Partito
della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 23- 24 settembre 2011
VIII CONGRESSO PRC – DOCUMENTO POLITICO N. 3
Opposizione sociale, resistenza alla crisi e questione comunista.
IL CONGRESSO NAZIONALE DEL PRC
L’VIII° Congresso del PRC si svolge in un contesto di profonda
crisi del sistema capitalistico, una crisi economica, sociale, ambientale
e culturale che riconferma in tutta la sua gravità la necessità
della costruzione dell’alternativa di sistema.
Per tenere aperta questa prospettiva, il PRC resta ad oggi uno strumento
ed uno spazio organizzato fondamentale, nonostante i gravi problemi
di linea politica e di orientamento strategico, e malgrado le pesanti
difficoltà che caratterizzano la situazione attuale.
Il nostro impegno è volto a ripristinare la centralità
del processo della “rifondazione comunista” che rappresenta
una delle motivazioni fondanti del partito, processo che ha tra gli
obiettivi prioritari una prassi orientata a identificare i contenuti
della democrazia con la prospettiva comunista, il superamento del verticismo
e dell’istituzionalismo e la riconquista della centralità
del corpo militante nella vita e negli indirizzi del partito.
Il PRC, grazie alla militanza di migliaia di compagni/e – nonostante
la forte crisi politico.organizzativa.- mantiene una presenza ed un
insediamento nazionale che non può essere disperso. Oggi questo
importante patrimonio e l’esistenza stessa del PRC sono nuovamente
a rischio a causa della linea fallimentare dell’attuale gruppo
dirigente che ha affossato la svolta di Chianciano (“in basso
e a sinistra”) e non ha praticato una reale diversità dal
“modello vendoliano”, nonostante la pesante scissione subita
nel 2009 e la tenace resistenza di tanti circoli e militanti alla liquidazione
del partito.
Di fronte alla durezza dello scontro di classe imposto dalla crisi,
riteniamo la proposta di unità a sinistra e di Fronte Democratico
col PD avanzata dal segretario Ferrero, fumosa nei contenuti e inconsistente
nella sostanza, con il rischio ancora una volta di condannare i comunisti
alla subalternità e di ridurne la presenza a semplice tendenza
culturale.
L’esigenza non più rinviabile di una sinistra anticapitalista
indipendente ed alternativa anche al PD spiega il vizio di origine ed
il fallimento della Federazione della Sinistra, una scelta che ha prodotto
dissenso e disorientamento in moltissimi compagni/e, vissuta come l’esplicito
tentativo di liquidare l’esperienza comunista in Italia.
La FdS è stata non solo un’operazione di vertice calata
dall’alto in nome di un malinteso senso tutto istituzionale della
“sopravvivenza” del partito, un’operazione priva di
un effettivo lavoro e radicamento nella società, oltre che di
una democratica legittimazione congressuale, la FdS ha soprattutto riprodotto
forti ambiguità e contraddizioni di linea politica sulle principali
questioni poste dallo scontro sociale e nei rapporti con il centrosinistra
(congresso CGIL, vicenda Fiat, accordo 28 giugno, accordi col PD, presenze
istituzionali, governismo..), dimostrando così di non aver fatto
tesoro della drammatica esperienza del Governo Prodi e della Sinistra
Arcobaleno, .che hanno pesantemente ridimensionato in particolare il
PRC, apparso inutile ed inaffidabile per ampi settori popolari.
La FdS non è quindi recuperabile con una “generica spinta
dal basso”, ma occorre criticare in profondità e rimuovere
questa illusoria scorciatoia politicista, che, come previsto, si sta
dimostrando sempre più incapace di svolgere un ruolo effettivo
nella società (vedi le diverse posizioni in merito all’accordo
dello scorso 28 giugno).
Dobbiamo inoltre salvaguardare l’autonomia del PRC, contro ogni
ipotesi di cessione di sovranità del partito nei confronti della
FdS..
ll congresso nazionale rappresenta quindi un passaggio decisivo per
segnare una svolta profonda che recuperi ed aggiorni i contenuti di
Chianciano nell’attuale fase segnata dalla crisi, dal bipolarismo
e dalla precarietà, per riconsegnare il partito ai suoi militanti,
per salvaguardare preziose energie ed esperienze, accumulate nei venti
anni della nostra esperienza.. L’attuale gruppo dirigente, a partire
dalla segreteria nazionale, deve fare un passo indietro!
Occorre dichiarare esaurita una fase politica e aprirne una nuova per:
- affrontare la necessità di una sinistra di alternativa su basi
completamente diverse, nel vivo dei conflitti, nel confronto sui contenuti
con tutte le realtà sociali e politiche disponibili, al di fuori
di forzature organizzative, settarismi e formule precostituite, con
una pratica tenace, coerente e di lunga lena, che rompa con il governismo,
le doppiezze e gli opportunismi degli attuali gruppi dirigenti, che
ricostruisca la credibilità della sinistra e l’utilità
di una forza comunista per milioni di proletari dopo la crisi di questi
anni;
- riprendere il percorso della rifondazione di un partito comunista,
questione centrale e tuttora irrisolta, a partire dai territori, radicando
il partito e sviluppando il confronto, l’iniziativa e la verifica
sui contenuti del programma, sulle pratiche sociali, sull’orizzonte
strategico e sulle forme organizzative con tutte le realtà disponibili
ad un processo di riaggregazione di forze comuniste.
