Partito
della Rifondazione Comunista Relazione di Paolo Ferrero Salve a tutte e a tutti. Voglio cominciare questa mia relazione sottolineando tre elementi positivi. Innanzitutto facendo gli auguri a Citto Maselli. Ha avuto un forte malore, abbiamo avuto paura. Adesso sta meglio e vi propongo di mandargli gli auguri di questo comitato politico nazionale. In secondo luogo, oggi pomeriggio parteciperemo alla manifestazione indetta dalla Fiom. Si tratta di un appuntamento importantissimo a cui abbiamo lavorato con forza perché può rappresentare un punto si svolta nella dinamica sociale del paese. Come vi ricordate, prima dell'estate ci siamo posti il problema di trovare modi attraverso cui costruire una manifestazione di massa nell'autunno. Le abbiamo provate tutte, dal proporre alle altre forze della sinistra di organizzarla congiuntamente al costruire un appello di lavoratori che la lanciasse. Il punto per noi era costruire una manifestazione su una piattaforma chiara e nel contempo unitaria. Quando la Fiom, nei giorni della vicenda di Pomigliano, ci ha prospettato la possibilità di organizzare questa manifestazione – contro Berlusconi ma anche contro Marchionne - abbiamo immediatamente sostenuto questa ipotesi, senza se e senza ma. Abbiamo contribuito alla sua organizzazione e il suo successo sarà anche risultato del nostro lavoro. In terzo luogo, nel corso dell’estate, mentre succedeva di tutto, abbiamo segnato un punto rilevante nella costruzione della nostra linea politica. Si tratta della proposta da parte di Bersani di costruire uno schieramento democratico con cui sconfiggere Berlusconi slegato da un accordo di governo. La proposta di Bersani di costruire uno schieramento a due cerchi, uno interno di governo e uno esterno finalizzato alla difesa della democrazia, è a parti rovesciate esattamente la proposta politica che andiamo avanzando da un anno a questa parte. Bersani vuole costruire il nuovo ulivo e noi vogliamo costruire un polo autonomo della sinistra ma tutti e due vogliamo unire le forze per sconfiggere Berlusconi. Importante che in capo a questa proposta di Bersani ci sia stata una vera discussione di prospettiva nel PD, sia rispetto alle alleanze, sia rispetto alla riforma del sistema politico e che da questa discussione l’ipotesi bipartitica di Veltroni sia uscita sconfitta. Per la prima volta dall’inizio degli anni ’90 il PD ha una proposta che punta a superare il maggioritario e a riconoscere la necessità di articolare in forme pluraliste il sistema elettorale. Io considero questa apertura da parte del PD un vero e proprio successo della nostra impostazione. Guai a noi se non valorizzassimo questo elemento perché costituisce proprio un nostro successo. E’ evidente che i passaggi politici non sono definitivi, tutta la partita è da giocare, ma, secondo me,abbiamo posto le condizioni per un vero e proprio salto di qualità nella nostra iniziativa politica. L’intreccio tra centralità dell’iniziativa sociale e costruzione del CLN per battere Berlusconi, ci da una capacità espansiva che si comincia a vedere. Lo si vede a macchie di leopardo perché il partito funziona a macchie di leopardo. In alcuni posti molto bene, da altre parti malissimo e in alcuni posti si vivacchia. Dove il partito funziona e dove il gruppo dirigente è convinto della linea politica, si vede che la proposta politica morde e ci permette di fare politica in modo efficace. Dove il partito non funziona o dove i gruppi dirigenti non sono convinti della linea politica, non si fa un passo in avanti. Il tutto reso complicato dall’oscuramento mediatico a cui siamo sottoposti e che costituisce il principale problema politico da risolvere in questa fase. Per altro, le manovre di modifica degli accordi di Maastricht in corso in Europa, danno completamente ragione alla nostro indirizzo che non ritiene possibile governare oggi il paese. Le scelte europee determineranno stangate a ripetizione dell’ordine delle decine di miliardi all’anno. Mi pare quindi evidente che sia sul terreno della costruzione di movimento che sul terreno della proposta politica, abbiamo tutte le condizioni per realizzare quanto avevamo deciso e votato nei documenti prima dell’estate. Si tratta ora di realizzare i nostri obiettivi superando una situazione in cui la discussione nei gruppi dirigenti sovente non riguarda il come fare le cose già decise ma il se farle. A volte la discussione sembra una discussione tra commentatori