Partito
della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 13 - 14 giugno 2009
Documento
politico (primo firmatario Bellotti)
Il risultato elettorale ci
consegna i seguenti punti di bilancio. Sul piano europeo emerge clamorosamente
il crollo della socialdemocrazia, l’avanzata di forze di destra
e di estrema destra, un dato non disprezzabile della sinistra comunista
e di alternativa in diversi paesi (Francia, Germania, Portogallo, Grecia,
Repubblica Ceca, Olanda, Danimarca). L’elevatissimo astensionismo
deriva non solo da una protesta generica, ma anche da un netto sentimento
di ostilità verso l’Unione europea, vista a ragione come
fucina di provvedimenti antipopolari, fatti di privatizzazioni, precarizzazione,
politiche monetarie restrittive, ecc. A questo sentimento non solo non
risponde la socialdemocrazia, che del processo di integrazione capitalistica
della Ue è uno dei protagonisti più convinti, ma neppure
un generico europeismo di sinistra che alla prova dei fatti si dimostra
o inesistente, o semplice appendice di istituzioni percepite come lontane
e ostili ai bisogni popolari.
Sul piano italiano si segnalano: 1) La battuta d’arresto della
Pdl e di Berlusconi, inserita tuttavia in contesto di tenuta della maggioranza
di governo con la crescita della Lega e di una forte avanzata sul terreno
delle amministrative. 2) La netta perdita del Pd (oltre quattro milioni
di voti), che subisce inoltre l’avanzata di IdV, partito che ha
avuto la crescita massima rispetto al 2008 sia in termini assoluti che
percentuali. 3) Un aumento del voto a sinistra dal 5 al 7 per cento
complessivo. 4) Un recupero della nostra lista, che in termini assoluti
sfiora le cifre dell’Arcobaleno e le supera di poco in percentuale.
Il dato negativo della nostra
lista va ascritto sia alla pesante eredità che ancora ci pesa
addosso dopo la sconfitta dell’esperienza di governo, sia al permanere
di nodi politici tutt’ora irrisolti, sia alla debolezza del nostro
partito in termini di radicamento e credibilità dispersa lungo
gli anni, nonostante l’impegno profuso dai nostri militanti.
Il mancato raggiungimento del quorum non può essere semplicisticamente
ascritto alla divisione, pur essendo evidenti le gravi responsabilità
di chi ha promosso nei mesi scorsi la scissione nel nostro partito.
Il vero punto di fondo non è stata una errata “composizione”
delle forze in campo, bensì il fatto che non è ancora
risolto il nodo cruciale che abbiamo davanti, ossia la costruzione di
una forza di sinistra capace di essere strategicamente esterna al bipolarismo
e capace di tradurre e far vivere questa prospettiva in programmi, iniziativa
politica e rapporti di massa sufficienti a generare anche un positivo
riscontro elettorale.
In questo senso la battaglia condotta a Chianciano per la sopravvivenza
del Prc non è ancora né conclusa né vinta. L’aver
salvaguardato l’esistenza del partito è stato un risultato
fondamentale, che tuttavia può assumere pieno significato solo
se viene investito in una nuova stagione di conflitto sociale nelle
difficili condizioni determinate dalla crisi.
L’affermazione del
nostro ruolo deve articolarsi in tutte le direzioni, tanto nei conflitti
quotidiani quanto nella battaglia politica e teorica, in un contesto
in cui la sinistra è segnata da una vera e propria babele di
linguaggi e analisi. La crisi capitalistica, oltre a porre in termini
urgenti la necessità di riarticolare piattaforme programmatiche,
metodi di lavoro, forme di lotta e di organizzazione, offre anche la
possibilità/necessità di una forte ripresa teorica del
marxismo, che può e deve misurarsi a tutto campo contro altre
letture della crisi che tendono a negarne il carattere strutturale e
sistemico (crisi del liberismo, crisi finanziaria, crisi delle “regole
del mercato”, ecc.) e a fornire quindi risposte errate e subalterne
a questo o quel settore del capitalismo italiano o internazionale, fenomeno
di cui la dilagante “obamamania” è la manifestazione
più eclatante, ma non certo l’unica.