Con questi indirizzi ci rivolgiamo ai compagni/e con un documento congressuale
aperto a contributi ed emendamenti che dai territori sviluppino e tengano
aperto un percorso di elaborazione e di verifica dal basso della linea
politica nel confronto quotidiano e nel vivo delle lotte.
L’ATTUALE CONTESTO DELLA CRISI
Il sistema capitalistico che da due secoli ha guidato le trasformazioni
storiche sta collassando, sotto il peso della propria irrazionale struttura
di accumulazione. Esso è arrivato ad un punto tale che non ha
più niente di positivo da offrire all’umanità. Questa
che stiamo vivendo non è solo una crisi periodica, che, come
ci ha insegnato Marx, sono strettamente connesse al modo di produzione
capitalistico, ma è la crisi di sistema oltre la quale il capitale
potrà andare avanti solo a costo di immani distruzioni e guerre
evidenziando con ancora più precisione, agli occhi di milioni
di proletari, il suo carattere barbarico e profondamente incivile.
Dopo la crisi di sovrapproduzione degli anni '70, la crisi di sovrapproduzione
finanziaria dei capitali di inizio millennio, sta ora producendo un
debito sempre più incontrollabile e dunque non pagabile. La via
di uscita del capitale è il massacro dei lavoratori, in tutto
il mondo. Massacro del mondo del lavoro e di tutte le conquiste sociali
laddove esse sono state ottenute. Non è escluso, che, come nel
'29 si uscì dalla crisi con la seconda guerra mondiale, si arrivi
ad un conflitto internazionale generalizzato (in parte già iniziato,
Kosovo, Iraq, Afghanistan, Libia...).
La crisi economica finanziaria attuale sta evidenziando con nitidezza,
agli occhi di milioni di proletari, il carattere barbarico e incivile
del sistema capitalista: si producono per poi distruggerle, quantità
enormi di generi alimentari e di medicine, mentre intere popolazioni
muoiono di fame e di banali malattie.
Si producono quantità enormi di armi, per decimare intere popolazioni
e rapinarle delle loro materie prime, mentre altre popolazioni vengono
decimate dall’inquinamento ambientale. Tutto ciò mentre
nei paesi industrialmente più sviluppati, il lavoro precario
impedisce a intere generazioni di pensare al proprio futuro e la disoccupazione
colpisce una persona su tre, mentre gli operai occupati sono costretti
a lavorare in condizioni di stress inauditi e per salari da fame. Questo
è quello che il sistema capitalista riesce ad offrire all’umanità
per il XXI secolo e che anche l’ultima manovra governativa conferma
drammaticamente.
Da sempre le forze opportuniste hanno operato per nascondere la tendenza
e la condizione strutturale, di rapina, sfruttamento e guerra dell’imperialismo,
cercando di fare credere che la politica dei paesi imperialisti fosse
modificabile e riformabile, che fosse sufficiente cambiare il nome di
chi guida il governo per cambiare lo stato di cose presenti.
Infatti la natura querrafondaia dell'imperialismo americano con l'arrivo
di Obama al posto di Bush, non ha certamente messo fine alla guerra
in Iraq o in Afghanistan, cosi come non ha impedito il bombardamento
del popolo libico. Come nel passato il democratico Kennedy iniziò
la guerra in Vietnam, cosi i democratici Clinton e D’Alema fecero
la guerra alla Jugoslavia.
Inoltre, la guerra rappresenta un’esigenza intrinseca al sistema
stesso: essa è lo strumento di annessione/controllo di aree turbolente
e non normalizzate, è una “soluzione” funzionale
allo stesso sistema capitalistico che vede il settore militare come
uno dei più importanti settori produttivi e rappresenta pertanto
un pilastro delle politiche imperialistiche. Non a caso gli USA hanno
una spesa militare enorme, che raggiunge la metà di tutti gli
investimenti militari planetari: gli Stati Uniti mantengono l’egemonia
mondiale grazie a questo apparato politico-militare.
Anche l’Italia e l’UE giocano un ruolo imperialistico: da
noi, è in particolare il Partito Democratico il maggiore rappresentante
del ruolo imperialistico europeo e italiano (non dimentichiamo le esaltate
parole del Presidente Napolitano, schierato con i bombardamenti in Libia).
Anche l’Italia sta operando per ritagliarsi un nuovo ruolo e spazio
politico.
A fronte di questo scenario la posizione dei comunisti è comunque
contro la guerra, contro la “normalizzazione” della guerra,:
fermare le operazioni militari, i bombardamenti e le occupazioni neocolonialiste
è essenziale e non può avere alcuna eccezione.
