Partito
della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 21 - 22 aprile 2007
Conclusioni
Franco Giordano
Credo che dobbiamo
svolgere una riflessione un po’ critica fra di noi sulle modalità
di funzionamento. Siamo infatti ad un passaggio decisivo che riguarda
il governo, le prospettive delle forze politiche, la definizione dei
passaggi successivi alla conferenza d’organizzazione: un passaggio
di fase, quindi, in cui tutti questi elementi sono connessi tra di loro.
Ma registriamo, evidentemente, un problema di comprensione all’interno
del gruppo dirigente come ci segnala l’insufficiente partecipazione
a questa riunione. Difficoltà di comprensione e quindi di direzione
dell’organismo più importante del nostro partito. La relazione
di Walter De Cesaris ha posto al centro dei punti per noi decisivi.
Non è mai facile intervenire a modificare la propria cultura
politica, noi lo stiamo facendo, si tratta di tradurre quelle scelte
della Conferenza di Carrara perché è assolutamente necessario,
per costruire la nuova soggettività politica, porre cura, coltivare
e definire le modalità, il percorso democratico e l’autonomia
organizzativa della comunità politica di Rifondazione Comunista.
Avviare
una nuova stagione politica
E questa, per noi, è
la risposta ai Congressi dei Ds e della Margherita che in questi giorni
hanno apertamente evidenziato una concezione diversa della politica,
una concezione eterea, indistinta, astratta, plebiscitaria, affidata
alla forza del leader e ad una concezione carismatica; al contrario
noi puntiamo sulla partecipazione, concreta, democratica, vera, delle
compagne e dei compagni a partire dalla traduzione operativa, in un
prossimo Cpn, delle scelte fatte alla Conferenza d’Organizzazione
e nel documento largamente discusso ed approvato. Lo faremo investendo
tutte le istanze di direzione che vanno dalla direzione, all’esecutivo,
con una consultazione allargata che porti la segreteria in un prossimo
Cpn a formulare una proposta che sulle questioni anche di regolamento
e statutarie formuli e decida scelte chiare.
Dobbiamo attrezzare il Partito alla nuova stagione politica che inizia
domani. Ed invece emerge spesso una distanza tra l’obiettivo sul
terreno della costruzione della nuova soggettività politica e
poi l’impegno politico concreto e conseguente che prefigura quella
nuova soggettività politica. Le elezioni amministrative sono
decisive ai fini della costruzione della nuova soggettività politica.
Ma non perché carichiamo sul voto o su una concezione elettoralistica,
così come sul governo, il centro e la bussola delle nostre scelte,
ma perché il voto si situa lungo un percorso politico che contribuisce
a determinare il complesso esito politico di questa fase.
L’importanza
delle elezioni amministrative
E per noi le elezioni amministrative
sono storicamente una prova particolarmente difficile.
Le connessioni con la vicenda politica sono evidenti: prendiamo solo
la vicenda di Taranto, in cui noi abbiamo chiesto di poter scegliere
il candidato sindaco, così come abbiamo fatto in tante realtà
in cui si andrà al voto, attraverso le primarie e in cui ci è
stato risposto “ a Taranto no!”. E perché non a Taranto?
Perché a Taranto rischia di vincere il candidato di Rifondazione,
in quanto in quella realtà il candidato di Rifondazione è
espressione delle scelte di quel territorio. Ecco, noi non ci faremo
imporre gerarchie diverse da quelle che riguardano l’espressione
della partecipazione e della democrazia di quella comunità e
di quel territorio. Noi a Taranto andremo con un nostro candidato sostenuto
da Verdi, Pdci, Psdi, nuovo Psi e 3 liste civiche. E lo facciamo proprio
mentre in Toscana, alla Regione rompiamo una storica impostazione di
autosufficienza del centro sinistra, che ci voleva lì fuori a
prescindere, perche lì i nostri voti non servivano. E lo facciamo
sulla base di un lungo e contrastato confronto programmatico superando
le resistenze che non ci consentirono due anni fa di andare insieme
al voto, ed oggi lo facciamo, in un certo senso, in assoluta controtendenza,
proprio perché altrove, al contrario emergono spinte, appunto,
di autosufficienza di una parte della coalizione.
