Partito
della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 28 - 29 marzo 2009
Relazione
di Paolo Ferrero
La nostra azione politica
deve essere collocata dentro questa grande crisi economica. Questa rappresenta
l'esito dei processi della globalizzazione neoliberista, che possiamo
così sintetizzare: bassi salari, taglio del welfare, processi
di finanziarizzazione dell'economia.
Di fronte alla crisi finanziaria, l'idea che va per la maggiore è
pompare quantità enormi di danaro verso le banche, mantenute
private. Questo significa produrre un ulteriore travaso di ricchezze
dai salari e dal bilancio pubblico verso la rendita finanziaria.
Insomma, la valutazione che propongo è la seguente: le politiche
messe in campo non danno elementi di fondo per l'uscita dalla crisi
perché non affrontano i nodi che hanno determinato la crisi.
Pur con qualche nota positiva a partire dagli Usa, non si affrontano,
radicalmente, le questioni della redistribuzione del reddito, della
ricostruzione di un sistema di welfare pubblico, di rendere pubblico
il sistema del credito. Insomma, nelle politiche prevalenti nei governi
attuali, non si intravede per adesso nessun new deal.
Il caso italiano
In Italia, il governo Berlusconi non vuole risolvere la crisi ma la
utilizza per una svolta a destra, per scardinare le relazioni sociali
ed istituzionali.
Lo vediamo nell'attacco al contratto di lavoro e al diritto di sciopero,
nell'attacco alla scuola pubblica e al sapere come bene comune, nell'approvazione
del federalismo fiscale, nei tagli agli enti locali, negli attacchi
alla Magistratura.
Un attacco complessivo che utilizza elementi ideologici e simbolici:
i migranti utilizzati come capri espiatori e una politica integralista
e reazionaria sul testamento biologico.
L'elemento da sottolineare è il seguente: il disegno della destra
è organico e ha come obiettivo la gestione autoritaria della
frantumazione sociale, attaccando insieme diritti sociale e diritti
civili. Si colpisce il sindacato e la magistratura, indebolendo i corpi
sociali intermedi e il bilanciamento dei poteri dello Stato. C'è
contemporaneamente una operazione di cooptazione di gruppi dirigenti
dei poteri forti, anche di quelli che stavano dentro l'orbita del centro
sinistra, da Confindustria al sistema bancario. Col Vaticano vi è
già piena identità di vedute.
Questo processo materiale si accompagna al processo politico della costruzione
del partito unico delle destre, una forza a vocazione egemonica totalitaria.
Io credo che tutto ciò determinerà, dopo il passaggio
delle europee, l'esplicitarsi di un'ipotesi di scardinamento istituzionale:
la riduzione del ruolo e dei poteri del Parlamento e l'elezione diretta
del Capo dello Stato. Uno sfondamento istituzionale, coerente con progetto
sociale e politico: la realizzazione del programma della P2.
L'opposizione che non c'è
Il principale vantaggio di Berlusconi è, innanzitutto, l'inefficacia
dell'opposizione parlamentare. Questione che ritengo risieda fondamentalmente
nell'assenza di un progetto alternativo. Berlusconi ha un disegno chiarissimo
mentre l'attuale opposizione parlamentare, anche per la relazione di
internità che ha con quei poteri forti che le destre stanno cooptando,
non ne ha uno suo.
In questo quadro, dobbiamo riconoscere che anche noi abbiamo avuto in
questi mesi una difficoltà a costruire un punto di vista diverso,
visibile a livello di massa. Non siamo riusciti a costruire un punto
di vista alternativo all'opposizione parlamentare. Soprattutto a causa
delle nostre divisioni interne, anche dopo la manifestazione dello scorso
ottobre, non siamo stati in grado di produrre una iniziativa che avesse
un grado sufficiente di efficacia e visibilità.
La forza di Berlusconi sta, quindi, nell'indeterminatezza e inefficacia
dell'opposizione parlamentare e nella nostra impotenza. Non che Rifondazione
non abbia promosso iniziative importanti: contro l'attacco alla scuola,
per la difesa del contratto nazionale, in rapporto alle vertenze sindacali,
l'avvio di esperienze di mutualismo come la distribuzione del pane ecc.
Ma non siamo ancora riusciti a dare visibilità a un progetto
alternativo.
Una campagna di massa contro
la crisi
Vi propongo quindi di fare un salto di qualità a partire dal
fatto che le nostre divisioni ci stanno dietro alle spalle e dal fatto
che oggi la crisi inizia a mordere ferocemente. Dobbiamo innanzitutto
spiegare perché c'è la crisi. La crisi non deriva dal
fatto che abbiamo vissuto oltre i nostri mezzi e che quindi il modo
per uscirne è tirare la cinghia. E' il contrario: la crisi è
prodotta dai bassi salari, dalla distruzione del welfare, ecc.