Occorre reclamare l’interruzione dei bombardamenti subito e chiedere
il ritiro delle truppe da tutti gli scenari di guerra (la fine cioè
delle cosiddette “missioni umanitarie”); occorre opporsi
all’aumento delle spese militari, all’acquisto e produzione
di mezzi bellici sempre più sofisticati e letali, mentre vanno
richiesti la fine dell’esercito professionale e il ritorno ad
un esercito di leva da riconvertire profondamente secondo un modello
di difesa popolare e protezione civile; è necessario impedire
la militarizzazione del territorio, l’estensione di basi militari
esistenti o l’apertura di nuove; bisogna tornare alla richiesta
fondamentale dell’uscita dalla NATO.
La situazione sociale e politica prodotta dalla crisi ed anche i recenti
provvedimenti evidenziano una crescente instabilità degli assetti
di potere, una crisi evidente del blocco sociale che ha sostenuto i
governi di centrodestra, una forte potenzialità di cambiamento,
espressa da importanti lotte dei lavoratori, dei migranti, per i diritti
sociali, nei territori e sui beni comuni, ma al tempo stesso questa
situazione mostra tutta la inadeguatezza della sinistra a indicare una
chiara prospettiva di alternativa al capitalismo, e la mancanza di una
adeguata rappresentanza politica della classe.
I COMUNISTI, LA QUESTIONE DELL’UNIONE EUROPEA E LA PROSPETTIVA
INTERNAZIONALISTA.
La stessa illusione politicista è stata alimentata sulla natura
e il ruolo dell’Unione Europea, nonostante che i trattati di Maastricht,
Amsterdam e Lisbona avessero evidenziato bene la loro natura imperialista
e nonostante che si capisse chiaramente il micidiale strozzinaggio che
si stava preparando per i proletari dei Paesi membri.
I vincoli economici e finanziari imposti ai vari Paesi, la forte concentrazione
monopolistica, il dominio e la ricerca del massimo profitto della grande
borghesia, stanno mettendo seriamente in pericolo la stessa sovranità
dei singoli Stati dell’Unione. La vicenda greca ne è solo
l’esempio più palese e tende a riprodursi anche in altri
paesi, ivi compresa l’Italia..
Le banche, i monopoli, le multinazionali e le grandi corporations, che
sempre più assumono il ruolo di guida nell’economia globale,
la borghesia parassitaria per difendere i loro profitti sono riusciti,
di fatto, con l’introduzione dell’euro a svalutare i salari
e gli stipendi di milioni di lavoratori europei e sono riusciti anche
a farsi ripianare, con una montagna di denaro pubblico, i disastri economici
e finanziari da loro stessi creati.
Le forze politiche socialdemocratiche hanno di fatto accettato questa
gabbia e si sono adoperati per far credere che questa Unione Europea
si potesse modificare standoci dentro ed entrando nelle sue istituzioni,
facendogli assumere un carattere democratico e un ruolo progressista,
da usare per controbilanciare e competere con gli altri poli imperialistici.
Anche una parte delle forze di alternativa, come la Sinistra Europea,
sono state inadeguate e contraddittorie: non basta più un generico
appello ad “un'altra Europa”, occorre chiamare la parte
più avanzata del proletariato, della classe operaia, italiana
ed europea, a unirsi per dire NO! al governo unico delle banche, al
massacro sociale ed alla devastazione ambientale, per rompere questa
gabbia imperialista e per costruire un’Europa di cooperazione
tra i popoli, pace e lavoro, un’Europa dove le tasse siano messe
sui profitti, le rendite ed i patrimoni e non sui salari, stipendi e
pensioni.
Di fronte ai nuovi diktat della BCE, a cui si inchinano sia i governi
di centrodestra che quelli di centrosinistra, riteniamo urgente lanciare
la parola d’ordine di non pagare il debito e/o rivendicarne una
concreta moratoria.
Cancellare il debito significa togliere l’acqua con cui si abbevera
la grande borghesia, significa liberare enormi risorse per risanare
il nostro paese, per rilanciare e riconvertire una economia produttiva,
compatibile con l’ambiente. La cancellazione del debito ci permetterebbe
davvero di difendere i beni comuni, rilanciare la ricerca, la scuola
pubblica, eliminare il precariato e la disoccupazione, migliorare la
sanità e dare una casa a tutti.
Non abbiamo altra scelta, dobbiamo lottare per chiudere il fiume di
denaro che quotidianamente scorre dalle casse dallo stato alle casse
dei gruppi monopolistici e della rendita parassitaria. Siamo consapevoli
che questo significa mettere in discussione gli attuali rapporti di
potere, ma ci sembra che il compito dei comunisti debba essere questo
e non altro.
Più in generale è necessario un salto di qualità
nella lotta contro questa Europa e, dopo dieci anni di moneta unica
europea e di macelleria sociale, non è più possibile rimandare
una riflessione che faccia un bilancio di tale scelta e individui obiettivi
più efficaci per la difesa dei ceti popolari.
In questo senso occorre procedere in tempi brevi alla costituzione di
un coordinamento europeo (anche oltre la SE) tra tutte le forze anticapitaliste
e comuniste allo scopo di organizzare iniziative comuni di lotta e di
proposta alternativa contro questa Europa.