politici non la discussione di un gruppo dirigente che ha il dovere di applicare la linea che ha liberamente scelto. Su questo a me pare necessario un deciso salto di qualità anche perché altrimenti la linea politica è solo scritta sui documenti e non praticata. Visto l’oscuramento che subiamo la linea politica deve essere praticata ogni giorno in ogni territorio, altrimenti non marcia. La Crisi Sottolineo ancora una volta come la nostra azione politica vada inserita nel contesto di crisi organica in cui siamo inseriti. Crisi che, lungi dall'essere finita, sta iniziando ad a determinare significativi elementi politici. Nel rapporto tra le grandi aree (Europa, Cina e USA), stanno aumentando pesantemente le contraddizioni perché tutti provano a esportare a casa d’altri le proprie eccedenze. Si è cioè scatenata una vera guerra commerciale che assume le forme di una guerra valutaria e che è foriera di vere rotture della globalizzazione con tentazioni protezionistiche che cominciano a farsi strada. In questo contesto secondo me l'Europa è destinata a fare la fine del vaso di coccio fra i vasi di ferro, perché l'Europa ha una moneta senza avere uno stato che la gestisca. L'Europa non ha una politica economica. L'Europa non ha una politica estera. L’Europa ha le conquiste sociali e quindi i costi più alti di tutti. A livello europeo le politiche deflattive imposte dalla Germania per salvarsi stanno facendo scricchiolare l’unione. Con la riforma degli accordi di Maastricht determineranno una fortissima differenziazione salariale all’interno dell’Europa con una conseguente gerarchizzazione tra gli stati e all’interno degli stessi. Le tendenze alla rottura di alcuni stati (tra cui l’Italia ) sono fortemente aumentate da questa demente politica europea che ha tutte le caratteristiche delle politiche deflattive che nel secolo scorso portarono alla vittoria dei nazisti in Germania. Il caso italiano Per l’Italia la gestione della crisi con politiche deflazioniste significa avviarsi verso un vero impoverimento del paese. La revisione degli accordi di Maastricht determinerà l’obbligo di enormi avanzi primari, dell’ordine di varie decine di miliardi di euro l’anno e conseguentemente un taglio della spesa sociale per almeno un paio di decenni. Si coglie quindi appieno il carattere strutturale della politica del governo Berlusconi che precarizza il lavoro, distrugge la scuola pubblica, mette il bavaglio all’informazione, riduce la democrazia e fomenta il razzismo. L’impoverimento del paese si fa con la gestione autoritaria della frantumazione sociale e con l’imbambolimento televisivo di massa. Il governo e Confindustria puntano alla distruzione del contratto nazionale di lavoro e alla piena trasformazione del lavoro in una merce. Merce peraltro assai abbondante e quindi sfruttabile a piacimento. In questo quadro l’anomalia italiana non è solo il Berlusconi ma soprattutto la scarsità delle lotte. Ovviamente in questo decisivo è il ruolo dei sindacati complici – Cisl e Uil – ma altrettanto importante è l’afasia della Cgil che pur non firmando le porcherie proposte dal governo non ha certo messo in campo una iniziativa in grado di rovesciare la situazione. Continuare a cullarsi nell’illusione che Marchionne sia una anomalia perché invece la Confindustria sarebbe su una posizione molto diversa, a me pare un errore analitico gigantesco foriero di gravi conseguenze politiche. In Francia siamo alla rivolta e in Spagna anche il Sindacato socialista ha fatto lo sciopero generale contro Zapatero. L’unico paese dove non si è ancora arrivati allo sciopero generale è proprio l’Italia. Per questo è importantissima la manifestazione di oggi, che può aprire una fase nuova e un deciso percorso di lotta su cui costruire un movimento di massa contro governo, padroni e politiche europee. Non deve stupire che sia la Fiom a costituire il collante di questa iniziativa. Dopo le sconfitte della sinistra è l’unica organizzazione che oggi abbia la credibilità per farlo. Per altro, nella storia italiana non costituisce nemmeno una anomalia. Gli anni migliori della repubblica, cioè la prima metà degli anni ’70, hanno visto il ruolo assolutamente decisivo di una organizzazione come la FLM e in generale del sindacato unitario, che ha pesato nella costruzione di movimento assai di più dei partiti politici. Si tratta di costruire a partire da domani le forme in cui far proseguire la mobilitazione nel paese, unificando