Partito
della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 19 e 20 aprile 2008
Documento Bellotti
e altri
Una svolta operaia per una
nuova Rifondazione comunista L’esito del voto che ha cancellato
la sinistra dal parlamento italiano deve, pur nella sua profonda negatività,
essere occasione di una riflessione profonda sul nostro partito, la
sua linea e la sua stessa natura.
Che una sconfitta ci sarebbe stata, era scritto in partenza. Un’esperienza
di governo fallimentare, terminata ingloriosamente per mano di Mastella
e Dini: una rottura col Pd subìta con rassegnazione da parte
dei gruppi dirigenti dell’Arcobaleno, che in buona parte hanno
continuato a piagnucolare per la protervia di Veltroni che non ha voluto
stringere accordi (e c’è chi continua anche dopo il voto
con lo stesso ritornello); una campagna elettorale zoppicante, parole
d’ordine vaghe e contraddittorie. Tutto questo lasciava presagire
un esito negativo, ma i numeri, smentendo anche i sondaggi più
negativi, dicono che si è aggiunto qualcosa di più.
Alla semplice domanda: “C’è un solo motivo per cui
valga la pena di votare l’Arcobaleno?” oltre due milioni
e settecentomila elettori che nel 2006 avevano votato le forze dell’Arcobaleno
(senza contare Sinistra democratica) non hanno saputo dare risposta.
Il voto della sinistra è esploso in frammenti, chi nell’astensione,
chi nelle liste del Pcl e di Sinistra critica, chi nel “voto utile”
al Pd, chi infine nel voto a Di Pietro e alla Lega nord. Il terreno
è franato sotto i piedi di un gruppo dirigente che fino all’ultimo
minuto non ha dimostrato di avere il minimo sentore di quanto si stava
preparando. È la fine di un’epoca.
La nettezza della vittoria
di Berlusconi si accompagna a una radicalizzazione a destra che si esprime
nel voto alla Lega e alla Destra di Storace. In questo risultato sicuramente
la parte del leone l’hanno fatta i due anni di governo Prodi e
il rapido deteriorarsi delle condizioni sociali, di vita e di lavoro
di milioni di persone.
Tuttavia non possiamo nasconderci che in questo voto si manifestano
anche processi di più lungo periodo.
La crescita del voto operaio alla Lega, che torna a mietere consensi
anche in zone come l’Emilia Romagna, unito a una crescita dell’astensionismo
in molte zone operaie, è un segnale che deve far riflettere,
così come il successo dell’Italia dei valori, che rappresenta
l’anima più demagogica e reazionaria dell’alleanza
guidata da Veltroni. Non è solo voto di protesta, è anche
il frutto di un lungo lavoro di “semina” compiuto dalla
Lega, spesso in collaborazione competititva con i neofascisti di Forza
Nuova. Per anni il veleno razzista è stato disseminato nella
società senza trovare una risposta forte e convincente da parte
della sinistra e con l’accondiscendenza delle forze che poi hanno
costituito il Pd. Se la destra razzista che frequenta quotidianamente
i quartieri periferici mentre la sinistra lancia appelli alla fraternità
dai salottini di Via Veneto, come stupirsi di questi numeri? La classe
operaia, si dice, ha abbandonato la sinistra. Sì, almeno in larga
parte. Ma questo è stato possibile solo perché prima la
sinistra ha drammaticamente abbandonato la classe operaia a sè
stessa.
Un ulteriore elemento da segnalare è il voto alla Destra, che
si segnala per la sua forte componente giovanile. Paragonando il voto
di Camera e Senato è il partito che in proporzione al proprio
elettorato ha il maggior voto giovanile.
Con una destra saldamente al governo e con un Pd a fare un’“opposizione”
che su molti temi potrebbe avere posizioni persino più liberiste
e filopadronali di Tremonti, con una burocrazia sindacale in ginocchio
e una sinistra a pezzi, è fin troppo facile capire che sui lavoratori
si scaricherà una pressione pesantissima. Dobbiamo esserne coscienti,
si preparano tempi molto duri. La possibililtà di esplosioni
della lotta di classe sono implicite, ma dobbiamo sapere che la ripresa
delle mobilitazione del protagonismo operaio si dovrà fare strada
in una situazione politica e sociale assai difficile.
La sconfitta dell’Arcobaleno produrrà una severa selezione
a tutti i livelli. Non parliamo qui di quei dirigenti dei Verdi e di
Sinistra democratica che già si preparano a veleggiare verso
il Partito democratico o i socialisti. Parliamo della crisi del Prc,
che è l’epicentro della crisi della sinistra.
La volontà di riscatto
che anima la parte più vitale del Prc deve essere la base per
una elaborazione politica e teorica all’altezza della sfida. I
circoli, le federazioni, i gruppi dirigenti del Prc devono diventare
luoghi di dibattito politico serio, di riflessione approfondita sulle
condizioni di lavoro e di vita di quei milioni di lavoratori che percepiscono
la sinistra come sideralmente lontana dai loro bisogni. Dobbiamo aprire,
o riaprire, una discussione seria sulle esperienze storiche del movimento
operaio e comunista, sulle basi teoriche del marxismo, sulle esperienze
di punta della lotta di classe a livello internazionale, a partire da
quelle latinoamericane, che oggi possono aiutarci a riproporre la questione
del superamento del capitalismo e di una società socialista basata
sui bisogni e non sul profitto.
Su queste basi, in un partito che ponga al centro la militanza e lo
spirito di sacrificio, sarà allora possibile anche parlare di
una vera democrazia interna, di controllo della base sui vertici, della
formazione di una nuova generazione di quadri e di militanti.