Di fronte all’attacco capitalistico, ormai condensato su scala
globale, si tratta di riprendere un percorso di ritessitura di una internazionale
comunista, superando la vecchia visione monolitica, verticistica e burocratica,
costruendo rapporti e legami con le concrete realtà di lotta
delle altre esperienze che nel mondo non hanno ceduto al revisionismo
e mantengono visibile il loro impegno anticapitalista e per una prospettiva
comunista.
Questo percorso dovrà svilupparsi con una prassi democratica
ed un costante confronto pluralistico, che rifugga da ogni tentazione
egemonica e faccia tesoro degli errori, dei fallimenti e delle sconfitte
delle esperienze storiche del movimento operaio internazionale che hanno
portato all’89 ed agli scenari successivi.
I COMUNISTI, I CONFLITTI SOCIALI IN ITALIA E LA QUESTIONE SINDACALE
Il 2010 verrà ricordato nella storia del movimento operaio Italiano
come l’anno del micidiale attacco politico ai diritti sociali
e alle organizzazioni operaie e sindacali in fabbrica, verrà
ricordato come l'anno in cui il grande padronato, con in testa la Fiat,
ha cercato di imporre la centralità dell'impresa come unico orizzonte
possibile.
L'Obiettivo dichiarato di Marchionne è infatti l'eliminazione
di ogni difesa individuale e collettiva da parte dei lavoratori, e perché
ciò sia possibile va eliminata la presenza di qualsiasi sindacato
che non si riconosca pienamente nella logica dell'azienda, nei suoi
obiettivi e priorità. Nonostante lo sciopero generale del 6 settembre
indetto dalla CGIL contro la inaccettabile manovra economica del Governo,
la Camusso, con la firma del 28 Giugno e del cosiddetto Patto per la
crescita insieme a CISL e UIL, riprende la strada fallimentare della
concertazione a sostegno della libertà di competere dell'impresa,
a scapito dei diritti e degli interessi dei lavoratori.
Gli operai combattivi e tutti coloro che non vogliono piegare la testa,
come le esperienze di lotta più avanzate, la Fiom, il sindacalismo
di base, sono avvisati, la rappresaglia sarà usata come una corda,
pronta a stringersi attorno al collo per eliminare qualsiasi elemento
di disturbo al nuovo ordine aziendale, alla libertà d'impresa
ed all’uso del dunping sociale come elemento fondante della concorrenza
sui mercati.
Insomma Marchionne, Bonanni, Angeletti e ora anche la Camusso, stanno
dentro, sia pur con le loro differenze, ad una strategia di uscita dalla
crisi, quella dell'azienda globale senza vincoli nazionali o territoriali,
senza alcuna “responsabilità sociale”, che punta
a trovare i luoghi di insediamento di maggior vantaggio, giocando su
processi produttivi standardizzati al massimo e condizioni locali differenziate
(livelli salariali, flessibilità, aiuti di stato come negli Usa
o in Serbia, libertà sindacali, ecc).
Sul piano sindacale, il “piano Marchionne” ha affondato
il suo bisturi in strutture spappolate da almeno due decenni di “consociativismo”,
nel corso dei quali è stata selezionata una casta burocratica
adatta alla trattativa purchessia e ormai avversa a qualsiasi pratica
conflittuale. Mentre sul piano politico, oltre che sull’appoggio
scontato del centrodestra, Marchionne può contare nei fatti sul
sostegno del PD che vuole far credere che il capitalismo si possa umanizzare
e democratizzare, e che aveva ritenuto addirittura inopportuno lo sciopero
generale indetto dalla CGIL in nome della “responsabilità”
nazionale invocata da Napolitano..
Di fronte a questo disastro, è necessario che in tutti i luoghi
di lavoro si apra un ampio dibattito andando oltre le appartenenze a
questo o quel sindacato, a questa o quella area sindacale. E’
necessario che i lavoratori più combattivi si coordinino, a prescindere
dalla collocazione di ciascuno, riprendano la parola e ripartano da
se stessi, dai luoghi di lavoro, per rilanciare un movimento unitario
di delegati e attivisti per la ricostruzione di un sindacalismo di classe.
Continuare a non comunicare e agire solo nel recinto del proprio orticello,
favorisce solo gli avversari e le controparti.
In questa direzione,le iniziative autoconvocate come quella delle opposizioni
sindacali e sociali convocata per il primo ottobre 2011, e le manifestazioni
europee del 15 ottobre promosse dagli “indignati” rappresentano
momenti importanti e qualificanti da sviluppare nei territori per ricomporre
un ampio fronte di resistenza alla crisi.
Affinchè questo progetto abbia gambe per camminare, è
necessario che i tanti compagni comunisti, si decidano a fare un bilancio
critico e autocritico del lavoro politico e sindacale svolto nella CGIL
e nel sindacalismo di base negli ultimi 20 anni.
Diventa prioritario ricostruire, in un rapporto dialettico con le variegate
realtà dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati e con le
particolari condizioni di lavoro dei migranti, una linea sindacale di
classe, basata su precisi contenuti ed obiettivi, che caratterizzi l’iniziativa
dei comunisti, al di là della loro esperienza e collocazione
sindacale, allo scopo di contrastare, in particolare nella CGIL, qualsiasi
ipotesi concertativa, superare gli stessi limiti presenti nel sindacalismo
di base (frammentazione, settarismo…), favorire l’unità
dei lavoratori, il collegamento e l’unificazione delle lotte.