i conflitti e costruendo una maggiore coscienza del livello dello scontro. In questo contesto assistiamo alla crisi politica del Berlusconismo. Sottolineo crisi politica perché sul terreno dell’offensiva ideologica e sociale il berlusconismo stà operando a pieno regime e procede come un treno. Vi è tuttavia una crisi del livello politico, con una rottura dentro la destra che allude oltre a diverse culture politiche ad una crisi vera della mediazione tra secessionismo leghista e potentati clientelari meridionali che era stato il vero capolavoro politico del Berlusconi presidente del consiglio. Questa mediazione viene messa in discussione sotto i colpi della crisi perché l’appetito secessionista tende a non lasciare nemmeno le briciole per i Lombardo di turno. La crisi del Berlusconismo politico non è quindi solo un fatto di cronaca ma segnala una difficoltà a produrre una efficace mediazione tra i ceti dominanti che è all’origine dell’attuale instabilità. In questo contesto, le gestione del governo, finalizzata principalmente al posizionamento alle lotte di potere interne, favorisce il puro e semplice imbarbarimento del paese. La crisi morale in cui versa l’Italia è data dalla percezione a livello di massa di una crisi profonda, organica e dall’incapacità ad individuare qualunque soluzione di uscita credibile. Si sta male, non si sa bene perché e non si sa come uscirne. Il paese vive uno stress totale che devasta il tessuto sociale. Forse non abbiamo messo abbastanza al centro il dato politico che quest'estate abbiamo avuto una strage di donne in famiglia. Lo dico perché a volte noi a questi elementi qui non diamo il giusto peso. C'è un elemento di distruttività, di aggressività enorme. I giornali quando possono sbattono il mostro in piazza criminalizzando il migrante, il mussulmano, costruendo il capro espiatorio. Il punto vero è però che dentro meccanismo sociale sono saltate in aria le relazioni elementari. Che dentro le mura di casa aumenti la violenza dei maschi sulle donne e che i fidanzati considerino le loro compagne od ex compagne proprietà privata, non è un residuo del passato ma la forma moderna del patriarcato. Lungi dall’essere scomparso il patriarcato si ripresenta in forme nuove e più distruttive non solo dell’identità ma addirittura del corpo delle donne e costituisce uno dei canali più rilevanti in cui si esprime un disagio sociale non riconosciuto e non elaborato che diventa patologia sociale. Non solo il governo usa la crisi economica come crisi costituente sul piano istituzionale e dei rapporti sociali ma si vede oramai bene l’emergere di una vera e propria crisi di civiltà. Come si risolverà la crisi politica del berlusconismo è difficile da dire. Ci troviamo di fronte ad un equilibrio instabile. Berlusconi avrebbe interesse ad andare a votare ma teme che alla crisi di governo segua un governo tecnico e quindi per adesso non si muove. Questo equilibrio stabile è destinato a non durare e per questo propongo di assumere l’ipotesi che si vada a votare rapidamente. Non siamo nelle condizioni organizzative e politiche di poterci accorgere che si va alle elezioni dopo che queste siano state indette. Occorre muoversi da subito disponendo il partito e il complesso della Federazione della Sinistra nella costruzione del lavoro di massa e nel far conoscere la nostra proposta politica. Per altro, la necessità di iniziare da subito il lavoro politico esterno, come se fossimo in campagna elettorale, è anche la condizione fondamentale per riuscire a costruire il fronte democratico. L’unico modo per essere sicuri che il centro sinistra faccia l’alleanza con noi per battere Berlusconi è dato dal nostro peso elettorale. Tanti voti, buon accordo. Niente voti, niente accordo. Mi pare elementare. La nostra proposta politica: Innanzitutto la proposta del fronte democratico deve essere l’elemento sovra ordinatore di ogni nostro atto. Noi siamo interessati, non solo disponibili a fare un accordo che permetta di sconfiggere Berlusconi. Questo deve diventare un nostro dato di identità e questa posizione deve essere fatta conoscere nel paese. Tutti uniti per sconfiggere Berlusconi, difendere la costituzione, assumere misure di giustizia sociale e uscire da questo schifo di seconda repubblica modificando il sistema elettorale in senso proporzionale. Non dobbiamo interrogarci se ci sarà il fronte democratico ma lavorare a costruirlo e a propagandarlo come una nostra