Ma questo non è ancora sufficiente. Non basta studiare e conoscere
contraddizioni e bisogni: è necessario che questa analisi porti
a risposte politiche e organizzative, pena trasformarci in semplice
commentatori passivi della crisi sociale.
La svolta operaia significa non solo orientarsi ai luoghi di lavoro,
ma assumere fino in fondo la necessità di una completa indipendenza
di classe del partito e del suo programma, il che oggi significa concretamente
indipendenza e antagonismo non solo rispetto alle destre oggi al governo,
ma anche rispetto al Partito democratico e al blocco di interessi da
esso rappresentato.
Anche fuori dal parlamento, il problema politico di fondo rimane aperto.
Dobbiamo scegliere tra chi pensa che la sinistra debba comunque, in
un modo o nell’altro, costruirsi in una logica di alleanza col
Pd, di fronte comune contro le destre, in sostanza di proseguire sulla
strada degli scorsi anni, e chi invece ritiene che la natura padronale
e confindustriale del Pd ne faccia un nostro avversario strategico.
Proponiamo che il Prc assuma con nettezza questa seconda posizione.
Non si ricostruirà mai una sinistra di classe, reale espressione
dei lavoratori, con un consenso di massa, fino a quando non si romperà
definitivamente questo cordone ombelicale.
Sappiamo bene che non basta
agitare slogan o parole d’ordine di sinistra, per quanto corrette,
per risalire la china. Le condizioni obiettive, il maturare della coscienza
di massa, ha le sue regole e i suoi tempi che non dipendono principalmente
dall’azione di un partito, per giunta piccolo, ma dipendono soprattutto
dagli avvenimenti, dall’esperienza viva che milioni di lavoratori
compiono ogni giorno. Per rompere la presa della destra nel nostro paese
e il duopolio Pd-Pdl non basteranno tante belle parole, ma sarà
necessario un forte movimento di massa dei lavoratori, che ne scuota
l’egemonia nella società, che faccia emergere un punto
di riferimento forte sul quale una prospettiva comunista possa trovare
credibilità e autorità.
Questa fase difficile deve essere attraversata fino in fondo, in tutte
le sue pieghe, dobbiamo usare le difficoltà attuali per imparare
a calarci nel profondo delle contraddizioni, per partecipare passo per
passo a questa traversata, per far crescere un nuovo tipo di militante
comunista, che rompa oggi con il lascito fallimentare della stagione
del governismo e della liquidazione politica e ideologica, per potere
domani svolgere un ruolo di primo piano nel riscatto che tutti insieme
prepareremo.
Per invertire la rotta è
indispensabile che il partito abbandoni ogni velleità di costituire
un soggetto politico amorfo e distante dalle masse quale è l’Arcobaleno.
Come va abbandonata la pratica di imporre dall’alto scelte che
hanno dimostrato il loro carattere fallimentare. Non solo è imprescindibile
che arrivino le dimissioni del gruppo dirigente convocando immediatamente
il congresso, è altresì necessario riflettere sul futuro
della rifondazione comunista.
Da questo punto di vista non è pensabile che la riesumazione
della Sinistra europea rappresenti un’alternativa credibile. L’Arcobaleno
si è imposto proprio a partire dall’insuccesso della sezione
italiana della sinistra europea. Dall’altra parte la proposta
della Confederazione oltre ad essere debole risulta sempre meno credibile
alla luce dell’esodo che si produrrà inevitabilmente dall’Arcobaleno
verso le sponde del Pd.
E’ tutt’altra la direzione che deve essere intrapresa. Si
tratta di partire dalla rifondazione comunista, da una nuova rifondazione
da rilanciare con un paziente e umile lavoro a partire dai luoghi di
lavoro, dalle periferie, dal conflitto ovunque si produca.
Solo a partire da un lavoro centrato sul nostro partito che punti a
far emergere e a far pesare le forze sane e i settori proletari e più
combattivi è possibile aprire un’interlocuzione con le
altre forze anticapitalistiche includendo i compagni del Pcl, di Sinistra
Critica e anche del Pdci.
La proposta di unità comunista che viene avanzata da Diliberto
non può ridursi a un problema di simboli, che ovviamente non
esauriscono la questione di un progetto politico rivoluzionario e anticapitalista.
Ai compagni del Pdci dobbiamo chiedere cosa intendono quando dicono
che è stata superata la rottura del ’98. E cioè
se hanno accantonato l’idea di “unità delle forze
democratiche” per abbracciare una politica di indipendenza dalle
forze della borghesia e di conflitto strategico dei comunisti contro
il Pd. Altrimenti l’unità comunista sarebbe destinata a
trasformarsi in un progetto minoritario e settario incapace di incidere
nella realtà sociale e suscitare grandi entusiasmi nei settori
più vitali e dinamici della società.
L’ipotesi che sottoponiamo al giudizio dei militanti è
quella di una nuova rifondazione comunista che a partire dalle migliori
tradizioni del movimento operaio, da una vera e propria svolta operaia,
nell’elaborazione, nei programmi e anche nella vita del partito,
mettendo al centro la militanza e la partecipazione, selezionando gruppi
dirigenti capaci di ricostruire il radicamento di classe del partito,
sia in grado di rivolgersi a tutti gli oppressi e di riscattare questa
sconfitta drammatica.
Claudio Bellotti, Simona
Bolelli, Alessandro Giardiello, Mario Iavazzi, Jacopo Renda,
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