Partito
della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 5 - 6 ottobre 2007
Relazione
di Franco Giordano
La ripresa è stata
subito impegnativa per noi. Con il Comitato Politico Nazionale (CPN)
di oggi si apre il percorso congressuale. Noi proponiamo che il congresso
si celebri dal 6 al 9 marzo 2008.
Mai come in questa fase vi è stata una connessione inscindibile
fra le scelte della congiuntura politica e la futura collocazione strategica.
Propongo che il Prc assuma come compito prioritario quello di costruire
un nuovo soggetto unitario e plurale della sinistra in Italia. La sinistra
può e deve aprire un nuovo ciclo politico in Italia ed in Europa,
invertendo una tendenza in atto da circa un quarto di secolo.
Il nuovo soggetto unitario e plurale nasce per dare risposte ad un'acuta
ed inevasa domanda di cambiamento radicale proveniente dalla società
italiana che chiede un processo di riforma della politica, sia per porre
un argine alla sua stessa crisi, sia per rispondere alle sollecitazioni
ed alle suggestioni cresciute con i movimenti in questi anni.
Il vasto ed articolato popolo della sinistra, anche quello più
critico e deluso, deve poter trovare, fin da subito, la ragione di una
sua partecipazione attiva. Si tratta di un'impresa impegnativa ed urgente.
Il capitalismo attuale, quello
della globalizzazione, è una forma senza precedenti di spoliazione
dell'essere umano, del lavoro, della natura, delle conoscenze. Colonizza
il corpo e la mente, un capitalismo totalizzante che incorpora e riproduce
antiche forme di dominio come l'organizzazione patriarcale della società.
La guerra "preventiva e permanente" è già proposta
come il nuovo ordine mondiale che alimenta la spirale drammatica del
terrore e dei fondamentalismi.
I mutamenti climatici, causati da un modello di crescita che dissipa
risorse ed accumula veleni, incombono come una ipoteca distruttiva sulla
biosfera e sul destino del genere umano.
Le classi sociali, la persona, la natura e la democrazia, in questa
prospettiva, si riducono a semplici variabili dipendenti.
Le conseguenze sociali sono devastanti, a partire dal precariato che
cancella le conquiste sociali ottenute dal mondo del lavoro in mezzo
secolo, bloccando la prospettiva di un'intera generazione.
Le ineguaglianze crescono,
diventano strutturali fino a trasformarsi in motore della nostra società
contemporanea. Davanti a questo quadro, un'alternativa di società
è necessaria e possibile.
La sinistra in Europa si trova oggi di fronte alla sfida, forse, più
difficile della sua storia: quella dell'esistenza politica. Non è
solo, come già successo, il rischio della sconfitta: ma siamo
di fronte al rischio di un vero e proprio declino. Questa volta l'urgenza
della risposta è davvero grande, perché grande è
la minaccia. Se essa si avverasse, l'esito sarebbe drammatico: l'eredità
intera del movimento operaio del ‘900 verrebbe dilapidata.
Nella crisi della politica
e delle istituzioni, nel distacco da esse di tanta parte del paese,
va prendendo corpo un'ipotesi a-democratica di dominio che dissolve
i fondamenti della dialettica politica della modernità, cioè
la discriminante fra destra e sinistra. Essa pone l'impresa come centro
di un presunto interesse generale e lavora su una passivizzazione di
massa politica, sociale e culturale. In questa concezione a-democratica
la stabilità del sistema e degli assetti di governo sarebbe proprio
affidata alla morte della politica.
La crisi di civiltà diventa il più forte alleato di questo
progetto. La crisi della coesione sociale, la violenza diffusa nella
vita sociale e nella quotidianità e quindi la paura e l'insicurezza
di massa: ecco le "corpose" realtà, che diventano contestualmente
anche potenti armi ideologiche, sulle quali si fa leva per espellere
dalla politica e dalle istituzioni il conflitto sociale e di classe.
In questo processo è soprattutto la sinistra a correre il rischio
maggiore, se per sinistra s'intende chi è portatore di una alternativa
di società.