Non la presenza negli apparati sindacali, ma i contenuti ed il ruolo
nelle lotte devono tornare ad essere il riferimento vincolante per dare
continuità e credibilità alla nostra iniziativa nel movimento
operaio e sindacale.
Più in generale Il confronto sulla reale presenza nei conflitti
sociali, sulla capacità di promuoverli ed orientarli, rappresenta
uno degli elementi costituenti di un nuovo processo di ricostruzione
della rappresentanza di classe e di riaggregazione di realtà
comuniste e anticapitaliste, un elemento essenziale per capire gli errori
compiuti, superare le reali divergenze, criticare il carattere separato
e di ceto politico, dunque moderato, che ha caratterizzato l’esperienza
della Sinistra Arcobaleno e più recentemente la stessa operazione
della Federazione della Sinistra.
MAGGIORITARIO, SBARRAMENTI, BIPOLARISMO E PRIMARIE: LA “DEMOCRAZIA”
CHE SERVE AI CAPITALISTI ED AL CETO POLITICO
Il sistema capitalistico, nella fase della massima diffusione coincidente
con la sua crisi di sovrapproduzione, ha bisogno di una “democrazia”
che sia semplice gestione delle masse e garantisca ai capitalisti il
massimo controllo politico della società, il perpetuarsi del
suo dominio di classe e soprattutto mantenga lubrificata la sua macchina
economica attraverso il consumo continuo e totalizzante di ogni aspetto
della vita.
Uno degli strumenti per ottenere questo simulacro di democrazia è
stata la sostituzione del sistema elettorale proporzionale, previsto
dalla nostra Costituzione, con quello maggioritario. Con il maggioritario
ed il conseguente bipolarismo (bipartitismo) le classi subalterne non
hanno la possibilità di esprimere, partendo dai propri bisogni,
programmi e candidati adeguati, che sono, invece, scelti dall’alto
da segreterie di partiti che hanno accettato il primato dell’impresa.
Il maggioritario ed anche lo stesso meccanismo delle primarie personalizzano
la politica, la rendono individualista e accentuano il processo di delega,
facendo credere alle classi subalterne che esiste l’uomo della
provvidenza, in grado di risolvere tutto.
In questo modo si destruttura la verità storica e scientifica
che ha abbondantemente dimostrato che la politica e la storia la fanno
le classi organizzate e che i singoli individui che emergono sono il
prodotto di quelle forze.
Lo scopo di questa destrutturazione culturale delle classi subalterne
serve alla borghesia per impedire che in esse si faccia strada la comprensione
dell’esatto funzionamento politico della società, e si
smascheri in particolare la tecnica dell’eterodirezione (cioè
della direzione dall’esterno) della politica: non bisogna percepire
che le classi che si fronteggiano realmente sono due, i capitalisti
e il proletariato.
Occorre quindi lanciare una lotta contro questo sistema elettorale truffaldino,
introdotto in Italia negli anni Novanta grazie ai liberali di Segni
e al PDS di Occhetto, ampliato poi con la riforma del Titolo V della
Costituzione - che dà a sindaci e presidenti di Province e Regioni
poteri decisionali abnormi svilendo il ruolo delle assemblee elettive
– e peggiorato con la riforma Calderoli, detta “Porcellum”
che concede l’assurdo premio di maggioranza e vanifica il principio
costituzionale di eguaglianza tra i cittadini nell’espressione
del voto.
Questo sistema elettorale, maggioritario e bipolare, sta tutto nella
logica dell’alternanza che tende a convergere al centro, e togliere
rappresentanza alle espressioni più alternative e antagoniste
al capitalismo oppure a “costringerle” ad accordi elettorali
subalterni, mortificando così lo stesso principio di rappresentanza
democratica.
Serve, in una parola, ad escludere la classe da qualsiasi possibilità
di utilizzare il terreno istituzionale per difendere i propri interessi
e quindi ampliare gli spazi di agibilità democratica nella società.
Dobbiamo batterci per tornare al proporzionale, senza correttivi o
sbarramenti, riprendendo l’impianto della Costituzione del 1948
per evitare il gravissimo rischio di “riforme” (ivi comprese
le primarie nelle diverse articolazioni proposte) che le varie forze
di governo e di opposizione presentano come moderne e di ”aggiornamento”
della Costituzione, e per togliere qualsiasi alibi per alleanza subalterne
da parte della sinistra, come avvenuto negli ultimi anni.
Occorre unire la difesa del ruolo delle assemblee elettive e la promozione
di esperienze di partecipazione popolare dal basso nella gestione della
cosa pubblica, contro le privatizzazioni e per la difesa dei servizi
sociali, alla denuncia forte e puntuale di tutti gli aspetti degenerativi
del ceto politico istituzionale (stipendi, privilegi, burocrazia..),
frutto di una concezione della politica separata dalla vita quotidiana
delle persone e considerata come “mestiere-carriera” personale,
concezione che ha fatto breccia anche a sinistra e nel nostro partito,
con fenomeni di deteriore istituzionalismo, di trasformismo e clientelismo
legate a logiche di potere personale o di corrente.