proposta. Acquisito il fronte democratico senza accordo di governo, che ha caratterizzato la nostra iniziativa politica fino ad ora, dobbiamo ora giocare la partita. Adesso che la nostra proposta è stata riconosciuta e accettata pubblicamente da Bersani, dobbiamo giocare il secondo tempo della partita, cioè dispiegare la nostra proposta politica al fine di accrescere i nostri consensi nel contesto del fronte democratico. Fino ad oggi abbiamo operato per far parte della squadra che serve a battere Berlusconi, a desso dobbiamo giocare la partita, non stare a macerarsi sul rischio di finire in panchina. Il punto politico decisivo è la nostra capacità di far rivivere nel paese il percorso politico che ci ha portato a stabilire la non possibilità di fare un accordo di governo. Abbiamo deciso che non si può andare al governo in base ad un ragionamento complesso: l’analisi dei rapporti di forza, della storia recente, l’analisi degli altri soggetti in campo, delle politiche europee, etc. Non possiamo dare per scontato che nel paese vi sia una pari consapevolezza. Anzi, nella crisi che vive il paese la politica tende a ricostruirsi come dinamica puramente populista e semplificata in cui la complessità del ragionamento è semplicemente bandita. Per questo non possiamo dare per scontato che il percorso di riflessione che abbiamo fatto sia immediatamente compreso. Dobbiamo per l’appunto ripercorrere nel paese il percorso che abbiamo fatto noi, producendo una azione maieutica che permetta di riconoscere la bontà della nostra proposta. Non possiamo ripetere stancamente “accordo democratico senza accordo di governo”, dobbiamo iniziare una offensiva politica. In primo luogo occorre dare continuità alla manifestazione di
oggi pomeriggio su due versanti: la costruzione di comitati contro la
crisi in ogni territorio e la costruzione della campagna per lo sciopero
generale. Si tratta di non far finire stasera la manifestazione ma di
consolidare la mobilitazione in un percorso di costruzione di un movimento
politico di massa. Dopo Genova nel 2001 si costituirono i Social Forum.
Dobbiamo fare qualcosa di simile costruendo Comitati su tutto i territorio,
finalizzandoli all’aggregazione delle forze disponibili, a partire
dalla Fiom, dalle sinistre sindacali e politiche, dei lavoratori in
lotta, puntando molto sul fare ed evitando che assumano il carattere
di intergruppi. Dobbiamo costruire delle istituzioni di movimento che
diventino il punto di riferimento per chi lotta contro la crisi nel
paese. Si tratta di un punto decisivo del nostro progetto politico e
si deve accompagnare alla generalizzazione delle pratiche del partito
sociale e di intervento verso i lavoratori, i precari, i disoccupati. Congresso della Federazione e di Rifondazione. Questa offensiva politica si deve intrecciare con il congresso della Federazione della Sinistra. Il regolamento del Congresso è fatto apposta per fare un congresso tutto sulla politica. Discutere il documento politico e costruire iniziativa politica sono i due elementi centrali attorno a cui costruire il Congresso della Federazione. In previsione del fatto che è possibile che in primavera si tengano le elezioni politiche, abbiamo volutamente lasciato da parte le questioni organizzative e gli inevitabili ripiegamenti interni che questo determina proprio per poter utilizzare l’occasione del congresso per fare politica nel paese, fuori dalle stanze delle nostre sedi. Il congresso deve essere anche l’occasione per lanciare sul serio il tesseramento alla Federazione della Sinistra. Sin’ora questo è stato fatto poco e male. Il congresso oltre a sviluppare la proiezione esterna deve essere l’occasione per allargare i confini della Federazione al di fuori delle forze che hanno concorso alla sua formazione. Iniziativa politica e proiezione esterna sono quindi i punti fondanti del Congresso della Federazione a partire da un documento che ha caratteristiche positive e largamente unitarie. Per quanto riguarda il prossimo Congresso di Rifondazione Comunista a me pare necessario fare un congresso che si misuri con i problemi di fondo della fase: la crisi strutturale del capitalismo, il ruolo dei comunisti e le modalità di costruzione della sinistra. Un Congresso non di ordinaria amministrazione, che non si limiti ad aggiornare la nostra proposta politica, ma si misuri con i problemi di fondo che ci pone la crisi e delinei in termini non residuali la nostra proposta strategica. A