Se questa è la posta
in gioco, il compito prioritario, in Italia e in Europa non può
che essere la lotta contro l'omologazione della politica: ovvero la
necessità assoluta di tenere aperta la partita, di preservare
lo spazio di una politica della trasformazione, di restituire efficacia
e vitalità a una proposta di alternativa, di restituire un significato
pieno all'essere di sinistra.
Oggi in Italia si affaccia una nuova possibilità: l'occasione
dell'unità di tutte le forze della sinistra alternativa, per
dare efficacia all'agire collettivo e alla politica del cambiamento.
Cogliere questa possibilità vuole dire rispondere ad un bisogno
diffuso, sebbene ancora incompiutamente definito nei movimenti, nella
società e nell'opinione di sinistra. Cogliere questa possibilità
vuol dire costruire una forza unitaria e plurale a sinistra capace di
essere presente in modo radicato, diffuso e partecipato nel conflitto
sociale, nei movimenti e nella società civile.
Cogliere questa possibilità vuol dire costruire una forza unitaria
della sinistra capace di tornare ad incidere potentemente nello spazio
pubblico e nelle istituzioni.
Senza questa soggettività unitaria e plurale dell'intera sinistra
di alternativa, avremo una difficoltà strutturale a vincere la
sfida del nostro tempo in questa parte del mondo. Invece essa è
una necessità politica ormai evidente, in primo luogo perché
possa dispiegare il protagonismo dei soggetti critici dell'ordine esistente.
L'americanizzazione della politica in Europa si è fatta un rischio
minaccioso. Ogni rinvio di una nuova iniziativa a sinistra lo può
alimentare.
La nostra proposta è
quella di dar vita ad un processo di massa del soggetto unitario e plurale
della sinistra di alternativa, per riprendere con rinnovata forza la
questione, irrinunciabile, di un nuovo assetto di società. Questo
impegno non è, lo ripeto, alternativo al mantenimento dell'autonomia
politica ed organizzativa del partito ed al suo rafforzamento.
Con altre forze della sinistra abbiamo condiviso la proposta di tenere
gli Stati Generali della sinistra dopo la manifestazione del 20 ottobre.
Discuteremo unitariamente come organizzarli, ma per parte nostra vorremo
avanzare la proposta di un coinvolgimento largo, partecipato, diffuso
delle esperienze di sinistra che si sono sviluppate nel nostro paese
oltre il recinto delle singole forze politiche, imitando i modelli partecipativi
dei forum sociali sull'onda dell'esperienza del movimento dei movimenti.
Coinvolgendo quello che di nuovo si è mosso nel nostro paese:
dalle vertenze territoriali ed ambientali, alle vertenze sociali, alle
varie forme di associazionismo e protagonismo democratico, ai comitati
che si stanno formando per la manifestazione del 20 ottobre.
Naturalmente noi rispettiamo
le primarie del 14 ottobre: esse sono un test democratico importante,
come la manifestazione del 20 ottobre sarà un momento importante
per la vita democratica del paese. Ma rispetto alle primarie e a quella
idea di politica, proponiamo un modello partecipativo reale e rifiutiamo
la scorciatoia secondo cui la democrazia si esaurisce nell'azione di
un leader a cui affidarsi, a cui delegare le proprie istanze di protagonismo.
Perciò vogliamo provare ad invertire la tendenza alla logica
americanizzante della politica.
La manifestazione del 20 ottobre rappresenta, dunque, un passaggio cruciale
e aderiamo e partecipiamo con una condivisione piena allo spirito ed
alla piattaforma dei promotori. La manifestazione chiede un salto di
qualità nell'azione del governo; unifica realtà di movimenti
ed esperienze di lotta che rischierebbero la solitudine; parla alle
esperienze comunitarie che hanno ricostruito il legame sociale, da Vicenza
alla Val di Susa; parla al malessere sociale diffuso; nomina un popolo
di sinistra che si propone come alternativa alla deriva della passività
ed al degrado della politica; interviene su una materia decisiva su
una materia che è la cifra dell'attuale fase di globalizzazione
capitalistica come la precarietà ed il bisogno di sicurezza sociale;
prova a riconnettere cittadinanza, democrazia, con giustizia sociale;
incrocia un bisogno urgente di nuovi diritti a cominciare da quelli
civili; prova a rompere un torpore culturale ed una stagnazione inquietante
e regressiva, alimentati dalle incertezze ed ambiguità del costituendo
Partito Democratico su di un tema dirimente come quello della laicità.
