Partito
della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 22 - 23 febbraio 2008
Documento
respinto Benni e altri
Una corretta analisi critica
sull'esperienza della partecipazione al governo Prodi e sulle cause
vere del suo fallimento è indispensabile alla vigilia delle importanti
elezioni politiche, anche per tentare di recuperare a sinistra il crescente
malessere sociale e la delusione profonda che l'esperienza del governo
Prodi ha prodotto soprattutto nei movimenti e nei nostri tradizionali
soggetti sociali di riferimento, nel mondo del lavoro, nel popolo comunista
e di sinistra.
Quando parliamo del fallimento del governo dell'Unione non ci riferiamo
solo ai singoli provvedimenti del governo Prodi ma alla separazione
dell'attività di governo e parlamentare dalle dinamiche della
società. La solitudine e il silenzio in cui vivono gli operai,
tragicamente emerse con la strage alla ThyssenKrupp, l'accordo del 23
luglio che ha sdoganato a sinistra la legge 30 invece di superarla,
la disuguaglianza sempre più vistosa tra i redditi, che schiacciano
sulla povertà strati popolari crescenti, la situazione di degrado
e le tendenze alla privatizzazione della scuola pubblica, l'invadenza
della gerarchia cattolica che ha imposto le sue visioni, i provvedimenti
razzisti nei confronti dei nuovi cittadini immigrati, l'incapacità
di ascolto delle comunità, quale quella di Vicenza o della Val
Susa, e la partecipazione crescente alla guerra in Afganistan, sono
i principali atti negativi del governo Prodi che hanno segnato una cesura
profonda tra società e governo. E' questo che ha fatto precipitare
il consenso alla sua attività e l'ha reso facilmente vulnerabile
all'azione dei poteri forti (Confindustria, Vaticano, Usa), della destra
interna alla maggioranza e alla destabilizzazione prodotta dalla nascita
del Partito Democratico con la sua vocazione maggioritaria e centrista.
In realtà i fatti hanno dimostrato che i rapporti di forza tra
le classi hanno reso impossibile lo spostamento a sinistra dell'asse
del governo attraverso le pure relazioni politiche e parlamentari, tanto
più che il governismo della sinistra ha fatto venire meno un
riferimento politico per i movimenti e le lotte sociali. Bisogna ammettere
apertamente che si è rivelata illusoria e sbagliata la previsione
di crisi del liberismo e di permeabilità del governo alle istanze
dei movimenti e che è necessario un cambiamento radicale di analisi
di fase e di linea, in direzione di una opposizione di lunga lena e
di una nuova immersione nella società, contro ogni residuo di
illusione governista. Anche perché la rottura profonda con i
movimenti e con il popolo di sinistra difficilmente sarà sanabile
senza una vera autocritica ed un chiaro cambiamento di linea, che dovrebbe
essere il perno del programma elettorale e proiettarsi nella fase successiva,
tesa a rielaborare un dialogo con i nostri ceti di riferimento e a praticare
il conflitto sociale.
Il Partito ha bisogno di una vera discussione democratica, con un carattere
aperto, anche superando le barriere delle vecchie mozioni di Venezia,
in un clima di grande unitarietà anche di fronte alle diverse
posizioni che necessariamente ed anche utilmente dovessero emergere,
imponendo un rigoroso rispetto della democrazia, in basso e in alto,
sia nel favorire la partecipazione della base alle decisioni che nei
rapporti corretti e democratici fra le diverse posizioni e culture politiche
presenti nel Prc, che andrebbero assunte come una ricchezza e non come
un problema. Proprio l'opposto di come si sono fatte le scelte negli
ultimi mesi, in particolare dopo il rinvio del Congresso. Si apprende
dai mass media che il Prc, senza consultare né gli organi dirigenti
né gli iscritti, si appresta a correre alle elezioni con una
lista unica, con il simbolo dell'arcobaleno e con la cancellazione della
falce e martello.
