Partito
della Rifondazione Comunista Conclusioni di Paolo Ferrero La manifestazione del 16 ottobre scorso è il punto decisivo da cui deve riprendere il discorso politico. Il successo della manifestazione certo è legato all’autorevolezza conquistata dalla Fiom in anni di coerenza nelle battaglie sindacali. La manifestazione però è andata oltre e si è costituita – a mio parere - come un punto di passaggio in cui la contraddizione capitale lavoro è stata orgogliosamente agita dai lavoratori e dalle lavoratrici e non subita come è successo per troppi anni. Il 16 può diventare un punto di passaggio da cui aprire un nuovo ciclo di lotte e un nuovo ciclo politico. Lo può diventare per la qualità politica della piattaforma che individua come avversari tanto il governo quanto la Confindustria. Per la qualità delle relazioni sociali che in essa si sono determinate: una manifestazione di metalmeccanici che ha saputo diventare il punto di riferimento di vari segmenti di lavoratori, precari, studenti. Per la capacità di partire dalla giustizia sociale e del lavoro per porre con nettezza il problema della pace in Afganistan e del no alla guerra. Per la capacità di fungere da punto di aggregazione di tutta la sinistra. Perché il giorno dopo la manifestazione, l’assemblea all’università di Roma ha immediatamente posto il problema di come proseguire. Il 16 indubbiamente si è andati molto oltre alla pur importante manifestazione del 5 dicembre – il No Berlusconi day – dove il tema della giustizia era declinato sostanzialmente in termini di legalità e dove la centralità assorbente dell’antiberlusconismo oscurava qualsiasi contraddizione di classe. Il pensiero torna immediatamente alle giornate di Genova, a quando il movimento no global scese in piazza con dimensioni di massa, frutto di inedite convergenze politiche, sociali e culturali. A Genova eravamo nel pieno dispiegarsi della globalizzazione neoliberista – la Cina sarebbe stata accettata nel WTO di li a poco – mentre oggi siamo nel pieno della crisi di quel meccanismo di accumulazione. Certo la manifestazione del 16 è molto diversa dalle giornate di Genova, l’una contro la globalizzazione neoliberista e l’altra contro gli effetti della crisi della globalizzazione. Il punto è che la manifestazione del 16, come fu Genova, per dimensioni, soggetti coinvolti, densità politica della piattaforma, capacità comunicativa sociale, credibilità dei promotori, può costituire un punto di svolta, un nuovo inizio. Quattro terreni di lavoro per sviluppare il movimento In primo luogo l’allargamento e il radicamento territoriale del movimento. Si tratta di costruire in ogni territorio Comitati “uniti contro la crisi” che raggruppino coloro che a Roma ci sono andati, per costruire un lavoro comune di lotta, vertenzialità, elaborazione. Così come dopo Genova si fecero i social Forum, oggi dobbiamo costruire Comitati che diventino il punto di riferimento sul territorio per unificare i soggetti e le lotte contro la crisi. La manifestazione del 16 è stata un punto di unificazione di diversi movimenti che nella quotidianità restano separati e isolati. Occorre costruire sul territorio comitati che unifichino stabilmente queste diverse lotte e diventino punto di riferimento per tutti coloro che – anche individualmente – subiscono i colpi della crisi. Quasi due anni fa lanciammo la parola d’ordine di costruire i Comitati contro la crisi su tutti i territori. L’idea era giusta ma non siamo riusciti a fare significativi passi in avanti. Adesso la manifestazione del 16, la consapevolezza della Fiom di non reggere fabbrica per fabbrica, il coinvolgimento degli studenti può permettere di costruire i comitati uniti contro la crisi sui diversi territori. Il punto è la costruzione di istituzioni di movimento, di istanze politiche di base che diano vita ad un movimento politico di massa in grado di aggredire il tema della crisi. Occorre cogliere l’entusiasmo generato dalla manifestazione del 16 per costruire immediatamente i Comitati. Si tratta di un compito decisivo per uscire dalla delirante situazione italiana che vede larga parte del fronte sindacale complice con governo e padroni, una grave insufficienza della Cgil e conseguentemente una mobilitazione sociale del tutto inadeguata. In secondo luogo occorre costruire una campagna politica per lo sciopero generale. Per poter vincere lo scontro in atto occorre mettere in campo un volume di mobilitazione tale che comunichi senza dubbi la volontà di cambiare le cose. Le lotte al rallentatore, a puntate, non servono a nulla. Occorre costruire lo sciopero generale e la scelta di convocare per l’11 dicembre una manifestazione nazionale del movimento nel caso in cui non si arrivasse alla dichiarazione dello sciopero generale è un passaggio importantissimo. L’attività dei Comitati deve quindi essere intrecciata con la costruzione dello sciopero generale e della manifestazione dell’11 dicembre. In terzo luogo vi è un problema di elaborazione collettiva per costruire una proposta compiuta che sappia misurarsi con il carattere sistemico della crisi capitalistica. Uno dei contributi che dobbiamo portare nel movimento è proprio sulla necessità di costruire una comprensione