Quindi a chi pensa attraverso il Partito Democratico di imporre nuove
gerarchie, noi rispondiamo davvero 1-10-100 Taranto … Se ci vogliono
imporre, non per via democratica attraverso lo strumento delle primarie,
scelte di candidature svincolate da dinamiche di programma, noi praticheremo
una azione di rottura molto forte.
Dobbiamo inoltre evitare di frammentare la nostra campagna elettorale
che deve essere politicamente percepibile in modo unitario, uno sforzo
quindi anche di unificazione politica. Attorno alla costruzione delle
liste ma anche sul tema stesso del risarcimento sociale. Così
è, per le due principali città in cui andiamo al voto,
Genova e Palermo. Da una parte il lavoro di Uniti a Sinistra e del Forum
Ambientalista, dall’altra la presenza nelle nostre liste dell’esperienza
della Primavera Siciliana ci dicono che dobbiamo far vivere nella tornata
amministrativa tutta l’apertura delle scelte programmatiche fino
ad oggi compiute e tutto il lavoro maturato attorno alla sinistra europea.
Ciò che più mi colpisce in questa tornata dei congressi
di Ds e Margherita è questo clima di ritorno ad una sorta di
ripristino di una gerarchia, il Partito Democratico, secondo alcuni,
dovrebbe servire a ripristinare una guida. Servirebbe infatti ripristinare
un centro di comando per liberarsi dei condizionamenti della sinistra
alternativa.
La relazione di Rutelli ha segnato socialmente la nuova natura del Pd.
C’è persino un tentativo dichiarato di modifica e torsione
del programma dell’Unione.
E’
in gioco il profilo politico e sociale di questo governo
Al contrario per noi, in
questo passaggio ed in questa fase di ristrutturazione del quadro politico,
è decisivo ristabilire un vincolo sociale, la connotazione politica
di questo governo. Per noi questa scelta è ineludibile.
E’ fin troppo evidente che in contemporanea con la ristrutturazione
del quadro politico c’è una ripresa di soggettività
delle organizzazioni imprenditoriali. E lo vediamo su temi sensibili,
quali il decreto Lanzillotta, su cui è ritornata un’offensiva
che non tocca ciò che abbiamo già strappato e cioè
la non obbligatorietà di messa in gara da parte degli enti locali
dei servizi pubblici locali, ma sul terreno della possibilità
delle aziende pubbliche di competere sul mercato. Avviene inoltre sul
terreno dell’utilizzo delle risorse, il “tesoretto”,
e su quello della definizione della ristrutturazione dei poteri delle
grandi imprese e su cui è ripresa anche un’offensiva culturale
che fa dire al Presidente Montezemolo “la politica non si intrometta”.
Sulla vicenda Telecom, al contrario, è utile fissare alcuni paletti,
perché rischiamo di arrivare a giochi fatti, in cui la politica
non giocherà alcuna funzione e davvero a quel punto non si capisce
a cosa serve la politica. Una grande impresa di 80.000 lavoratori, strategica
per lo sviluppo del paese e decisiva persino sul terreno della democrazia,
noi dobbiamo dire “governo pubblico delle reti” ed impedire
che tutto questo finisca in un inevitabile “spezzatino”
dell’azienda. E’ evidente che non è possibile che
dicano a noi “rigore”, quando proprio con l’espansione
del deficit di Telecom si avviava una consistente redistribuzione dei
profitti
Tutto questo è stato possibile proprio perché c’è
stato un intervento “attivo” della politica, altro che,
“la politica non c’entra”. Per questo condivido il
giudizio di Scalfari su Repubblica quando dice che “i guai di
Telecom camminano da quando è stata privatizzata ed ha avuto
la sventura di diventare preda di un capitalismo straccione più
attento a spolpare il grasso che ad investire in prodotti e tecnologie”.