Dalle notizie che abbiamo,
sarà una manifestazione grandissima ed unitaria che esprimerà
anche le ragioni del popolo della pace, la ripulsa di guerra e terrorismo,
il rifiuto di nuove avventure militari, il disimpegno dai teatri guerra,
la lotta per il disarmo. Ecco perchè abbiamo aderito con questa
motivazione alla marcia Perugia-Assisi di domenica.
In questi mesi vi è stato uno stucchevole, quanto strumentale
dibattito sulla legittimità della partecipazione alla manifestazione
quando si è al governo. La strumentalità è segnata
dal fatto che di quel dibattito non vi è più traccia,
ma da ciò dobbiamo trarre una riflessione analitica su come il
governo e la sua tenuta, o instabilità, sia l'alfa e l'omega,
la cifra, il parametro della visibilità di ogni forma di soggettività
politica. Sembra essere l'unico perimetro su cui si consuma l'idea di
politica. La società, il suo malessere, i movimenti sono visibili,
acquistano valore solo se incrociano i riflettori del governo.
La manifestazione viene misurata
dalla presenza di esponenti di governo e da quanto sia contro o a favore
di essi. Gli stessi operai di Mirafiori assumono rilievo solo in questo
quadro, poi tornano invisibili e con essi la loro condizione lavorativa,
i loro salari, i ritmi ed i livelli di democrazia in fabbrica, l'incertezza
previdenziale.
Il decadimento anche culturale tende ad enfatizzare la marginalità
del protagonismo del conflitto sociale e l'esaltazione delle forme di
autonomizzazione della politica confinata nel recinto ristretto del
governo. Ciò spiega la ragione profonda della crisi della politica
e della democrazia su cui dobbiamo tornare a riflettere.
Persino nella storia dei cattolici di questo paese, il rapporto fra
movimenti e governo è caratterizzato dall'autonomia, dal conflitto
pur in presenza di un governo "amico": penso all'esperienza
straordinaria delle ACLI o delle marce per la pace a volte critiche
nei confronti delle scelte di governo.
Il tema su cui dobbiamo indagare
a fondo è la perdita di politicità del lavoro e dei soggetti
sociali: processo già avvenuto nelle forme di valorizzazione
del capitale attraverso una costante sussunzione in esso del lavoro
e attraverso una spoliazione delle forme di soggettività: siamo
al rovesciamento del ciclo che ha caratterizzato parte del secolo scorso.
Penso che uno dei punti di ricostruzione della sinistra nella società
e quello della creazione di una nuova politicità del lavoro,
ma anche escluse dal lavoro, e dei soggetti sociali che animano il campo
potenziale dell'alternativa.
La manifestazione è la proposta di una nuova soggettività:
chiede e rivendica al governo una nuova politica e si propone come fattore
di democrazia e di prospettiva per l'alternativa di società.
Propone una nuova connessione sentimentale fra popolo e rappresentanza
anche attraverso nuove forme di conflitto, come è giusto che
sia.
In questi mesi, l'iniziativa unitaria a sinistra ha ridato una qualche
efficacia all'azione di governo: lo si è visto in finanziaria
con il nostro documento unitario e poi con l'iniziativa politica che
hanno smosso positivamente le acque stagnanti. Perciò dobbiamo
accelerare con l'unità d'azione dei gruppi parlamentari e del
livello governativo.
Vi sono stati alcuni risultati
importanti, non sufficienti, ma è evidente la nostra efficacia
dopo la presentazione della finanziaria, esempio ne sono: gli interventi
sulla casa, l'ICI ridotta sotto i 50000€, il sostegno al reddito
per incapienti e non autosufficienti, sgravi per gli affitti ai giovani,
rompendo con la cultura familista, le ulteriori risorse, strappate in
extremis, a scuola e ricerca che pur restando inadeguate, possono servire
ad avviare un processo decisivo per una qualità economica non
fondata sulla competitività di prezzo, ma sul mutamento di paradigma.
