Partito
della Rifondazione Comunista Documento approvato Il contesto in cui viviamo
è caratterizzato dalla crisi economica, dalla recessione, dai
licenziamenti. La crisi è destinata a durare a lungo perché
non è originata da qualche elemento congiunturale ma affonda
le sue radici nel concreto funzionamento del capitalismo. La crisi è
il frutto delle politiche neoliberiste, caratterizzate dalla completa
libertà del capitale e da una politica di precarizzazione del
lavoro e di bassi salari. Non è possibile uscirne positivamente
se non mettendo radicalmente in discussione gli attuali assetti di potere. La fase del neoliberismo è stata la fase della sconfitta del movimento operaio, della vittoria dell’ideologia capitalista, del tentativo di affossamento dell’idea della trasformazione sociale e del comunismo. La possibilità di ricostruire una ipotesi storica, non minoritaria, di trasformazione sociale in senso anticapitalista passa per la capacità di agire efficacemente all’interno della crisi per una uscita a sinistra dalla stessa. Il progetto politico che noi proponiamo per porre il tema della trasformazione sociale e dell’uscita da sinistra dalla crisi è quello della rifondazione comunista. Il richiamo quindi al movimento che ha posto il tema della rivoluzione contro il capitale e la consapevolezza della necessità di rifondare quest’ipotesi facendo fino in fondo i conti con gli errori del passato. Il progetto politico che ci diamo è quello di un nuovo movimento operaio al cui interno far vivere il progetto politico della rifondazione comunista che sappia articolarsi sul piano sociale, culturale, politico. Una prospettiva che nasce dalla volontà di costruire una società di liberi ed eguali, si basa sull’analisi delle contraddizioni del capitale e si nutre della partecipazione attiva ai movimenti sociali che concretamente operano per l’abolizione dello stato di cose presente. Con la crisi siamo entrati in una fase di transizione, al termine della quale molte cose saranno cambiate. Vi sono molte forze che spingono per una uscita a destra dalla crisi, con l’accentuarsi della tendenza alla guerra e al terrorismo sul piano internazionale e con la gestione autoritaria della guerra tra i poveri sul piano interno. La possibilità di uscire da sinistra dalla crisi ci chiede quindi un salto di qualità, in cui si intreccino positivamente definizione del progetto e movimenti di massa. Dalla capacità di agire tempestivamente e positivamente in questo contesto di “guerra di movimento” si gioca per intero la possibilità che il progetto politico della rifondazione comunista si possa affermare nel nostro paese. E’ necessario quindi un salto di qualità, che da un lato faccia uscire il partito dalla crisi post elettorale e post congressuale e, dall’altro, ricollochi il partito nella società, ne ridefinisca la sua utilità sociale e quindi il suo possibile ruolo politico. Un intervento pubblico regressivo Sul piano europeo c’è un fortissimo investimento sul lato della salvezza delle banche e un modesto intervento anticiclico; parallelamente, vanno avanti gli elementi di destrutturazione dei diritti del lavoro come la direttiva sugli orari di prossima approvazione e nulla viene fatto in termini di redistribuzione del reddito. In questo quadro ribadiamo la nostra adesione alla manifestazione che si terrà il 16 dicembre a Bruxelles contro la direttiva. Per quanto riguarda il caso italiano, queste caratteristiche sono ancora più accentuate. Da un lato c'è una ingente disponibilità di risorse sulle banche che prevede la possibilità di sostituire i manager ma esclude a priori l'idea di una gestione pubblica del credito, accoppiato al rilancio delle grandi opere distruttive dell’ambiente. Parallelamente si taglia pesantemente su scuola e università, welfare, regioni e autonomie locali, lavoro pubblico. I tagli sono parte di un disegno complessivo fatto di un salto di qualità dei processi di privatizzazione: dal sapere all’acqua, dalla sanità ai servizi. L’assenza di risorse sul versante del lavoro dipendente si accompagna alla precarizzazione ulteriore del lavoro e all’attacco al contratto nazionale. La logica delle politiche del governo è di mantenere intatto e aggravare il regime di bassi salari con l’obiettivo di distruggere il potere e la capacità di costruzione di consenso del sindacato come delle autonomie locali; Ai diritti e alla contrattazione collettiva si vuole sostituire l’elemosina di stato (la social card) attraverso l’azione diretta del sovrano. All’autonomia e al ruolo di rappresentanza del sindacato si vuole sostituire la “complicità” con le imprese nella gestione dei rapporti di lavoro, come di interi servizi sociali di cui si vuole la privatizzazione. Il governo parallelamente riduce gli spazi di democrazia con l’attacco alla libertà di informazione, all’indipendenza della Magistratura e la messa in discussione della Costituzione. E’ un insieme di ultraliberismo, neocorporativismo, autoritarismo. La ripresa del conflitto