Insisto sul fatto che siamo ad un passaggio decisivo, in particolare
sulla redistribuzione del reddito e delle risorse. Lo dico esplicitamente,
non possiamo accettare la proposta avanzata da Padoa Schioppa. Quella
proposta deve essere riformulata perché non avrebbe il nostro
consenso. Noi su questo ci giochiamo l’identità politica
e sociale di questo governo. Dobbiamo rovesciare lo schema del ministro
del tesoro che destina 2,5 miliardi alla redistribuzione e 7,5 alla
copertura del debito. Noi dobbiamo rovesciare lo schema e le quantità
così come dobbiamo mantenere aperta la partita sulla tassazione
delle rendite finanziarie.
Per arrivare ad una tassazione almeno sui livelli europei. Alfonso Gianni
ci ha riproposto, coerentemente con i passaggi precedenti, una questione
generale sulla politica economica che riguarda i vincoli di Mastrich.
Dobbiamo riflettere sulle cose che tu dici, ma mi pare difficile tenere
insieme la questione dei vincoli con la accelerazione sull’aggregazione
delle soggettività politiche, perché credo che le cose
non marciano alla stessa velocità, anzi potrebbero produrre forme
di resistenza da parte di quegli stessi soggetti con i quali dovremmo
mandare avanti i processi politici.
La stagione
del risarcimento sociale
Dobbiamo quindi arrivare
ad aprire con tutte le forze sociali che costituiscono l’Unione
materiale la stagione del risarcimento sociale e giocare su questo il
tema dell’identità politica e sociale del governo.
Credo che non ci siano solo due opzioni, la nostra e quella di Padoa
Schioppa, al congresso della Margherita ne ho ascoltata un’altra
…
Sono in campo 3 opzioni, quindi, quella di Padoa Schioppa: in cui il
risanamento è il principio regolatore e la crescita è
affidata alle imprese attraverso il solo strumento della riduzione del
costo del lavoro. Se è così, tutti i temi ambientali così
sbandierati dai media rimangono temi culturali e non politici. Competere
sul terreno del costo del lavoro significa lasciare inalterato l’attuale
paradigma di sviluppo. C’è poi l’impostazione del
Partito Democratico, più chiara in Rutelli, meno in Fassino,
nella cui relazione non ho trovato nessun esplicito riferimento sociale;
Rutelli allude ad un impianto redistributivo di segno familistico e
che strizza l’occhio alla piccola impresa e alla piccola proprietà
come proprio riferimento sociale.
Poi c’è la nostra ipotesi, una redistribuzione funzionale
all’equità sociale e al consolidamento della crescita.
Si tratta di mettere in moto ricerca, innovazione, mutamento del paradigma
ambientale, una redistribuzione non solo verso i più poveri,
o solo attraverso la manovra sulla spesa, rimanendo in un perimetro
definito. Noi puntiamo sugli aumenti salariali, sulla restituzione del
fiscal drag, sulla de-fiscalizzazione degli aumenti dei rinnovi contrattuali,
escludendo quelli aziendali che invece aumenterebbero le disparità
tra nord e sud e ipotesi di nuove gabbie salariali e di superamento
dei contratti nazionali.
Si tratta poi di mettere mano alla legge 30, disincentivando i contratti
a tempo determinato, non solo sul terreno fiscale, ma anche con una
battaglia normativa. Qual è la filosofia della flexi-security?
Sottrarre responsabilità alle imprese nella sicurezza dentro
i meccanismi di lavoro e scaricare i costi della precarietà sullo
Stato in una ipotesi, vista l’insostenibilità di un peso
di queste dimensioni, di stato sociale minimo.
Sulle pensioni noi dobbiamo chiedere il rispetto di quello che è
scritto nel programma dell’Unione e cioè che l’elevamento
dell’età pensionabile può avvenire solo in modo
facoltativo ed incentivato e che siamo contrari alla modifica dei coefficienti
di trasformazione. Aumento delle pensioni più basse, intervento
su Ici e affitti, proponendo la ricostituzione di un nuovo patrimonio
abitativo pubblico e popolare. E’ una battaglia parlamentare,
certo e noi non ci sottrarremo, ma è soprattutto una battaglia
politica e sociale, è conflitto, sono relazioni sociali a partire
da quelle sindacali, ma non solo.