Permane, in realtà, una centralità dell'impresa, dimostrato
anche dall'incertezza sulle risorse da destinare al rinnovo del contratto
del pubblico impiego. Resta lo iato con la condizione reale del paese
che, come dimostra l'ISTAT, vanta il 13% delle famiglie in condizione
di povertà, 7 milioni di soggetti, di cui i 2/3 al sud.
Proprio al sud la condizione si aggrava a causa della partenza ogni
anno di 270000 giovani verso i nord del mondo, di cui 150000 pendolari
specie ragazze laureate e diplomate: 850000 ragazze e ragazzi in 10
anni!
Mentre molti altri "scompaiono"
dal mondo del lavoro, perché rinunciano a cercare un lavoro.
Sul protocollo permane il nostro giudizio negativo e su cui chiediamo
modifiche sia sulla previdenza che sulla precarietà.
La FIOM ha espresso una posizione
importante, che evidenzia il malessere di gran parte del mondo operaio,
in un quadro di grande autonomia che sempre ha caratterizzato il sindacato.
Il referendum rappresenterà una prova di grande democrazia, ma
il risultato andrà interpretato: guai se la politica non cercasse
di intervenire su quel malessere, ne ha il dovere.
Non accetteremo la scusa del vincolo di bilancio sulla precarietà:
infatti, il superamento del contratto a termine e la stabilizzazione
non hanno costi; così come lo staff leasing, utilizzato pochissimo
in realtà, deve essere abolito.
Tutto dipende dalla volontà politica: è evidente la resistenza
operata da Confindustria che ha abusato, negli ultimi anni di queste
forme contrattuali, che hanno sostituito quelle a tempo indeterminato
e stabili.
E respingo l'accusa di difendere posizioni garantite. Anzi la nostra
replica verte sulla strutture degli orari: se verranno prolungati con
la detassazione, ciò porrà limite alle nuove assunzioni,
penalizzando ancora una volta i giovani.
Dobbiamo intervenire riducendo
le tasse sul lavoro dipendente, seguendo la strada maestra del fiscal
drag, ma anche tramite la detassazione degli aumenti contrattuali che
permetterebbe di chiudere alcuni contratti collettivi nazionali e darebbe
maggior vigore alle retribuzioni.
La perdita di centralità del lavoro, il suo carattere precario
e sessuato, sono fenomeni attuali in Europa e nel mondo che creano una
grave crisi di rappresentanza e di rappresentatività sia politica,
sia sindacale. Ciò crea un peggioramento della condizione lavorativa,
la perdita del poter contrattuale e, paradossalmente, anche l'istituzionalizzazione
del sindacato e la marginalizzazione della sinistra.
La politica, pertanto, ha
colpe gravissime: il populismo dilagante, la sua pressione politico-culturale
che porta ad una narrazione falsa dell'Italia e della sua storia dove
le lotte operaie, che hanno rappresentato il baluardo della democrazia,
il motore del progresso sociale ed economico, la coscienza civile e
morale divengono oggetto di demonizzazione.
In questo quadro culturale si è inserito il governo delle destre
che ha impoverito socialmente e culturalmente il paese ed il cui rischio
di ritorno è ancora molto forte se non si avvierà la fase
del "risarcimento sociale" che noi abbiamo più volte
invocato.
La politica si caratterizza sempre più del rigorismo nei confronti
dei diritti dei lavoratori e delle masse popolari e di un bigottismo
ottuso quando bisogna riconoscere l'evoluzione dei costumi e dei comportamenti
e garantire i diritti per nuove forme di convivenza.
Lo stare fermi, in questo momento, significa riconsegnare il paese alle
destre.
