Partito
della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 21 - 22 maggio 2011
Relazione Gianluigi Pegolo
Per supportare l’analisi, che vi proporrò, mi sono avvalso
delle seguenti fonti: dati su comuni e province elaborati dalla compagna
Tisba per conto del nostro ufficio elettorale, elaborazioni dell’Istituto
Cattaneo, altre informazioni desumibili da ciò che stato pubblicato
in questi giorni. Cercherò di essere il più sintetico
possibile e per non appesantire l’esposizione eviterò di
riportare dati numerici.
Lo scenario generale emergente dai risultati può essere così
descritto: crescita dell’insieme delle forze del centro-sinistra,
calo di quelle del centro-destra e infine stazionarietà del terzo
polo. Entriamo nel dettaglio.
Il calo del centro destra è molto significativo. Esso riguarda
in primis Milano, dove la sconfitta è cocente e il successo di
Pisapia, rispetto alla Moratti, assume proporzioni impreviste sfiorando
la vittoria al primo turno. La cosa è ancora più ragguardevole
se si considera che Milano era stata assunta da Berlusconi come un test
nazionale e in ragione di ciò il premier aveva deciso di capeggiare
la lista del PdL. Il risultato è pesante e lo stesso Berlusconi
ne paga il prezzo con il dimezzamento delle preferenze personali. Fino
a che punto il risultato milanese può essere legato all’acutizzazione
dello scontro in campagna elettorale? Osservando i dati, in realtà
si coglie che il calo di Milano s’inserisce in una dinamica negativa
più generale. Il PdL nei comuni capoluoghi, facendo il confronto
con le regionali, cala ovunque con l’unica eccezione di Novara.
Nelle elezioni provinciali, assumendo come termine di paragone le europee,
il calo è altrettanto generale. Una maggior tenuta il PdL la
dimostra nel sud.
La stessa cosa vale per la Lega Nord. Non si tratta del solo risultato
milanese che è negativo. La lega perde quasi dappertutto nei
comuni capoluoghi. Su 11 casi perde in 9. Nelle elezioni europee il
recupero sul voto delle provinciali falsa in parte l’interpretazione
in quanto la Lega aveva conosciuto un aumento straordinario fra le europee
e le regionali dello scorso anno. Ora perde in larga misura quella crescita,
mantenendosi un po’ sopra il dato delle regionali. Questi dati
ci dicono di una crisi profonda del centro destra. Una crisi che tocca
sostanzialmente tutti i territori ed entrambe le formazioni maggiori.
Non solo, essi mettono in evidenza l’errore di previsione compiuto
dalla stessa Lega che contava, sbagliando, di giovarsi della flessione
del PDl. Invece, ciò non si è realizzato. Le motivazioni
di questa crisi dovranno essere indagate. E’ probabile, comunque,
che accanto al malessere prodotto dall’abnorme accentuazione dei
toni, vi siano ragioni più strutturali che hanno agito, legate
all’insoddisfazione per le politiche attivate dal governo.
Il successo dell’insieme del centro-sinistra riflette dinamiche
diverse al suo interno. Dal punto di vista territoriale il successo
si concentra soprattutto nel nord. Fra le forze politiche il PD presenta
un saldo globale positivo nelle elezioni nei comuni capoluoghi in virtù
soprattutto dell’ottima performance di Torino e di quella buona
di Milano, mentre vi è un’evidente difficoltà al
sud e in particolare a Napoli. Per il resto il PD presenta risultati
non particolarmente positivi. Migliore è il risultato nelle provinciali,
cioè nella competizione più politica, pur presentando
una certa articolazione territoriale del voto. Complessivamente il PD,
anche in ragione del suo ruolo di forza maggiore dell’opposizione,
può vantare un risultato soddisfacente, e non a caso su tale
risultato si ricompone il gruppo dirigente, anche se permangono problemi
che lo stesso risultato in qualche modo mette in luce.
Se il risultato del PD è buono, tuttavia, mi pare si possa sostenere
con una certa ragionevolezza che in queste elezioni amministrative l’elemento
che spicca di più è il successo delle forze alla sua sinistra.
Due fatti comprovano questo giudizio: il primo è il successo
a Milano e Napoli di candidati di sinistra non graditi al PD. Si tratta
di un fatto che ha del clamoroso. Si è già detto del successo
di Pisapia. Si consideri ora il risultato straordinario di De Magistris
che batte il candidato voluto dal PD, ottenendo un successo personale
di proporzioni rilevanti (si pensi al grande divario fra i voti ottenuti
dal candidato e quelli ottenuti dalle liste che lo appoggiavano). Il
secondo fatto è che in termini quantitativi SEL e FdS superano
in voti assoluti l’incremento ottenuto dal PD. Della FdS dirò
successivamente. Per quanto riguarda SEL la crescita rispetto alle regionali
è diffusa nei comuni capoluoghi a parte alcune eccezioni al sud,
che meriterebbero un approfondimento. Analoga crescita si ha nelle provinciali
rispetto alle europee.