Lavoriamo per suscitare una vera e propria rinascita del marxismo nella
forma delle letture concrete della crisi, non solo della sua dinamica
economica ma anche delle sue ricadute sul piano dei rapporti internazionali,
della struttura sociale, del movimento operaio, della morfologia delle
classi e del conflitto, ecc. Si tratta di un terreno decisivo per dare
al percorso della Rifondazione comunista un respiro e una capacità
egemonica all’altezza della sfida.
Uno degli effetti negativi
della sconfitta elettorale è la regressione della discussione
sul piano delle alchimie organizzative, con un pullulare di proposte
disegnate a tavolino che tentano di comporre nelle maniere più
disparate i frammenti del centrosinistra e/o della sinistra. È
un terreno di dibattito deteriore che respingiamo, in quanto espropria
la militanza dalle decisioni reali e la getta in un labirinto di proposte
sempre più indecifrabili e inefficaci.
Rifondazione comunista investe innanzitutto sulla propria capacità
di inserirsi nel conflitto sociale, dando risposta a quella domanda
spesso inespressa ma fortissima di punti di riferimento che possano
contribuire all’organizzazione politica, sindacale, sociale dei
lavoratori e di tutti i soggetti colpiti dalla crisi e dall’offensiva
reazionaria in atto. Non c’è altra strada feconda per valorizzare
quanto di buono fatto in questo anno e da ultimo nella campagna elettorale.
Il rapporto con le altre forze della sinistra di alternativa va impostato
nei termini trasparenti di un patto di unità d’azione,
sia su singole battaglie, sia su campagne di carattere generale. Fuori
da questo c’è solo una riedizione di percorsi già
sperimentati e falliti in anni recenti in Italia e non solo, dalla Sinistra
europea in Italia a Izquierda Unida.
L’effetto della battuta
d’arresto di Berlusconi ha mascherato solo per pochi giorni la
realtà della sconfitta del Pd, accentuata dal risultato delle
amministrative. Riemergono tutte le contraddizioni di quel progetto,
ma la forma in cui si manifestano non è quella dell’implosione
sulla quale molti a sinistra si erano illusi, preconizzando improbabili
resurrezioni socialdemocratiche dal Pd o di alcuni suoi settori.
Il voto a sinistra (due milioni di voti in queste europee, ma potenzialmente
anche di più) non può essere semplicemente fagocitato
dal Pd con una riedizione della “vocazione maggioritaria”.
Il risultato elettorale di Sinistra e Libertà fornisce al Pd
lo strumento necessario per garantire che il voto di sinistra possa
essere mantenuto nell’orbita di un centrosinistra riveduto e corretto.
Su questo punto il conflitto fra noi e quanti, a partire da SeL, intendono
inserirsi in questa prospettiva rimane aperto non può essere
aggirato. La questione delle alleanze anche a sinistra si subordina
quindi all’assunzione di una prospettiva strategicamente alternativa
al Pd, e non di semplice “autonomia”, al di fuori della
quale ci possono essere solo equivoci e una subalternità di fondo.
Della valutazione del nostro
risultato negativo deve far parte anche un bilancio dei movimenti che
hanno attraversato il nostro paese a partire dallo scorso autunno.
L’offensiva del governo è riuscita finora sostanzialmente
ad affermarsi sia contro l’Onda che contro le mobilitazioni della
Cgil, della Fiom e del sindacalismo di base. Sarebbe fuorviante attribuire
questo esito alla presunta irrappresentabilità del conflitto
sociale, tanto più se questa viene declinata in termini puramente
elettorali. La risposta va invece cercata analizzando lo scarto drammatico
fra la portata dell’attacco da un lato e la inadeguatezza della
risposta sul piano tanto programmatico che delle forme di lotta. Questo
chiama in causa soprattutto l’opposizione condotta dalla Cgil,
che ha scontato in primo luogo la completa inadeguatezza dell’impostazione
programmatica (basti ricordare che per tutto l’autunno il gruppo
dirigente confederale ha contrapposto a governo e Confindustria la famigerata
piattaforma unitaria Cgil-Cisl-Uil per la riforma del modello contrattuale).