Solo praticando nel vivo dello scontro sociale una reale diversità
ed estraneità da questo sistema e dunque facendo pulizia anche
nel nostro partito di certi comportamenti, sarà possibile rilanciare
il valore alto della politica e impedire qualsiasi deriva autoritaria
e qualunquista che strumentalizzi il diffuso e legittimo malcontento
popolare contro la “casta”.
La ferma opposizione alle scelte liberticide del Governo Berlusconi
(Costituzione, magistratura, informazione, leggi ad personam..), la
denuncia della crescente repressione poliziesca (in ValSusa, contro
lavoratori e studenti..), la lotta per un sistema elettorale proporzionale
contro il maggioritario ed il bipolarismo si uniscono a quelle contro
la concertazione e per una rappresentanza sindacale democratica, a quelle
per i diritti sociali e per non pagare i costi della crisi. Per questi
motivi consideriamo la proposta di un Fronte Democratico col PD, finalizzata
a costruire un’alternativa a Berlusconi, fuori dalla realtà,
sbagliata e subalterna proprio perché la questione democratica
è in questa situazione sempre più legata a quella sociale,
e non può essere risolta da una coalizione di centrosinistra
e da un partito, il PD, che dimostrano ogni giorno di essere subalterni
alle “direttive” delle banche e interni alle compatibilità
del capitalismo (crisi, guerre “umanitarie”, lotte operaie,
fiat, grandi opere, privatizzazioni, questione morale..) .
Il PRC insieme a tutta la sinistra anticapitalista ha ovviamente il
compito di essere in prima fila per cacciare-sconfiggere Berlusconi,
ma, per dare concretezza a questo obiettivo, è essenziale ricostruire
da subito un profilo indipendente ed alternativo al PD per non ritrovarsi
nuovamente stritolati in un quadro politico tutto interno alle compatibilità
capitalistiche e in una situazione sociale ancor più drammatica
dell’ultimo Governo Prodi.
Più in generale, non è pensabile rifondare un partito
comunista senza cogliere l’importanza di questa lotta per la democrazia
e per l’attuazione della Costituzione, facendo propri gli obiettivi
della Resistenza e dei Costituenti, ovvero l’egualitarismo, l’antifascismo
e la possibilità per le classi subalterne di prendere in mano
e cambiare la direzione della cosa pubblica e dell’economia.
In particolare l’impegno e la vigilanza antifascista mantengono
tutta la loro attualità per impedire che nella crisi economica
dilaghino razzismi e guerre tra poveri.
RICOSTRUIRE L’OPPOSIZIONE DI CLASSE,
BASTA POLITICHE GOVERNISTE !!
Opposizione sociale e resistenza alla crisi.
Unire e far crescere le diverse lotte di resistenza alla crisi rappresenta
il compito immediato per sviluppare un forte movimento di opposizione
sociale e politico contro le manovre antipopolari del Governo ed i vari
patti tra le parti sociali, ivi compreso quello dello scorso 28 giugno.
Nell’ambito di questo movimento che sta crescendo in questi mesi
con l’appello “dobbiamo fermarli!” e con varie esperienze
nei territori, può e deve riaggregarsi una sinistra anticapitalista,
composta di varie soggettività, ma necessariamente caratterizzata
da un programma e da una pratica indipendente ed alternativa al centrodestra
e al centrosinistra-PD.
Un programma di obiettivi precisi e qualificanti:
Non pagare il debito, nazionalizzare le principali banche, colpire la
speculazione finanziaria e l’evasione fiscale, tassare i grandi
patrimoni ed i redditi alti, tagliare le spese militari e ritirarsi
subito dagli scenari di guerra, fermare le grandi opere inutili e dannose,
come la TAV, il Ponte sullo Stretto, gli inceneritori..rappresentano
provvedimenti irrinunciabili per reperire le risorse necessarie a creare
lavoro stabile, reddito, diritti, servizi e diritti sociali per tutti,
contro ogni razzismo e discriminazione. Ripartire dall’esito referendario
per sottrarre i beni comuni dalle leggi del mercato, estendere la democrazia,
in particolare nei luoghi di lavoro, e lottare a fondo contro la corruzione
e tutti i privilegi.
La rifondazione comunista…
Un movimento di opposizione al capitalismo ha bisogno dell’azione
e del ruolo qualificante di un partito comunista, un partito che non
solo intenda rappresentare gli interessi degli operai, ma che sia di
classe perché fatto da tanti lavoratori e lavoratrici in carne
ed ossa, un partito in cui tanti proletari sappiano riconoscersi per
costruire un’alternativa di sistema e vedere una prospettiva al
di là della mera sopravvivenza quotidiana
Rinnoviamo questa profonda convinzione non per principio astratto, ma
sulla base della concreta esperienza, coscienti che l’affermazione
non è sufficiente di per sé a superare i problemi che
abbiamo di fronte e che un partito comunista non esaurisce l’ampiezza
e la pluralità di un movimento anticapitalista, né risolve
in modo esclusivo la questione della rappresentanza politica della classe.