Per questo proponiamo di fare una campagna di massa, da dispiegare nei
prossimi due mesi, con una raccolta di firme in tutto il Paese per presentare
la nostra lettura della crisi e la piattaforma che proponiamo.
I punti fondamentali sono:
- la redistribuzione del reddito;
- il blocco dei licenziamenti;
- l'estensione della cassa integrazione a tutti, a prescindere dalle
dimensioni dell'azienda e dalla forma giuridica del contratto, e il
salario sociale per i disoccupati;
- il no alle delocalizzazioni delle imprese;
- la lotta alla speculazione finanziaria (dall'introduzione della Tobin
Tax, all'aumento della tassazione delle rendite, alla possibilità
per i lavoratori di rientrare in possesso del loro Tfr, vista la perdita
clamorosa determinata dai fondi pensione);
- l'intervento pubblico in economia, sia sul versante del controllo
pubblico del credito che da quello della riconversione ecologica delle
produzioni.
Questa piattaforma deve crescere dentro le mobilitazioni, a partire
da quella di oggi del sindacalismo di base e quella di sabato prossimo
della Cgil. Dobbiamo avere chiaro infatti come oggi il fondamentale
elemento su cui costruire una controtendenza sia la tenuta della Cgil
e del sindacalismo di base. Per contribuire affinché questa tenuta
politica di mobilitazione prosegua anche dopo il 4 aprile, cosa non
semplice o scontata.
In secondo luogo è assolutamente decisiva la capacità
di far vivere questa nostra campagna di massa nei territori e nella
costruzione di vertenzialità locali. Dobbiamo costruire Comitati
unitari contro la crisi, come organismi aperti e partecipati.
Faccio un solo esempio concreto ma di grande rilievo.
Per fasce importanti di lavoratori, in particolare nel nord, le casse
integrazioni vanno in scadenza; questo sta portando direttamente ai
licenziamenti. Se questo accade si pone il problema di mutare forme
di lotta, arrivando sino all'occupazione delle fabbriche. Insomma, un
conto erano le crisi degli anni 80: per la gran parte, processi lunghi
che duravano 6/7 anni. Ma se oggi, solo dopo un anno, si arriva al licenziamento,
o sei in grado di tenere aggregati i lavoratori anche con un livello
di lotta più alto o non hai la possibilità di arrestare
un processo di disgregazione. I comitati contro la crisi devono aiutare
a non isolare quei lavoratori ma a creare una solidarietà vasta
tanto più necessaria quando si alza il livello del conflitto.
Come andranno a finire queste mobilitazioni e queste vertenze non è
cosa da guardare come spettatori. Non si costruisce una sinistra di
alternativa vera e radicata se viene sconfitta la nostra gente.
Questo interessa direttamente la prospettiva della costruzione di una
sinistra autonoma e alternativa al progetto del Pd, con un suo profilo
politico e culturale, una sua piattaforma e abbia come elemento fondante
il proprio essere alternativi al Pd e la lotta al bipolarismo.
La lista anticapitalista
Per le amministrative, si è lavorato tenendo al centro del programma
le questioni della crisi con proposte di merito.
Per le elezioni europee, avevamo un mandato chiaro: dare vita a una
coalizione anticapitalista, di forze di sinistra e comuniste. Una lista
i cui eletti avessero aderito al Gue e un simbolo elettorale che partisse
da quello del Prc.
L'esito concreto è una lista proposta da 4 soggetti: Socialismo
2000, Consumatori Uniti, Pdci e Prc. Nel documento che sancisce questa
unità, l'aggregazione viene definita come lista anticapitalista
che unisce i quattro soggetti suddetti e che è aperta ad altre
forze, realtà sociali, movimenti, con alla base l'adesione al
Gue che raccoglie le forze comuniste, della sinistra ecologista e anticapitalista.
Le quattro forze si impegnano a costituire un coordinamento anche dopo
le elezioni europee.
Io credo che si sia fatto in questo modo un passo in avanti importante.
Abbiamo messo con i piedi per terra, cioè ancorandolo a contenuti
e percorsi reali una discussione sull'unità che altrimenti è
puramente astratta. Unità tra diversi soggetti, ognuno con il
suo legittimo progetto - che va tenuto un passo indietro in campagna
elettorale - ma uniti su una lista per le europee che ha una discriminante
anticapitalistica e contenuti molto precisi e che decidono già
da adesso che saranno assieme in un coordinamento anche dopo le elezioni.
Ringrazio i compagni che hanno lavorato in queste settimane per il raggiungimento
di questo risultato e chiedo al Cpn di approvarlo.