Il Partito Democratico nasce
recidendo qualunque forma di legame con la sinistra, non solo nel nome,
ma anche nell'abbandono del riferimento al mondo del lavoro, sostituendo
la centralità dell'individuo e del lavoratore con una categoria
astratta di cittadino-consumatore, dove tutti sono uguali senza differenza
di classe, di censo e di genere dove si vuole affermare un principio
nuovo di libertà falso, che mira a garantire pari opportunità,
ma solo in astratto, passando dal campo della sinistra all'alveo liberale
e liberal-democratico. Ci si allontana dal modello europeo per avvicinarsi
a quello americano, si abbraccia un liberismo caritatevole che vuole
alleviare le sofferenze, senza combattere le cause della povertà,
dove l'economia è al centro e dove la disuguaglianza è
un fattore intrinseco al tessuto sociale.
La sfida di egemonia con il PD è in atto, con esso si possono
anche mettere in atto possibili alleanze strategiche o la condivisione
del governo.
Oggi una parte dell'ala moderata della coalizione mira ad una svolta
neocentrista, una specie di grande coalizione in salsa italiana, finalizzata
alla creazione di una legge elettorale di tipo iper-maggioritario strumentale
alla formazione di un governo funzionale alla valorizzazione del capitale
sullo scenario globale, una riforma delle istituzioni che le renda definitivamente
impermeabili al conflitto sociale.
Per questo proponiamo a tutte
le forze del Parlamento di approvare, al più presto, una legge
elettorale sul modello tedesco, ci sono i numeri per farlo!
La sinistra può vincere la sfida se autonoma, se non assume alcun
atteggiamento minoritario, se si confronta senza veli con i moderati
e se chiama il popolo a partecipare a questo confronto. Il tema della
partecipazione e della consultazione divengono, quindi, temi centrali
per il futuro della sinistra.
Mai come ora è necessaria una dimensione di massa che dia impulso
ad una continua ricerca per ricostruire una cultura politica anticapilastica
che continui il lavoro di innovazione politico-culturale da noi già
avviato da tempo.
Dobbiamo investire su una nuova forma di società che non si basa
sul dominio della merce, ma che si basa sulla possibilità dei
soggetti di decidere del proprio destino restituendo un senso alla politica.
Occorre ritornare alla connessione dei termini uguaglianza e libertà.
Grazie a Marx sapevamo che nell'universalismo borghese e liberale, quello
dei diritti dell'uomo umanistico, l'idea di uguaglianza fino ad allora
conosciuta, aveva una grande capacità di astrazione e di occultamento
della distinzione tra borghesi e cittadini, tra produttore e cittadino,
tra economia e politica, per scoprire, poi, solo grazie al pensiero
femminista che quell'universalismo occultava anche le differenze di
genere.
Ora, dopo l'esperienza del
socialismo reale, sappiamo che il mito dell'uguaglianza presente nelle
culture e nelle pratiche della socializzazione dei paesi dell'est, era
anch'esso terribilmente astratto e repressivo della vita reale.
Quest'ultima implica una ricchezza in positivo che deve partire dalle
differenze di genere e da un umanesimo sciolto da ogni vincolo, da ogni
legame metafisico e o idealistico. Insomma, come abbiamo già
avuto modo di affermare, solo sul nesso dialettico uguaglianza/differenza
si può fondare una idea non liberale di libertà, quello
che Gramsci chiamava "libertà organica",
Lavorare politicamente e culturalmente per la continua costruzione del
nesso uguaglianza e differenza comporta una critica radicale di ogni
deriva tecnologica e plebiscitaria della democrazia post-moderna ed,
infine, l'assunzione del tema della crisi e della rappresentanza nel
tempo della solitudine del cittadino globale.
Questa è la sfida ed è una sfida decisiva e difficilissima
che dobbiamo prospettare nello spazio europeo al fine di romperne la
passività desolante a cui si contrappone la vitalità delle
esperienze dell'America Latina.
E' una sfida necessaria
per costruire un'alternativa all'invadenza sociale, politica e culturale
del modello americano e per tenere aperta anche qui la speranza e la
pratica di un'alternativa. E' una sfida che vale il nostro impegno,
la nostra lotta, la nostra passione.