Dal fallimento di varie esperienze e formazioni comuniste nella storia
del movimento operaio nazionale ed internazionale, abbiamo imparato
che non basta la parola, nè lo stesso simbolo della falce e martello,
per altro irrinunciabili.
Occorre fare i conti con le difficoltà, con le differenze e la
frammentazione delle realtà organizzate che si richiamano al
comunismo, con le frequenti derive opportuniste (le più pericolose!),
ma anche con le logiche settarie ed autoreferenziali, con le numerose
scissioni, che hanno prodotto sconfitte, sfiducia, arretramenti pesanti
ed un’ampia “diaspora” di militanti.
…una semplicità difficile a farsi!
In questo contesto sta crescendo una giusta e diffusa iniziativa da
parte di tanti/e comunisti/e per fermare la crisi e la frammentazione,
riaggregare le forze, colmare il vuoto di rappresentanza politica della
classe e riprendere il percorso della rifondazione-ricostruzione di
un partito comunista.
Abbiamo il dovere di rispondere a questa domanda, ma diciamo con altrettanta
chiarezza che non può bastare un nuovo generico appello alla
“unità dei comunisti”, senza affrontare i nodi politici
che il conflitto di classe e le esperienze passate ci pongono. Già
in nome di questa parola d’ordine, sono state riproposte vecchie
logiche di apparato, di unificazione burocratica tra gruppi dirigenti,
scorciatoie politiciste e/o puramente identitarie-simboliche.
Non vi è unità dei comunisti senza autonomia politica
e culturale. E’ possibile costruire una solida unità solo
nella chiarezza della linea politica, di una linea indipendente e alternativa
al centrosinistra, di una coerente pratica sociale e gestione democratica
dell’organizzazione.
.
Non siamo d’accordo per questo con la scelta fatta dai compagni
de l’Ernesto di confluire all’interno del PdCI senza affrontare
le grosse contraddizioni teoriche e politiche di questa formazione,
divenuta sempre più un involucro vuoto, e senza rimettere in
discussione il contenitore politicista della Federazione della Sinistra.
Nel PdCI non si parla più di partito di lotta e di governo, ma,
salvo rare eccezioni, si pratica solo l’attività di governo
in tutte le giunte dove il PD non mette il veto, giustificandosi con
la debolezza dei rapporti di forza! Per questo non condividiamo che
la riaggregazione di forze comuniste passi attraverso la scorciatoia
di una unificazione col PdCI..
.
Una discontinuità necessaria.
Per non diventare una parola d’ordine vuota, la rifondazione comunista
ha bisogno di un supplemento di discontinuità e di riflessione
rispetto al passato, considerate le pesanti sconfitte del ‘900
e le esperienze negative che abbiamo alle spalle, deve ricostruire antidoti
più solidi ed efficaci contro tutti i meccanismi e le forme di
potere che contestiamo ai nostri avversari e che tendono a riprodursi
anche al nostro interno, con il risultato di compromettere la nostra
funzione di alternativa:
- La centralità di una linea politica anticapitalista e di una
pratica di opposizione, elaborate e verificate nel vivo della lotta
di classe e del radicamento sociale rappresenta un primo elemento di
garanzia;
- La critica alla “doppiezza” tra enunciazioni “rivoluzionarie”
e pratica politica opportunista, diventa una necessità per recuperare
una sostanziale coerenza tra fini e mezzi della azione politica, tra
programma e scelte istituzionali. Non si tratta di negare per principio
possibili mediazioni, ma queste devono conquistare risultati concreti,
aprire nuovi spazi all’iniziativa di classe e migliorare i rapporti
di forza, non logorarli o distruggerli come avvenuto con i governi Prodi!