globale dei fenomeni che stiamo vivendo, per elaborare obiettivi non difensivi di fronte ad un attacco del nemico di classe che è generale: sociale, politico, culturale, istituzionale. La dimensione globale, a partire da quella europea, costituiscono l’orizzonte su cui situare tanto la comprensione della situazione che la costruzione delle risposte. In quarto luogo occorre proporre che la partecipazione al movimento e l’adesione alla piattaforma di lotta sia la base su cui ricostruire l’unità della sinistra. La piattaforma della Fiom, la piattaforma dei movimenti per l’acqua pubblica, del Movimento contro la guerra in Afganistan, del movimento No TAV e NO ponte, possono e devono diventare il punto di partenza attorno a cui proporre l’unità della sinistra di alternativa e da cui partite per il confronto con il PD. Nel pieno rispetto dei diversi percorsi politici e organizzativi a me pare evidente che quella posta dalla manifestazione del 16 sia un discrimine. Un discrimine perché non si capisce perché chi è andato insieme in piazza condividendo la piattaforma non possa fare un percorso politico comune di costruzione di un polo autonomo della sinistra. Un discrimine anche perché non riesco francamente a capire come vi sia chi possa pensare di andare a governare con forze politiche con cui non si riesce nemmeno a stare insieme in piazza a protestare. Visto che notoriamente è più facile protestare che governare, se non si riesce a fare insieme opposizione come si può pensare di governare insieme? Costruzione dei comitati, dello sciopero generale, elaborazione di una proposta di alternativa e unità della sinistra a partire dall’internità al movimento di massa. Questi mi paiono i compiti principali che la manifestazione del 16 ci consegna. Gli errori da non fare Ovviamente nell’individuare i fili da tirare per sviluppare il movimento, è bene anche nominare esplicitamente le cose da non fare. In particolare a me pare che dobbiamo evitare di ripetere gli errori già compiuti a proposito del movimento di Genova. Li passammo dall’internità al movimento e dall’individuare lo sbocco del movimento nello sviluppo del movimento stesso, ad indicare lo sbocco del movimento nel governo del centro sinistra. Siamo passati dalla centralità assorbente del sociale all’autonomia della politica. E abbiamo fatto un disastro. Il punto di svolta fu a mio parere il referendum sull’estensione dell’articolo 18 della statuto dei lavoratori. Avevamo raccolto le firme con uno schieramento che comprendeva quasi tutte le forze che facevano parte dei social forum e nonostante l’invito all’astensione del PD e delle destre andarono a votare 11 milioni di persone. La stragrande maggioranza votò si, ma non si raggiunse il quorum per cui il referendum non fu valido. Quando il 16 giugno del 2003, ad urne ancora chiuse, Bertinotti annunciò che il mancato raggiungimento del quorum rappresentava una sconfitta per il movimento, vi fu la svolta. La scelta politica di considerare una sconfitta quella che era in realtà un enorme risultato politico, aprì la strada ad una svolta a 180°. Si passava dalla centralità della costruzione del movimento all’idea di utilizzare la mobilitazione sociale e il consenso del movimento come puro sostegno all’azione di definizione del programma del centro sinistra e poi del governo. Sappiamo come è andata a finire, con una azione di governo che non ha risposto in nessun modo alle aspettative di cambiamento che erano maturate nelle mobilitazioni. L’epilogo di quella esperienza arrivò prima del disastroso risultato elettorale della sinistra arcobaleno. Il punto di svolta fu la manifestazione del 20 ottobre del 2007, in cui un milione di persone andarono in piazza contro la precarietà e per cambiare il protocollo sul welfare. Non si ottenne nessun cambiamento e questo dimostrò in modo evidente il fallimento della strategia della sinistra di governo. Se le giornate del luglio 2001 erano state il punto di partenza del movimento no global, la manifestazione del 20 ottobre rappresentò plasticamente come quella forza sociale, che era comunque rilevante, fosse stata ridotta all’impotenza da una strategia politica sbagliata. Si tratta allora oggi di non ripetere questo errore e di evitare di utilizzare la costruzione del movimento come piedistallo di accordi politici di governo che alla prova dei fatti non possono dare una risposta ai problemi che il movimento stesso pone. Si tratta quindi di operare per il rafforzamento del movimento, per la sua sedimentazione. Si tratta di operare per l’unità della sinistra a partire dai contenuti del movimento. Si tratta di operare per sconfiggere Berlusconi anche sul terreno elettorale, con la proposta di fronte democratico che abbiamo avanzato, evitando però di dare anche solo l’impressione che le questioni poste dal movimento possano essere magicamente risolte attraverso le urne. La capacità di agire sul piano politico per la sconfitta di Berlusconi senza costruire illusioni salvifiche, la capacità di proporre l’unità a sinistra a partire dai contenuti e dall’autonomia dal centro sinistra, la capacità di adoperarsi per la crescita politica del movimento in modo da rafforzarne la sua