sociale Caso emblematico di questo è il mondo della scuola. Ci troviamo dinanzi al fatto che si è mosso un intero settore, dagli insegnanti, agli universitari, agli studenti sino ai genitori delle elementari. Si tratta di un movimento pienamente politico, a partire dalle parole d'ordine che ha assunto e che sono diventate immediatamente patrimonio di tutti (“la vostra crisi non la paghiamo”). Non si vedeva da tanto tempo una capacità di interazione tra studenti e insegnanti come è avvenuta dentro questo movimento. Un elemento di forte politicità sta esattamente in questo dialogo tra i saperi sociali e in una capacità di questi saperi sociali di non presentarsi solo nella loro veste sindacale, ma in una veste politica, cioè nella capacità di saper cogliere il nodo del sapere come bene pubblico. Un movimento fortemente politico, quindi, ma che – proprio per questo - non ha visto nelle forze politiche quali esse sono oggi il proprio interlocutore. Ci pare del tutto normale. La decennale crisi della politica non si supera in un attimo e su di noi pesa la negativa esperienza del governo Prodi. Tornare ad essere un punto di riferimento per i movimenti è un percorso tutto da costruire; tanto per cominciare, invece di chiedere al movimento di stare con noi, noi dobbiamo stare nel movimento,favorire la sua crescita e il suo incontro con gli altri movimenti. In questo quadro di ripresa dei movimenti di lotta uno snodo decisivo è dato dalle scelte della CGIL: dall’opposizione alla manomissione della contrattazione nazionale, al rifiuto di firmare alcuni contratti (con l’eccezione pesante della vicenda Alitalia), allo scontro sulla manovra economica del governo. Dopo alcuni scioperi di categoria, la convocazione e la riuscita dello sciopero generale del 12, convocato dalla Cgil e dai sindacati di base, rappresenta un risultato importantissimo, un successo da cui partire. In particolare occorre sottolineare come oggi il ruolo della Cgil sia decisivo nel costituire un ruolo di ossatura di tutti i movimenti, anche quando le forme e i contenuti delle mobilitazioni vanno al di la della piattaforma della Cgil. Il ruolo del PD La nostra iniziativa politica: 1) In primo luogo occorre riprendere la costruzione di un efficace movimento pacifista che contrasti le tendenze alla guerra e la barbarie terrorista. Punti centrali dell’iniziativa sono la lotta per la riduzione della spesa per armamenti, il ritiro delle truppe italiane dai teatri di guerra a partire dall’Afghanistan, il disarmo unilaterale, la neutralità dell’Europa e l’uscita dell’Italia dalla Nato. Un importante appuntamento è costituito a questo riguardo dalla manifestazione europea convocata dal Social Forum di Malmo contro la Nato, che si terrà a Strasburgo il 4 aprile 2009. 2) In secondo luogo occorre adoperarsi per il rilancio del movimento altermondialista a partire dalla partecipazione al prossimo Social Forum Mondiale che si terrà a Belem a gennaio. Nella crisi del neoliberismo, è quanto mai importante che il movimento sia in grado su scala internazionale di avanzare proposte e percorsi di mobilitazione che indichino la possibilità di uscire da sinistra dalla crisi e su cui le esperienze in corso in America Latina ci indicano una strada possibile. 3) Rispetto alla crisi occorre in primo luogo proporre una lettura delle cause che l’hanno determinata. E’ infatti evidente la strategia delle grandi agenzie di comunicazione che sostanzialmente impedisce di riconoscere le radici di classe della crisi. La crisi viene presentata come un fenomeno naturale a cui hanno concorso l’ingordigia e l’ignavia di alcuni banchieri e da cui l’Italia non sarebbe così pesantemente toccata anche in virtù delle capacità dell’attuale governo. Non è così. Le radici strutturali della crisi sono precisamente il frutto delle politiche liberiste nelle due caratteristiche principali: il regime di precarietà del lavoro e di bassi salari che è stato l’obiettivo costante del ventennio liberista nell’intreccio con i processi di deregolazione economica e finanziaria. Non ci troviamo quindi di fronte ad un incidente di percorso ma di fronte all’effetto disastroso delle politiche economiche che hanno caratterizzato l’ultimo trentennio. In assenza di una drastica redistribuzione del reddito è impossibile uscire dalla recessione. 4) Riguardo alla crisi occorre quindi contrastare a fondo la testi che ipotizza l’uscita dalla crisi attraverso i sacrifici. I sacrifici, la compressione salariale e dei diritti sono esattamente all’origine della crisi e altri sacrifici non farebbero che aggravarla. Per questo noi proponiamo di uscire a sinistra dalla crisi e cioè attraverso una drastica redistribuzione del reddito dall’alto verso il basso e attraverso una riconversione ambientale e sociale dell’economia, una trasformazione del modello di sviluppo compatibile con i limiti ambientali. Ogni idea di unità nazionale, di fronte comune contro la crisi va rigettata, perché la crisi non è un nemico esterno da cui difendersi ma il frutto delle politiche economiche seguite anche dall’Italia negli ultimi venticinque anni. Il nemico non è esterno ma interno e si chiama rendita e profitto. Va contrastata a fondo l’idea che dalla crisi si esca rafforzando la comunità nazionale o la comunità aziendale; l’uscita a sinistra dalla crisi passa attraverso la messa in discussione degli attuali rapporti di potere tra le classi: occorre ridistribuire reddito dai profitti e dalle rendite verso i salari e le pensioni e rovesciare l’attuale modello di sviluppo. 