la nostra incapacità, ad oggi, di raccogliere il crescente malcontento sociale che viene in primo luogo incanalato dal Movimento 5 stelle oltre che dall’astensione.
La prospettiva di una riedizione del centrosinistra esce quindi rafforzata, gli “ultimatum” di Vendola e Di Pietro al Pd confermano la volontà di aggrapparsi ad ogni costo ad un’alleanza col Partito democratico.
Il centrosinistra non è al riparo dalle dinamiche centrifughe che abbiamo visto in Grecia e in Spagna colpire pesantemente le forze socialiste corresponsabili delle politiche di austerità; tuttavia in Italia la portata potenzialmente deflagrante di questa contraddizione è ad oggi limitata dall’assenza di una credibile alternativa a sinistra.
Per questo il percorso che ci condurrà alle prossime elezioni politiche assume una importanza assai maggiore che in passato. È per noi un obiettivo centrale lavorare a delimitare nettamente un campo di sinistra che sia inequivocabilmente collocato al di fuori del perimetro delle forze che sostengono Monti e dei loro alleati presenti e futuri. Tradurre in una posizione politica la nostra opposizione alla gestione capitalistica della crisi significa scavare un fossato nei confronti delle forze responsabili del massacro sociale perpetrato da Monti, Marchionne, Fornero e compagnia; un fossato profondo almeno quanto quello che ha separato la sinistra d’alternativa greca dal Pasok. Solo così potremo rivolgerci con chiarezza a milioni di persone che pagano pesantemente la crisi e non vedono alcun riferimento politico credibile.
L’esiguità delle forze ad oggi organizzate dal Prc non ci esime da questo compito; al contrario, proprio perché rimaniamo la forza con la maggiore presenza organizzata a sinistra abbiamo il dovere di offrire un punto di riferimento. Un polo della sinistra di classe, l’opposizione alle politiche di austerità e alle coalizioni che le sostengono: questo è il progetto che proponiamo a tutti quei settori di classe che oggi si interrogano su come rispondere al vuoto di rappresentanza politica della classe lavoratrice. Una proposta che si distacca quindi con nettezza sia dalle varie “costituenti” che si propongono senza alcuna definizione programmatica, senza una chiara posizione riguardo le alleanze, spesso senza neppure riconoscere l’esistenza del conflitto sociale (si veda l’appello dell’Alba). Ma anche una proposta alternativa alla diplomazia proposta oggi dal gruppo dirigente della Fiom, che a un problema giusto (quale rappresentanza politica per i lavoratori) offre una risposta a dire poco arretrata proponendo che tale vuoto venga colmato attraverso la ricerca di candidati “amici” nelle fila del centrosinistra. A maggior ragione se si rivolge questo appello al Pd proprio poche ore dopo che i suoi massimi esponenti in parlamento hanno votato con entusiasmo la controriforma del lavoro con tanto di elogi al “coraggio” della ministra Fornero.
L’ondata di disgusto verso il sistema politico che gonfia il voto del Movimento 5 stelle non può essere contrastata con generici appelli alla “buona politica” o, peggio, strizzando l’occhio alla demagogia di Grillo. Il M5S come tutti i movimenti di populismo borghese e piccolo-borghese è un fenomeno composito nel quale sono confluiti in una prima fase soprattutto elettori di sinistra che intendevano mandare un segnale di rottura al Pd e a una sinistra screditata; in queste elezioni ha anche raccolto parte della crisi della destra, come dimostrano le uscite sull’evasione fiscale (e in precedenza contro gli immigrati) con le quali Grillo parla direttamente a quell’elettorato. È quindi un fenomeno politico che difficilmente può cristallizzarsi nella sua forma attuale e che è destinato a produrre esiti divergenti con il procedere della polarizzazione sociale e politica nel nostro paese.
Ma questo processo può avere uno sbocco positivo solo in presenza di una netta e credibile alternativa di sinistra che sappia radicare la sua battaglia nei luoghi di lavoro, fra i giovani e in tutti i settori popolari colpiti dalla crisi. Quale che sia il sistema elettorale e di alleanze con le quali si affronteranno le elezioni politiche, questo obiettivo deve essere al centro della nostra strategia; nel mezzo di una crisi che è economica, sociale e politica il prossimo passaggio elettorale contribuirà non solo a definire collocazioni parlamentari ed alleanze, ma sarà per quanto riguarda il Prc una vera e propria definizione di identità politica e di classe: precisamente ciò che è mancato in questi anni al nostro partito, in virtù di scelte ondivaghe e in ultima analisi sempre dettate da un criterio elettoralistico e istituzionalistico che sovrasta qualsiasi altra considerazione.
Quinta ruota del carro di un nuovo centrosinistra votato alla gestione dell’austerità, o parte costituente di un polo della sinistra di classe che si proponga come motore della resistenza e domani di una controffensiva dei lavoratori e di tutti gli sfruttati: non ci sono vie di mezzo tra queste due strade.
È necessario e possibile gettare oggi le fondamenta di una sinistra anticapitalista e rivoluzionaria che rompa le compatibilità del sistema e apra la strada all’alternativa socialista, questo è il messaggio che ci viene dagli avvenimenti dell’ultimo anno, in Europa e nel mondo. Sta in primo luogo a noi porci all’altezza di questo compito.
Claudio Bellotti, Franco Bavila, Donatella Bilardi, Maria Lucia Bisetti, Margherita Colella, Antonio Erpice, Lucia Erpice, Alessandro Giardiello, Mimmo Loffredo, Lidia Luzzaro, Sonia Previato, Jacopo Renda, Paolo Scarabelli, Ilic Vezzosi