autonomia, rappresentano gli snodi politici decisivi della nostra linea politica. I problemi posti dal dibattito. Per quanto riguarda la Federazione della Sinistra. È evidente che il processo di costruzione della federazione non procede con il passo che sarebbe necessario. Per certi versi oggi noi siamo più una confederazione che una federazione e questo mi pare il problema vero. Si tratta di fare un deciso passo in avanti. Si tratta di utilizzare il Congresso nazionale per superare questa situazione, scegliendo con nettezza il profilo della federazione e quindi dandoci delle regole che prevedano esplicitamente la costruzione di un soggetto politico federato che abbia tutte le caratteristiche di partecipazione, democrazia e allargamento che questo richiede. Per quanto riguarda la linea politica vorrei sottolineare un aspetto. La linea politica che stiamo praticando l’abbiamo scelta da tempo, non è stata un’alzata d’ingegno delle ultime settimane. Abbiamo coniugato l’indirizzo scelto a Chianciano sintetizzabile nella frase “in basso a sinistra” con la proposta del fronte democratico per sconfiggere Berlusconi e cambiare la legge elettorale e con la proposta di costruire un polo autonomo della sinistra di alternativa. A partire da questa impostazione abbiamo ritenuto che non vi sono oggi le condizioni per costruire l’alternativa in Italia e che vi è invece la possibilità di costruire una sinistra degna di questo nome, di costruire un nuovo movimento operaio che riaggreghi il lavoro e unifichi i movimenti sociali e la possibilità di battere Berlusconi e di uscire dal bipolarismo . E’ del tutto evidente che l’impostazione di Vendola si muove invece a partire dall’ ipotesi che sia possibile oggi in Italia realizzare l’alternativa per via politico istituzionale, facendo leva sulle primarie come meccanismo fondamentale per ridislocare le forze. Io penso che noi dobbiamo dirci con chiarezza se riteniamo che sia giusta l’analisi che abbiamo fatto noi in tutti questi mesi o se riteniamo che abbia ragione Vendola. E? possibile costruire l’alternativa in Italia con questo PD e addirittura con l’UDC? Io penso di no. Penso che sia giusta l’impostazione che ci siamo dati e che si tratti di tradurla in pratica a tutti i livelli. In particolare penso che la proposta di costruzione del movimento intrecciata con la proposta di unità a sinistra costituisca il punto centrale della nostra proposta politica. Noi dobbiamo perseguire l’unità della sinistra a partire dai contenuti presenti nelle mobilitazioni sociali. Questo che insieme al fronte democratico è un punto decisivo della nostra linea politica però va agito con forza e decisione, deve diventare una proposta visibile. Da questo punto di vista vedo alcuni elementi di debolezza. A volte si passa più tempo a commentare le proposte politiche degli altri che non a capire come portare avanti la nostra. La nostra proposta, mettendo in discussione il bipolarismo, ha un tasso di articolazione maggiore di altre, proprio per questo necessita di essere spiegata ed agita, necessita di un impegno soggettivo del gruppo dirigente. Innanzitutto andrebbero riconosciuti i punti di avanzamento del nostro progetto. Che Bersani abbia proposto il fronte democratico senza accordo di governo è un nostro successo o no? A me pare evidente di si e trovo incredibile che alcuni compagni sottovalutino questo aspetto, come se i passi avanti che facciamo sulla linea che abbiamo deciso fossero inessenziali. Noi ci stiamo battendo per tenere aperta la prospettiva di una sinistra anticapitalista e antipatriarcale in Italia e per riuscirci serve una capacità di tenere la posizione politica, che non è certo benvista dai mass media. Faccio notare che la Fiom è diventata quello che è diventata perché ha avuto un gruppo dirigente che ha tenuto su una posizione molto radicale anche quando era attaccata da tutti, compresa larga parte del gruppo dirigente della Cgil. Il mio auspicio è che il gruppo dirigente di Rifondazione Comunista abbia la capacità di “tenere la posizione” come l’ha avuta il gruppo dirigente della Fiom. Non chiedo di più ma non mi aspetto di meno. Per quanto riguarda la nostra invisibilità io penso che dobbiamo assumerla come il principale problema politico che dobbiamo risolvere. Tutto quello di buono che facciamo sui territori rischia di essere vanificato dall’assenza di una nostra visibilità sui mass media. E’ sempre più evidente che non esiste più uno spazio pubblico della informazione e che invece ci troviamo davanti ad una informazione organizzata per tendenze. Da queste tendenze e cordate noi siamo semplicemente esclusi. Mi pare necessario agire su due versanti: il primo di costruire una campagna contro l’oscuramento che preveda anche azioni dirette contro i nostri censori. La seconda è la ristrutturazione della nostra comunicazione verso l’esterno al fine di renderla più efficace. La terza è il potenziamento della comunicazione che noi facciamo direttamente. La tenuta di Liberazione e il suo potenziamento via web vanno in questa direzione. Mi permetto quindi di concludere questo CPN sottolineando ancora una volta la necessità di impegnare tutto il partito nell’azione di rilancio del giornale. |