L’IdV invece ottiene un risultato negativo, sia nel voto nei comuni
capoluoghi che in quello delle provinciali. Unico elemento positivo
di rilievo il risultato di Napoli, derivante dal trascinamento della
candidatura di De Magistris, ma si tratta di un’eccezione. La
perdita è consistente. Per i comuni capoluoghi circa il 40% dell’elettorato
delle precedenti regionali. Nel complesso mi pare si possa sostenere
che il risultato elettorale mette in evidenza l’esistenza di una
spinta a sinistra che travalica lo stesso PD.
In questo contesto degni di nota sono ancora i risultati delle liste
"cinque stelle" e del terzo polo. Nel primo caso ci troviamo
di fronte a manifestazioni esplicite di antipolitica. I risultati sono
molto lusinghieri per il movimento di Grillo che in alcune città,
come Bologna, ottiene risultati molto significativi. La tendenza a una
forte crescita è comunque evidente anche nelle altre realtà
dove queste liste si sono presentate. Si noti che il successo è
maggiore nelle regioni rosse, il che la dice lunga su come vengono percepiti
i governi di queste realtà da fasce non irrilevanti di elettorato.
Si noti, inoltre, che laddove scende in campo una sinistra credibile
– vale per Milano come per Napoli – la crescita è
più contenuta. Questo elemento, oltre che i contenuti esibiti
durante la campagna elettorale, fanno pensare che queste liste intercettino
una parte significativa del voto di sinistra.
Infine, va tenuto conto del risultato del terzo polo. I dati sono indicativi.
La forza maggiore – l’UDC – è totalmente stazionaria
nei comuni capoluoghi rispetto al voto delle regionali. Nel contempo,
l’apporto di FLI e delle altre formazioni è molto modesto.
Non è stato possibile analizzare tutte le realtà in cui
il PD ha conseguito alleanze con le forze del terzo polo, ma significativamente
in diversi casi la presentazione di una coalizione di sinistra alternativa
ha conseguito, in quei casi, risultati significativi (si pensi a Macerata
o a Grosseto). Nel complesso quindi il terzo polo, in queste elezioni,
non decolla. L’ipotesi dell’alleanza fra PD e terzo polo
in vista delle prossime elezioni politiche s’indebolisce, ma non
viene meno, come dimostrano qui e là le sperimentazioni avviate,
senza considerare ciò che potrebbe prodursi nei ballottaggi.
Per comprendere meglio le dinamiche del voto, in attesa che vengano
pubblicati studi sull’analisi dei flussi che aiuterebbe moltissimo
a capire ciò che effettivamente è accaduto, vorrei richiamare
alcune tendenze che si sono evidenziate:
In queste elezioni, come ho già richiamato, la maggiore perdita
da parte del centro destra e la maggior crescita da parte del centro
sinistra si verificano al nord. Questo fatto dovrebbe accuratamente
essere indagato, per capire cosa si agita nella società settentrionale;
in generale il successo o l’insuccesso dei due principali raggruppamenti
(centro destra e centro sinistra) non dipende tanto dal trasferimento
di una quota di elettori da un campo all’altro, quanto dalla capacità
di ciascuno di conservare il proprio elettorato impedendo che confluisca
nell’astensionismo o che si disperda in altre direzioni;
il ruolo dei candidati sindaci è rilevante nello spiegare i risultati.
Ciò dipende dal fatto che circa 9 elettori su 100 danno il voto
solo al candidato sindaco. La tendenza alla personalizzazione è
particolarmente pronunciata nel caso dei candidati sindaci del centro
sinistra.
Veniamo al risultato della Federazione della Sinistra. Nelle elezioni
comunali per i comuni capoluoghi ci si allinea sostanzialmente al dato
delle regionali di un anno fa. Questo risultato riflette comportamenti
diversi nei vari comuni. Tuttavia, in ragione del peso delle grandi
città sul totale dei voti, esso è spiegabile in larga
misura con il successo ottenuto a Napoli e a Milano e con il calo di
Torino. Il caso di Bologna, dove si registra una flessione, è
meno significativo dal punto di vista quantitativo e quindi non influenza
più di tanto il risultato complessivo. Si consideri che in voti
assoluti la perdita a Bologna corrisponde ad un decimo di quella che
si registra a Torino.Nelle elezioni provinciali si registra un aumento
dello 0.5/0.6% rispetto alle europee che porta a una media introno al
4/4.1%. Infine la distanza con SEL e IDV si riduce. Di fronte a un simile
risultato mi pare si possa essere soddisfatti, anche se il trionfalismo
sarebbe fuori luogo. Faccio notare che la FdS dopo le europee, in cui
ottenne il 3.4%, subì un’ulteriore flessione alle regionali
giungendo al 2.7% e benché non vi siano state prove dirette,
i numerosi sondaggi dimostrano che nel periodo successivo ha perso ulteriormente
consensi. Ne deriva che sul voto più amministrativo (comuni)
si può credibilmente pensare che vi sia stata una ripresa che,
tuttavia, non ha consentito di oltrepassare il risultato delle scorse
regionali, nel voto più politico (provinciali) la tendenza alla
crescita si è accentuata e il risultato è stato decisamente
incoraggiante.
