Partito
della Rifondazione Comunista Documento respinto area Essere comunisti Siamo ormai dentro una campagna elettorale che si presenta per noi molto difficile. Essa segue al fallimento di un governo di cui abbiamo fatto parte e che non ha dato risposta alla domanda di equità sociale che saliva forte dal Paese. Torniamo oggi a chiedere il voto degli elettori, scontando una ridotta riserva di credibilità. E' vero che il nostro partito ha fino all'ultimo tentato di contrastare il costante ricatto esercitato dalla parte moderata della coalizione. E' altresì vero, però, che tale generoso sforzo si è rivelato nel contempo impotente e tardivo, promosso dopo tutta una fase nella quale si è scelto di investire sull'internità all'Unione, sulle tesi - rivelatesi del tutto infondate - di uno spostamento a sinistra del centro-sinistra e di una permeabilità del costituendo governo al conflitto sociale e ai movimenti: in proposito, appare bruciante la sconfitta registrata con il varo del protocollo su welfare e pensioni. Il fallimento della suddetta prospettiva sancisce altresì il fatto che la linea adottata al congresso di Venezia è smentita dai fatti. Con la costituzione del Partito democratico, il centro-sinistra ha infatti impresso un'ulteriore spinta moderata al quadro politico, rendendosi permeabile non già ai movimenti, ma ai desiderata della Confindustria e del Vaticano ed ha accentuato l'abbandono della rappresentanza del lavoro e la sua consociativa equidistanza tra gli interessi dei lavoratori, da un lato, e quelli dell'impresa e dei "poteri forti" dall'altro. Va sottolineato che tutto ciò è avvenuto nonostante il sussulto di poderose iniziative di massa: basti pensare alle grandi manifestazioni del novembre 2006 sulla precarietà, del febbraio 2007 a Vicenza contro la base Usa, del 20 ottobre 2007 contro il protocollo su welfare e pensioni, del 24 novembre 2007 contro l'attacco alla 194. 2 - Non può essere sottovalutata la gravità dell'attuale congiuntura politica. Con la parte più debole della società già stremata dal peggioramento delle proprie condizioni di vita, si profila una fase recessiva, ormai conclamata a livello europeo e mondiale, i cui rigori non mancheranno di riverberarsi con maggior pesantezza sul nostro Paese. Quale che sia il risultato delle prossime elezioni, non è avventato prevedere che il futuro governo sarà chiamato a gestire ulteriori giri di vite sul terreno delle politiche sociali: l'esatto contrario di quel "risarcimento sociale" sin qui vanamente auspicato. Concreto è il rischio di assistere all'insediamento di un governo "clerico-fascista". Ma, più in generale, ci troveremo con ogni probabilità a dover contrastare una pericolosa involuzione degli assetti politico-istituzionali, esemplificati dal proposito a più riprese dichiarato di dar vita ad una "legislatura costituente": metter mano alla Costituzione per garantire opportuni assetti di "governabilità", in un contesto segnato dal controllo bipartisan dei media e dalla cancellazione dell'autonomia delle forze sindacali. Del resto, a preannunciare una tale deriva, è significativo il modo in cui si è dato il colpo di grazia alla già traballante tenuta del governo Prodi. Formalmente, la crisi è stata aperta da Mastella e dal voto delle forze centriste. Di fatto, a rompere gli argini è stata l'investitura di Veltroni a leader del Partito democratico e la determinazione con cui quest'ultimo ha anteposto il suo progetto politico alla tenuta del governo. Da qui viene l'intesa e la convergenza di interessi tra Veltroni e Berlusconi, entrambi miranti ad una legge elettorale in linea con l'obiettivo generale di pervenire ad un compiuto sistema bipartitico. Davanti ad un tale pericoloso sviluppo, quanto mai avventato e illusorio è parso il tentativo di piegare tale innaturale convergenza verso un esito della trattativa favorevole al "modello tedesco". 3 - In una situazione di tale difficoltà, quando occorrerebbe gettare nella contesa politica il potenziale di ciascuna delle forze della sinistra di alternativa - a cominciare da Rifondazione comunista - per contrapporci al concreto rischio del "voto utile", dobbiamo viceversa constatare, per quel che concerne in particolare il nostro partito, di dover far fronte ad un malessere profondo e trasversalmente diffuso. Beninteso, dovendo andare ad elezioni con la presente legge elettorale, la scelta appare obbligata: la lista unitaria delle forze della sinistra è la sola strada che possa contemperare le nostre esigenze con quelle dei nostri alleati. Certo, per il Prc sarebbe stata una soluzione ottimale quella di presentare almeno per la Camera dei Deputati una coalizione di forze che, seppur coalizzate, mantenessero anche sulla scheda elettorale la loro autonomia e il loro simbolo. Ciò avrebbe tuttavia comportato un'alta soglia di sbarramento per la coalizione ed altrettante soglie inarrivabili per tre dei quattro partiti