In secondo luogo si è dimostrata a dir poco insufficiente una
pratica conflittuale basata su alcune scadenze generali (lo sciopero
generale di dicembre, la manifestazione di aprile), completamente scollegate
da una strategia di costruzione del conflitto dal basso, a partire dai
punti più critici e potenzialmente più esplosivi. Questi
limiti sono resi ancora più drammatici dalla profonda crisi strategica
e di riferimenti politici di fondo generata nella Cgil dalla costituzione
del Pd.
Le elezioni hanno dimostrato una drammatica assenza di rappresentanza
politica del mondo del lavoro, evidenziata dalla capacità di
insediamento fra i lavoratori della Lega e, in misura minore dell’Italia
dei Valori, a ulteriore conferma delle nostre debolezze su questo terreno
decisivo.
Nei prossimi mesi gli effetti sociali della crisi precipiteranno ulteriormente.
Di fronte a situazioni di autentica disperazione sociale che si andranno
a creare, la lotta, per essere credibile ed efficace, deve assumere
necessariamente forme radicali, ad oltranza, di vera e propria resistenza
di popolo attorno a quelle aziende e settori che rischiano la desertificazione
produttiva e la disgregazione sociale. L’iniziativa del partito
va pienamente dispiegata su questo terreno, lavorando sistematicamente
e con pazienza alla costruzione dei quei legami politici e sociali che
rendano possibile portare il conflitto su questo piano. Non si tratta
di voler sopperire volontaristicamente alle difficoltà della
fase, bensì di porre nel vivo del conflitto quale esso realmente
si manifesta (e non solo in un dibattito pubblico più o meno
anestetizzato, o in occasione di scadenze generali) il ruolo che come
partito vogliamo svolgere, ma anche tutti i nodi irrisolti nella posizione
degli altri soggetti in campo: sindacati, forze politiche, ecc.
È sempre presente
il rischio di un ripiegamento ulteriore della Cgil. Il nuovo attacco
all’articolo 18 targato Pd (le proposte di “contratto unico”
di Boeri e Ichino) hanno trovato aperture nel vertice confederale che
rischiano di segnare pesantemente l’avvio del dibattito congressuale,
ormai prossimo. Sarà quindi inevitabilmente un congresso di contrapposizione,
nel quale anche le posizione critiche, dalla Fiom alle aree di sinistra,
verrano messe di fronte a una prova assai severa. Esistono chiari segni
di un profondo disorientamento di settori di quadri sindacali, a partire
da quelli che hanno vissuto con insofferenza crescente la rottura con
Cisl e Uil, fino a quelli che cercano le più improbabili sponde
politiche per dare una risposta, inevitabilmente burocratica e a perdere,
alla profonda crisi di strategia della confederazione. Si tratta di
un passaggio decisivo per le sorti del conflitto di classe nel nostro
paese, al quale il Prc deve guardare molto da vicino e sul quale va
organizzato uno specifico dibattito nel partito e fra tutti i lavoratori
a noi vicini. Tale discussione va inserita nell’elaborazione di
una più complessiva strategia di intervento sindacale del nostro
partito tanto verso la Cgil che verso i sindacati di base.
Il partito necessita di una
profonda riorganizzazione. Non possiamo più permetterci un funzionamento
e degli assetti interni che troppo spesso vanificano e disperdono lo
sforzo generoso dei nostri militanti.
Le decisioni assunte lo scorso autunno, quando abbiamo stabilito responsabilità
e assetti nazionali, in larga parte non hanno prodotto i risultati necessari.