Non è più possibile stare con gli operai di Pomigliano,
della Fiat, della Piaggio, con chi lotta contro la guerra, contro la
precarietà e le privatizzazioni, contro la TAV e gli inceneritori,
e poi fare alleanze di governo ai vari livelli con quelle forze politiche
che sostengono Marchionne e il primato delle imprese, approvano le guerre
“umanitarie” e le grandi opere;
- l’impegno a rimettere in discussione il carattere maschile
e patriarcale, prevalente non solo nella società, ma anche nella
organizzazione del partito, per creare le condizioni di una effettiva
partecipazione delle donne;
- la presenza nelle istituzioni non può essere il fine della
nostra azione politica, ma uno degli strumenti, sicuramente importante,
per sostenere l’ iniziativa sociale, per dare voce alla nostra
proposta alternativa, conquistare risultati concreti, aprire contraddizioni
negli assetti di potere, una presenza che deve essere profondamente
diversa dai meccanismi di potere per non diventare deteriore “istituzionalismo”
(separatezza, carrierismo, doppiezza, privilegi..). Poiché il
carattere prevalente del nostro ruolo in questa fase storica deve essere
quello dell’opposizione, occorre una rigorosa verifica in questo
senso delle nostre presenze istituzionali e degli accordi nei governi
locali, verifica non a caso rimasta sulla carta dopo il congresso di
Chianciano;
- l’organizzazione del partito e lo stile di lavoro devono essere
coerenti con le finalità del nostro programma politico. La democrazia
interna, la partecipazione di base nella definizione delle scelte, la
formazione dei programmi di lavoro e dei gruppi dirigenti, l’attribuzione
delle responsabilità, i livelli organizzativi devono ispirarsi
sempre più alle esperienze più avanzate della democrazia
consiliare, alla presenza nei conflitti sociali, alla centralità
dei circoli, al primato del lavoro collettivo, ai criteri dell’inchiesta,
alla verifica dei piani di lavoro, alla rotazione negli incarichi, limitando
al massimo il funzionariato politico e la presenza nelle istituzioni
per non più di due mandati. In particolare gli incarichi istituzionali
e le responsabilità di partito non possono rappresentare la risposta
ai problemi individuali di lavoro e precarietà che vivono tanti
quadri del partito, allo scopo di salvaguardarne l’indipendenza
materiale e politica.. La formazione politica e la socializzazione delle
esperienze, rivolta in particolare ai giovani ed ai militanti impegnati
nel lavoro di massa, sono indispensabili per la crescita di un gruppo
dirigente diffuso, esperto ed affidabile. Analogo ragionamento occorre
fare per gli strumenti informativi e per il giornale. Il degrado della
vita interna del PRC in termini di democrazia e partecipazione, in atto
ormai da anni, è in primo luogo il frutto della deriva politicista
e della mancata svolta a sinistra;
- gli strumenti dell’’autofinanziamento del partito devono
diventare sempre più indipendenti dalle istituzioni e legati
al lavoro di massa (tesseramento, feste di liberazione, cene, sottoscrizioni
finalizzate a progetti politici..), mentre i GAP possono rappresentare
un’esperienza utile e funzionale al progetto politico solo in
un quadro di crescita dell’autorganizzazione popolare e di coerente
pratica politica del partito stesso;
- la tutela del pluralismo interno ad ogni livello rappresenta un basilare
diritto democratico ed un elemento di contrasto al ruolo devastante
esercitato dal maggioritario anche all’interno della sinistra.
Il pluralismo non ha niente da spartire con l’attuale situazione
di aree politiche chiuse e cristallizzate in competizione tra loro per
il controllo del partito che ha prodotto logiche spartitorie e di nomina
dei dirigenti, basate sulla fedeltà alla “corrente”,
a discapito delle capacità politiche, di critica e di iniziativa
espresse da tanti compagni/e impegnati nel lavoro di massa. .Adesso
la giusta e diffusa insofferenza nei confronti di queste degenerazioni,
viene usata per richiamare il partito all’unità e sminuire
i dissensi sugli evidenti problemi di linea politica. A Chianciano il
partito fu salvato dalla liquidazione da una esplicita lotta politica
e dal protagonismo di tanti compagni/e che, sulla base di chiare opzioni,
allora contribuirono a quel risultato. Oggi riteniamo necessaria una
chiara proposta alternativa a quella della segreteria uscente. Ribadiamo
la convinzione che non è stato il confronto tra posizioni diverse
a causare l’attuale crisi del PRC, ma la svolta moderata e la
mancanza di una reale dialettica, che ha bisogno di democrazia, iniziativa,
verifica e sintesi collettiva. L’assenza di dialettica è
sicuramente uno dei fattori che condiziona le attuali scelte di opportunismo
politico in nome della “sopravvivenza” vista solo come ritorno
in Parlamento.
CONCLUSIONI
Con Questo documento ci rivolgiamo in primo luogo ai militanti di base,
dei circoli, ai quadri intermedi e di movimento del PRC, al di là
della loro collocazione nello scorso congresso di Chianciano, ci rivolgiamo
anche a tutte le esperienze ed ai compagni esterni al partito, interessati
a questa proposta politica.
Esprimiamo la ferma convinzione che oggi, a maggior ragione nella situazione
sociale e politica imposta dalla crisi, non ci sono le condizioni per
partecipare a maggioranze e coalizioni di governo (magari consolandoci
con i cosiddetti “contenuti programmatici), in grado di prendere
provvedimenti tangibili e verificabili in favore della propria base
sociale. Prima che sia troppo tardi, noi pensiamo che sia prioritario
lavorare alla costruzione dell’opposizione sociale e politica
per l’alternativa di sistema, facendola finita di far credere
che un nuovo governo di centro sinistra farebbe cose molto diverse dal
governo di centro destra.
Gli operai che resistono, le vertenze dei precari, degli studenti e
degli insegnanti, le lotte delle popolazioni contro la TAV, gli inceneritori
e gli scempi ambientali, l'eccezionale risultato dei referendum, quanti
si oppongono alle guerre ed alle privatizzazioni ci dicono che ci sono
ancora milioni di persone non disponibili a piegarsi ai valori barbari
e incivili del capitalismo e del suo mercato.
I comunisti, se ancora esistono, sono chiamati a battere un colpo.
SE NON ORA, QUANDO?
Pasquale D’Angelo, Matteo Malerba, Antonello Manocchio, Laura
Petrone, Vincenzo Simoni, Sandro Targetti
(presentato al Cpn del 23-24/9/2011)