coalizzati: per questo motivo, una tale proposta non avrebbe mai potuto ricevere il necessario consenso. Dunque, stante la presente normativa, la lista unica appare una strada obbligata. Ma non è qui il punto. Il nostro dissenso - che trova eco in una diffusa protesta di tanti iscritti del nostro partito - concerne la cancellazione del nostro simbolo dal logo comune, l'accettazione di ciò da parte della dirigenza del nostro partito senza che sia stata opposta la minima resistenza. Muoviamo un rilievo di metodo e di merito. In primo luogo, contestiamo quella che secondo noi si configura come una lesione alla vita democratica di Rifondazione comunista. Decisioni delicate e importanti sono state prese con un inaccettabile metodo verticistico: si tratta di una violazione ancor più paradossale, poiché operata da chi ha da sempre fatto della partecipazione dal basso la sua bandiera. Ora, ci esprimiamo su decisioni già praticate, amplificate su organi di stampa e Tv, stampate su manifesti elettorali, sostenute in trattative di vertice. E' un puro esercizio retorico l'ipotesi che tali decisioni possano essere cambiate. Il corpo del partito, i suoi iscritti, la maggioranza dei suoi dirigenti, nazionali e locali, hanno dovuto assistere da spettatori passivi all'evolvere degli eventi, senza avere alcuna sede in cui poter contribuire fattivamente alla decisione. Si tratta, a nostro avviso, di un chiaro passo indietro rispetto alla prospettiva che insieme abbiamo contribuito ad aprire in occasione della Conferenza di Carrara: una prospettiva fondata sulla critica delle distorsioni della vita interna al nostro partito e sul recupero di uno slancio democratico e partecipativo. A questa prospettiva intendiamo continuare a riferirci con forza. 4 - In secondo luogo, dissentiamo fortemente sul merito. Non si tratta di un'irrilevante querelle su un "segno grafico": se così fosse, non si comprenderebbe la perentorietà del veto posto sulla falce ed il martello, un simbolo che tra l'altro da diciassette anni a questa parte ha sempre raccolto in tutte le tornate elettorali milioni di voti. La domanda da porsi non è quella di chi chiede: "ma perché insistete così tanto nel volere la falce ed il martello?"; al contrario, occorre domandarsi "perché qualcuno vuole togliere questo simbolo a tutti i costi?". Quel che noi affermiamo è che in tale abbandono simbolico si esprima non già una scelta "innovativa" ma la sostanza politica di un cedimento moderato. Non è un caso che ad escludere qualsiasi ipotesi di presenza della falce e del martello dal logo comune siano coloro i quali non erano in piazza a Roma contro Bush e il 20 ottobre scorso contro la precarietà; quelli stessi che non hanno dato un giudizio del tutto negativo sul protocollo sul welfare e che ancora recentemente, in occasione dei voti sulle missioni internazionali e sul riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo, hanno ritenuto di doversi differenziare evitando di esprimere il proprio dissenso attraverso un voto contrario. Intendiamo contrastare il profilarsi del progetto di una convergenza strategica tra il Prc e Sinistra democratica, tendente a negare in radice le stesse ragioni costitutive del nostro partito. La costruzione di un partito genericamente di sinistra è cosa rispettabile ma assai diversa dalla costruzione di un partito comunista con basi di massa: un partito, quest'ultimo, che mantiene come obiettivo strategico il superamento del capitalismo, che non intende far parte della casa del socialismo europeo ma conferma il proprio riferimento al Gue, che non esclude di partecipare al governo del Paese ma solo a precise condizioni, che vive nel conflitto e nei movimenti, che rivendica la propria tradizione antifascista e antirazzista militante, che sta con Cuba e non con i suoi detrattori. 5 - Di tutto questo discuteremo al Congresso: un Congresso che non potrà più essere rinviato e che dovrà svolgersi al più presto, a partire dall'indomani delle elezioni. Ma ora dobbiamo accingerci ad affrontare la contesa elettorale. E dobbiamo condurre a tale difficile impegno tutto il corpo militante del partito, convincendo quanti oggi si ritraggono delusi o critici rispetto alle scelte sin qui fatte. In sintonia col sentire di tante compagne e tanti compagni, ci opponiamo ad ogni ipotesi tendente più o meno esplicitamente a sciogliere o superare Rifondazione comunista, vogliamo dare continuità all'impresa avviata con entusiasmo e passione nel 1991. Con questo convincimento, per noi restano valide le decisioni assunte a Carrara: a quelle ci atteniamo e chiediamo al gruppo dirigente, a quelli che hanno spinto per realizzare quella conferenza di battere un colpo, di farsi sentire, di essere conseguenti con la strada che in quella circostanza abbiamo aperto. Claudio Grassi, Alberto Burgio, Bianca Bracci Torsi, Maria Campese, Guido Cappelloni, Bruno Casati, Aurelio Crippa, Bruno Steri |