Se vogliamo, però, accostarci a un’analisi qualitativa
del voto, è necessario fare innanzitutto una premessa, relativa
alle scelte di linea con le quali ci siamo presentati a queste elezioni.
Tre indirizzi hanno caratterizzato la nostra impostazione:
Sulle alleanze si è scelta una linea che rifiutava sia l’omologazione
al centro sinistra che l’appiattimento su posizioni marginali
o settarie. Per questo si è puntato sui contenuti come baricentro
delle scelte e su alleanze sufficientemente ampie e qualificate, evitando
in tutti i modi le presentazioni in solitaria o coalizioni troppo ristrette;
è stata posta una discriminante esplicita sulle forze del terzo
polo;
è stata favorita in tutti i modi la convergenza a sinistra, dal
confronto programmatico alla costruzione di liste unitarie o di poli.
Nel complesso si può concludere, osservando i dati, che i compagni
sui territori si sono attenuti sostanzialmente a queste indicazioni,
a parte rare eccezioni. Essi inoltre hanno di mostrato spesso una notevole
intelligenza tattica nel sapersi districare nelle situazioni più
complesse. Per un bilancio più puntuale consentitemi di approfondire
alcuni aspetti.
Per quanto riguarda la collocazione è stata ridotta al minimo
la presenza da soli e invece, nella maggior parte dei casi, si è
dato vita a coalizioni. Quando queste coalizioni hanno assunto una dimensione
sufficientemente ampia, presentando candidature credibili e un profilo
adeguato, abbiamo ottenuto risultati significativi. Ciò vale
sia nel caso di coalizioni di centro sinistra (valga per tutti il caso
di Milano), che nel caso di poli alternativi (il riferimento a Napoli
è d’obbligo). I risultati critici si hanno nel caso in
cui le coalizioni hanno presentato un carattere molto ristretto o un
profilo non convincente e magari con candidature deboli. In generale
i micro poli alternativi non hanno dato buona prova.
Sul piano programmatico si può ritenere con una certa sicurezza
che in queste elezioni gli assi programmatici indicati nazionalmente
siano stati accolti e abbiano costituito la base in molte realtà
per il confronto con le altre formazioni politiche. Mi riferisco, in
particolare, al tema della democrazia e della partecipazione che ha
effettivamente caratterizzato molti quadri programmatici locali; quello
dei beni comuni, quello dell’opposizione alle privatizzazioni;
quello della salvaguardia del welfare e delle politiche a sostegno dei
redditi e per il lavoro, quello della difesa dell’ambiente, oltre
che quello della salvaguardia dei diritti civili contro le tendenze
alla criminalizzazione.
Per ciò che concerne la chiusura ad alleanze con il terzo polo,
questo indirizzo è stato in larga misura rispettato, motivando
in alcuni casi la decisione di dar vita a poli alternativi (si pensi
fra gli altri ai casi di Grosseto e Macerata).
Infine, per ciò che concerne le aperture a sinistra, queste hanno
consentito in alcuni casi la costituzione di poli alternativi o la formazione
di liste unitarie. In quest’ultimo caso sono stati interessati
una serie di comuni, dove si sono sperimentate alleanza con SEL, con
IdV, con i Verdi o con liste civiche locali. E, tuttavia, l’apertura
a sinistra ha incontrato non poche resistente, specie da parte di SEL.
In questi casi l’offensiva unitaria, laddove non ha raggiunto
l’obiettivo, ha comunque permesso in molti casi di aprire contraddizioni
e accumulare forze. Il caso di Milano è emblematico, ma non è
l’unico.
Fra i fattori che sono emersi e che erano all’inizio sottovalutati,
vale la pena ricordare: lo stato del partito, il suo radicamento sociale,
la qualità dei gruppi dirigenti locali. All’origine della
non presentazione delle liste in cinque comuni capoluoghi su 29 vi è
questo stato d’indebolimento del partito. Oltre a questo non va
dimenticata la concorrenza da parte di altre forze. Se si poteva largamente
immaginare che nella competizione SEL avrebbe giocato un ruolo pesante,
si è tuttavia sottovalutata la portata del fenomeno Grillo, che
certamente ha eroso consensi anche alla FdS.