Questa scelta è stata
assunta in violazione delle più elementari regole di democrazia,
che richiederebbero almeno una consultazione (se non un vero e proprio
congresso), senza la quale il gruppo dirigente non ha alcun mandato.
Dovrebbe essere respinta da tutti e tutte la politica dei fatti compiuti,
inaccettabile per principio e dannosa sul piano dell'unitarietà
operativa e politica del partito. Lo abbiamo denunciato tutti assieme
quando ciò è stato fatto nella coalizione di governo da
Prodi e dal Pd, non può essere accettato quando ciò viene
fatto nel partito da autorevoli esponenti del Prc.
La cancellazione della falce e martello - senza alcuna preventiva consultazione
e dopo aver rinviato il congresso - non solo rischia di disperdere centinaia
di migliaia di voti comunisti nelle imminenti elezioni politiche ed
amministrative, ma prefigura un passaggio intermedio in direzione della
costituzione del partito unico della sinistra al cui interno superare
Rifondazione Comunista, come proposto da autorevolissimi esponenti di
partito e della sinistra. Proposta che riteniamo inaccettabile e che
respingiamo decisamente per l'oggi e per il domani.
Non è in discussione la necessità di unità a sinistra
ma tale unità va fondata sulla condivisione di contenuti politici
e può trovare un'ampia condivisione nel partito se avviene contemporaneamente
al rafforzamento del partito e della sua autonomia, al carattere comunista
e anticapitalistica della sua organizzazione e della sua linea politica,
se non si mette in discussione il processo di rifondazione di un partito
comunista in un quadro di interlocuzione con le forze sociali e di movimento,
interlocuzione che le politiche del governo Prodi e la nostra internità
ad esso hanno contribuito a logorare.. Invece, la cancellazione della
falce e martello, anche dal simbolo unico, non necessaria elettoralmente,
accompagnata da continue pressioni e proposte di superamento del Prc
e da atti concreti di cessione di sovranità, assieme alla volontà
di presentare il simbolo unico invece di ampie e unitarie coalizioni
di liste e simboli di sinistra nelle elezioni amministrative, dimostra
il carattere politico e ideologico e non solo elettorale della decisione
di cancellazione della falce e martello. Decisione che intendiamo rimettere
radicalmente in discussione dopo le elezioni in un congresso sempre
più necessario e urgente.
La modalità di scelta dei candidati va prospettandosi in coerenza
con la modalità della scelta, finora, di una campagna elettorale
fondamentalmente subalterna a Sinistra Democratica e al Pd e con la
cancellazione della falce e martello. Sarebbe grave ed emblematico se
le decisioni sulle liste avvenissero, come è avvenuto finora
sulla linea politica, senza il rispetto né delle proposte dei
territori (come recita lo Statuto agli articoli 56 e 59) né delle
minoranze (sempre lo Statuto all'articolo 57). Sarebbe un modo per danneggiare
ulteriormente il risultato elettorale, deludendo parti rilevanti del
partito e dell'elettorato che invece hanno bisogno di essere motivate,
per una campagna elettorale importante e difficilissima.
Anche per una reale democrazia interna serve un radicale cambiamento
di rotta. E' necessario consultare ed ascoltare gli iscritti e le iscritte
oltre che i sondaggi, praticando nei fatti quella democrazia partecipata
a fondamento della rifondazione comunista. Ma l'autonomia del nostro
partito e la sua piena sovranità nelle sue scelte sono alla base
di una reale democrazia interna. Se il partito diventa eterodiretto
e le decisioni vengono prese nel rapporto fra vertici ristrettissimi
di alcune forze di sinistra, non ci potrà essere nessuna vera
democrazia e partecipazione dal basso.
Guido Benni, Claudio Bettarello,
Fosco Giannini, Antonello Manocchio, Adriana Miniati, Francesco Maringiò,
Leonardo Masella, Vladimiro Merlin, Olindo Orlandini, Gianluigi Pegolo,
Roberto Sconciaforni, Fausto Sorini, Marco Verruggio