5) Lo sciopero del 12 dicembre ha rappresentato un passaggio fondamentale; il suo esito positivo costituisce un punto di partenza importantissimo ma non risolve i problemi di fronte a tutti noi. Fuori da qualsiasi diplomazia dobbiamo essere consapevoli della sproporzione tra il livello di conflitto imposti dalla crisi e dalla durezza dell’attacco del governo e di Confindustria, e la risposta fin qui messa in campo. Dopo lo sciopero generale proclamato da Cgil e sindacati di base, dobbiamo proporre una estensione, generalizzazione e approfondimento del conflitto, sia nelle forme che nella piattaforma. Questa strada, che passa anche attraverso una maggiore relazione tra Cgil e sindacalismo di base, è l’unica che può evitare, sulla spinta del PD, il rischio di un risucchio della maggioranza del gruppo dirigente della Cgil in una logica di trattativa a perdere nei confronti del padronato e poi del governo. Tale rischio nasce dal carattere irrisolto della prospettiva di fondo della Cgil dopo la chiusura della lunga fase concertativa. È un dibattito al quale non possiamo guardare con distacco, ma nel quale dobbiamo intervenire nelle forme proprie anche in ragione dei mutamenti in corso tanto nella Cgil che nel mondo del sindacalismo di base. Grazie anche al protagonismo del movimento studentesco, le mobilitazioni di questo autunno, nei loro punti alti hanno teso a rompere gli schieramenti precedenti e a produrre nuove “coalizioni” di fatto nelle piazze e negli scioperi: uno sviluppo che può generare una feconda moltiplicazione nell’efficacia delle forze anticoncertative nell’insieme del movimento operaio. Questo è il modo concreto di praticare quella unificazione dei movimenti che costituisce uno degli elementi fondanti della possibilità di ricostruire un movimento per l’alternativa in Italia. Le potenzialità sono quindi evidenti, a patto di sottrarci a qualsiasi logica organizzativistica e velleitaria: non si tratta di proporci come coadiutori di processi di ricomposizione studiati a tavolino, ma di intervenire positivamente nel processo di ridefinizione del conflitto sindacale nel nostro paese. Sottrarsi all’offensiva confindustriale implica per la Cgil porsi il problema di una vera e propria ricostruzione della propria strategia rivendicativa e della propria pratica conflittuale. Dalla nostra capacità di interpretare correttamente i nostri compiti su questo terreno dipende in gran parte la possibilità che Rifondazione comunista conquisti infine quel radicamento nel mondo del lavoro che da troppi anni costituisce il grande assente nella nostra iniziativa e nella nostra elaborazione. E’ in questo contesto, come parte del percorso di generalizzazione dei conflitto e sviluppo del movimento, che proponiamo che si tenga entro il mese di febbraio l’attivo nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori. 6) In questa prospettiva abbiamo proposto il coordinamento della sinistra al fine di costruire una opposizione di sinistra consistente e qualificata. Dobbiamo evitare le alternative paralizzanti che vedono da un lato la costruzione di impossibili partiti unici della sinistra e dall’altra il nulla quando non lo scontro fratricida, proponendo invece l’unità della sinistra sul fare. Una sinistra contro governo, padroni e – quando serve – Vaticano. Questa prospettiva non esclude la ricerca di convergenze con le altre forze di opposizione quando questo è possibile ma per essere efficace deve possedere una soggettività propria. Il coordinamento della sinistra, ovviamente, non si limita alla relazione tra le forze politiche ma vuole essere una proposta che coinvolge, sia a livello locale che nazionale, il complesso delle forze che si collocano a sinistra, a livello politico, sociale e culturale. Le nostre proposte Per finanziare questi interventi
proponiamo le seguenti misure: Un nuovo intervento pubblico La dimensione europea Costruiamo il partito sociale -In primo luogo il rilancio del lavoro di inchiesta, per capire esattamente cosa succede alle lavoratrici e ai lavoratori dentro la crisi. Ci stiamo lavorando a partire dal questionario pubblicato su Liberazione; ogni territorio deve impegnarsi al fine di svolgere rapidamente questa inchiesta, decisiva per avere uno sguardo non ideologico su come oggi i lavoratori vivono la crisi. -In secondo luogo occorre estendere le pratiche di mutualismo poste in essere a partire dalla distribuzione del pane ad un euro al chilo. Si tratta di estendere quantitativamente questa pratica sociale e nello stesso tempo di migliorarla qualitativamente, costruendo i Gruppi di acquisto Popolare e sviluppando altre pratiche mutualistiche che ci permettano un intervento diretto sulle condizioni di vita degli strati popolari dentro la crisi. Un impegno straordinario
per il tesseramento L’indicazione che diamo è che nel corso di quelle due giornate, con un impegno diretto di tutti i dirigenti nazionali, regionali e provinciali, si tengano aperti i nostri circoli e si svolgano iniziative pubbliche. |