Infine, non vanno dimenticate in alcuni luoghi le difficoltà
interne della FdS. Mi riferisco, in particolare, a 3 delle 11 province
chiamate al voto: Treviso, Campobasso, Reggio Calabria. In tutte queste
realtà PRC e PDCI hanno scelto collocazioni diverse (a Treviso
e a Campobasso) o analoghe ma presentandosi separatamente. E’
evidente che problemi di natura politica hanno impedito la convergenza.
Su quanto è avvenuto è opportuno vi sia un chiarimento
nella Federazione
Volendo trarre una sintesi, mi pare si possa dire che in queste elezioni
si sia evidenziata una difficoltà vera del centro destra, non
puramente contingente. Il centro sinistra ne ha beneficiato non tanto
recuperando consensi provenienti dal centro destra, quanto riuscendo
a conservare meglio il proprio elettorato, fa probabilmente eccezione
Milano dove uno sfondamento nel voto moderato appare plausibile. Il
Pd esce vincitore in virtù soprattutto del successo di Fassino
a Torino e della crescita a Milano, dove l’errore commesso nelle
primarie avrebbe potuto penalizzarlo. Questo successo non nasconde però
difficoltà reali soprattutto nel mezzogiorno. Quello che invece
appare l’aspetto più significativo di questo voto è
la spinta a sinistra che travalica lo stesso PD, come dimostra il successo
di alcune candidature osteggiate dal PD e l’incremento di voti
di SEL e FDS. Il nostro risultato è positivo perché segna
un’inversione di tendenza rispetto al trend negativo degli ultimi
due anni, perché si riduce la distanza dalle altre forze della
sinistra e perché riusciamo ad assumere una forte caratterizzazione.
Ciò vale in particolare a Milano e a Napoli. Il risultato di
Napoli in particolare, in virtù della collocazione alternativa
al PD, tende oggettivamente a far risaltare ancora di più il
risultato globalmente positivo. La scelta di un profilo caratterizzato,
il rifiuto di scelte di pura omologazione e la capacità di costruire
alleanze credibili costituiscono i fattori più rilevanti del
nostro successo. Nel complesso la costruzione di una sinistra autonoma
dal Pd - per quanto ardua - è ora più facile che prima,
com’è più facile (ma non scontato) contrastare le
spinte all’alleanza con il terzo polo.
Quali compiti, in conclusione ci consegna questo risultato?
Il primo, fondamentale, è quello di dare continuità a
quelle aggregazioni di sinistra che si sono formate sui territori. Mi
riferisco ai tanti indipendenti che abbiamo raccolto nelle nostre liste,
ma anche a quei soggetti individuali e collettivi che ci hanno appoggiato.
Mi riferisco anche alle forze con le quali abbiamo dato vita a liste
unitarie o a quelle con cui abbiamo condiviso esperienze di poli alternativi.
L’operazione che si rende necessaria è quella dell’
allargamento della Federazione e della costruzione sui territori di
esperienze di sinistra di alternativa stabili, anche assumendo l’indicazione
– dove possibile – della costruzione di gruppi consiliari
unitari.
Il secondo compito è quello di intervenire sulle realtà
che hanno presentato difficoltà. Mi pare che ciò debba
valere per Torino e Bologna, e anche per quelle in cui non si è
riusciti a presentare le liste. Un piano di aiuto e di rilancio organizzativo
e politico si rende particolarmente necessario.
E’ anche necessario che il lavoro di analisi prosegua sui territori
e nazionalmente. Gli attivi di federazione e regionali che saranno convocati
per il bilancio del voto devono costituire un’occasione per andare
più in profondità nell’analisi. Nell’illustrazione
dei risultati non mi è stato possibile dare conto dei comportamenti
dei comuni superiori ai 15000 abitanti non capoluoghi, come non è
stato possibile trarre un bilancio per quanto riguarda la miriade di
quelli inferiori. E’ questo un compito che deve essere assunto
dalle strutture locali.
Mi pare, inoltre, necessario che con l’avvio della nuova consigliatura
la base programmatica vada riverificata e tradotta in indicazioni pratiche
di lavoro. Quest’aggiornamento e questa concretizzazione sono
compiti fondamentali per il rilancio dell’iniziativa locale.
In conclusione, vorrei ringraziare i nostri compagni per lo straordinario
lavoro che hanno fatto. Non era scontato che il partito rispondesse
così bene. Invece, abbiamo potuto costatare che l’impegno
è stato grande e grande è stata la generosità.
Questo riscontro ci fa dire che per quanto indeboliti conserviamo un
tessuto militante che costituisce la nostra risorsa più importante
che dobbiamo in tutti i modi valorizzare.