vent’anni dalla nascita di rifondazione comunista abbiamo bisogno di esprimere con chiarezza il senso della nostra esistenza e i caratteri della nostra proposta strategica. Un Congresso di questo tipo deve essere preparato con attenzione e quindi penso che sia bene posizionare l’inizio del congresso dopo la primavera, dopo le elezioni amministrative che in ogni caso si terranno e del referendum sull’acqua che si terrà nel caso in cui non vi fossero le elezioni politiche. Un Congresso quindi che abbia il suo svolgimento prevalentemente nell’autunno e che si misuri con i nodi fondamentali della rifondazione comunista oggi e che possa costituire la base per un confronto a tutto campo con le altre esperienze comuniste e di sinistra oggi presenti in Italia. Liberazione Chiudo questa relazione su alcune questioni poste dalla lettera di Boccadutri, che si è dimesso dal partito e quindi da tesoriere. Non rispondo sulle questioni politiche di cui ho parlato sin’ora. Voglio rispondere solo su un punto che considero molto importante perché riguarda l’utilizzo dei soldi del partito. Com’è noto gli organismi dirigenti del partito hanno deciso negli anni scorsi di tenere in vita Liberazione e hanno deciso anche di non cedere Liberazione ad un editore privato. Parallelamente abbiamo deciso che il Partito non avrebbe più investito denaro nel giornale che quindi avrebbe dovuto avere bilanci in pareggio. A giugno è stata convocata una Direzione nazionale per discutere del giornale perché si evidenziava un deficit tendenziale per il 2010 di 300.000 euro. Di fronte a questo deficit sono stati prospettate due possibili soluzioni. La prima era di ridurre foliazione e area di distribuzione del giornale, la seconda di fare una campagna di rilancio del giornale attraverso abbonamenti, sottoscrizioni e iniziative di rilancio dello stesso. La direzione nazionale ha scelto questa seconda strada. Voglio qui sottolineare come la strada scelta –non condivisa da Boccadutri – si stia rivelando come la migliore non solo sul piano politico ma anche sul piano finanziario. Sul piano politico perché la riduzione della foliazione e il taglio della distribuzione nelle aree dove i costi di distribuzione sono maggiori dei ricavi avrebbe ridotto al lumicino il giornale medesimo. Si sarebbe trattato di non mandare più il giornale in varie provincie del Nord (Cuneo, Verbania, Mantova, Belluno, Trentino e Alto Adige) e in larga parte del Sud (oltre a Sicilia, Calabria e Sardegna dove il giornale già ora non è distribuito, di tagliare anche Molise, Basilicata, larga parte della Puglia, della Campania,dell’ Abruzzo). Sul piano finanziario perché i risparmi derivanti dall’operazione di taglio dal mese di agosto in avanti avrebbero potuto al massimo portare ad un beneficio di circa 150.000 euro, condannando quindi il giornale a chiudere comunque con una perdita di circa 150.000 euro. La strada che abbiamo scelto ha invece sin’ora portato a oltre 125.000 euro di maggiori entrate per abbonamenti e sottoscrizioni e a circa 100.000 euro di entrate derivanti dalla vendita all’asta di oltre cento opere d’arte donateci da altrettanti artisti che evidentemente sono interessati alla vita di Liberazione. A queste entrate vanno sommate i circa 50.000 euro preventivati con l’aumento del prezzo di vendita ( che evidentemente non si sarebbe potuto applicare su un giornale ulteriormente ridotto), agli 80.000 euro preventivati con la vendita del numero speciale del giornale di fine novembre. Abbiamo cioè la ragionevole certezza – anche tenendo conto del fatto che la campagna di sottoscrizioni e abbonamenti è destinata a durare ancora due mesi abbondanti – che il deficit di bilancio di 300.000 euro verrà coperto integralmente dalla campagna di rilancio del giornale. In base a queste due considerazione non sono d’accordo con i giudizi espressi a riguardo da Sergio Boccadutri. Abbiamo fatto bene e scegliere di rilanciare il giornale sia in base a considerazioni politiche sia in base a considerazioni economiche. Il partito dal rilancio del giornale ci ha guadagnato in termini economici, non solo politici. Ovviamente aver messo in sicurezza il giornale e il bilancio del partito per quest’anno non toglie il fatto che a fine anno dovremo verificare cosa farà il governo. Se Tremonti sceglierà di tagliare i fondi per l’editoria di milioni di euro è chiaro che dovremo ridiscutere tutto, ma lo faremo con un giornale in piedi ed in pareggio. |