Il nostro assetto fatto di ben 49 dipartimenti nazionali strutturati
in 6 aree facenti capo ad altrettanti membri della segreteria, si è
dimostrato elefantiaco, poco produttivo e viziato dall’equilibrismo
delle componenti che rende scarsamente esigibile un bilancio trasparente
del lavoro svolto. Permangono invece distacco fra gruppo dirigente e
corpo del partito, autoreferenzialità, prevalere di una concezione
distorta e spesso d’immagine e “convegnistica” della
funzione dirigente.
Va difeso il ruolo politico
delle diverse aree che compongono il nostro partito, che permettono
che il nostro dibattito sia esplicito e riconoscibile. Tuttavia questo
non può diventare lo schermo che rende illeggibile il funzionamento
del partito, il rischio è che si stabilisca sempre una reciproca
assoluzione fra componenti che di fatto rende impossibile un funzionamento
sano e corretto della nostra struttura.
Vanno completamente riorganizzati tanto i dipartimenti, riducendone
il numero, che la stessa Direzione nazionale. Dobbiamo selezionare i
responsabili in una discussione trasparente su quanto fatto fin qui.
La nuova Direzione nazionale va costruita in modo che chi ha responsabilità
nazionali ne faccia obbligatoriamente parte, pur mantenendo le proporzioni
fra le aree politiche, la presenza di territori, ecc.
Il nord del paese non è una realtà geografica, ma politico-sociale,
nella quale siamo in forte sofferenza e dalla quale non possiamo prescindere
se vogliamo costuire un partito in grado in futuro di sfidare con efficacia
tanto l’egemonia berlusconiana e leghista che le suggestioni del
“Pd del nord” e i potenti blocchi di potere che innervano
entrambi questi schieramenti.
Già dalle prossime
settimane e mesi ci attendono scadenze importanti.
- Il referendum truffa del 21 giugno, sul quale è necessario
condurre una campagna astensionista politicamente qualificata, in particolare
contro la posizione ultra-maggioritaria assunta dal Pd.
- Riguardo all’iniziativa contro la crisi economica, oltre alle
campagne nazionali già avviate (salario sociale, ammortizzatori
sociali, intervento pubblico, nazionalizzazione del credito, petizione,
ecc.) è necessario individuare in tutti i territori alcuni punti
chiave di crisi industriale e produttiva, attorno ai quali avviare un
intervento sistematico a 360 gradi, fatto di presenza quotidiana, elaborazione
di piattaforme e proposte specifiche, momenti di unificazione (coordinamenti
di aziende in crisi, comitati territoriali di sostegno alle vertenze
occupazionali, ecc.). Dobbiamo porci l’obiettivo di dislocare
il partito attorno ad almeno un centinaio di queste realtà su
tutto il territorio nazionale, intrecciando circoli, federazioni, livello
nazionale, gruppi di intervento specifici, ecc.
- Sulla base di questo lavoro va anche preparata in tempi brevi la conferenza
delle lavoratrici e dei lavoratori.
- la questione della ricostruzione post-terremoto in Abruzzo, alla quale
si somma la provocazione di convocare il G8 all’Aquila, rende
necessaria non solo la risposta in termini di manifestazioni di protesta,
ma anche di elaborazione di una proposta complessiva che a partire dalla
situazione abruzzese parli a tutte le realtà in conflitto sul
territorio (No Ponte, No Tav, ecc.) nella prospettiva di una battaglia
nazionale contro le grandi opere speculative e per una forte politica
pubblica legata alla tutela e alla messa in sicurezza del territorio
degli insediamenti.
Su questi punti il Cpn chiama
tutte le federazioni a confrontarsi sia internamente al partito, convocando
organismi dirigenti e attivi degli iscritti, sia esternamente, con tutte
le forze disponibili, a partire da quelle che hanno condiviso con noi
l’esperienza della lista comunista.
Claudio Bellotti,
Alessandro Giardiello
Marco Veruggio
Sonia Previato
Patrizia Granchelli
Mario Iavazzi
Ali Ghaderi
Lidia Luzzaro
Antonio Santorelli
Jacopo Renda
Andrea Davolo
Dario Solvetti
(Respinto con 10 voti a favore)