Decidiamo oggi di aprire una campagna politica e sociale, da subito,
e che ci vedrà il 14 Maggio davanti ai cancelli Fiat di Torino,
i nostri azionisti di riferimento, che sarà anche una campagna
di ascolto. Inventiamo una modalità nuova, quotidiana, diffusa
di ascolto nelle piazze, nei mercati, nei luoghi di lavoro, innovativa
così come è stata con le primarie. Una iniziativa che
duri almeno un mese e che simbolicamente ci sembra giusto cominci dalla
Fiat.
Il Partito
Democratico e la ristrutturazione del quadro politico
La ristrutturazione del quadro
politico oggi tende a ridurre le forme della partecipazione politica.
Io penso che il Pd sia pienamente iscritto nel modello americano, tattica
e strategia si identificano nell’azione di governo. Ma il rischio
che vedo è quello che alla nascita del Pd si accompagni un processo
di passivizzazione di massa. Perché possono anche coesistere
consenso politico ed elettorale e passività di massa.
Noi, al contrario, dobbiamo investire sulla critica di questo processo
di passivizzazione, peraltro già in atto, che ritroviamo nella
crisi della politica e nella sua dimensione a-conflittuale. Per noi
si tratta quindi di investire nell’espansione delle forme di partecipazione.
Negli interventi di D’Alema e Veltroni vengono enunciati dei valori,
condivisibili, ma anche astratti e sospesi e contemporaneamente non
c’è la possibilità di far valere socialmente sul
terreno della politica quelle stesse enunciazioni. Scompare la critica
della società attuale, la critica del tempo presente.
Colpisce la disinvoltura con cui dal Congresso Ds di Pesaro, di impostazione
socialdemocratica classica, in cui sono assenti addirittura le nuove
contraddizioni, nel giro di tre anni si rovescia in una totale adesione
al modello americano. Nessuna ambizione di soggettività propria
e di determinare una direzione dei processi.
Io penso sia un processo di natura irreversibile.
Avevamo ragione noi quando all’indomani di Genova abbiamo posto
la questione della costruzione della sinistra europea ed abbiamo puntato
ed investito sulle nuove soggettività attorno a due discriminanti,
pacifismo ed antiliberismo. La nostra intuizione è stata premiata,
per questo noi possiamo essere il fattore di aggregazione che tiene
insieme iniziativa politica e sociale, alternativa di società,
innovazione politico culturale come elementi fondanti della nuova soggettività
politica.
Il Pd doveva servire alla semplificazione del sistema politico ed invece
alimenta diaspore e regressioni identitarie.
Nella discussione della Margherita si confrontano un pezzo che mette
in discussione la laicità dello stato ma che è anche la
più attenta alle questioni sociali, ed un altro, laico, ma neoliberale
in economia e filoatlantico.
Nei Ds si accentua una diaspora sia da destra che da sinistra.
Al Congresso Sdi addirittura, accanto ad una importante riaffermazione
dei temi della laicità dello stato, abbiamo assistito ad una
regressione identitaria non ai classici del socialismo, ma alla modernizzazione
craxiana. E persino coloro, a noi più vicini, che escono dai
Ds propongono una identità nel socialismo europeo che nei Ds
non è mai esistita.
Non è
il tempo delle attese
Noi andiamo avanti con il
processo di costruzione della sinistra europea che vedrà a Roma
il 16-17 giugno un importante passaggio che dobbiamo far diventare un
confronto aperto a tutti per una nuova soggettività pacifista
ed antiliberista, non un aggregato di resistenti al partito democratico
o una sommatoria di gruppi dirigenti.
Assistiamo nell’impostazione del Pd addirittura alla scomparsa
di un profilo di forza in competizione alternativa con la destra che
era presente nella fase iniziale.
Si tratta quindi di accelerare attorno all’obiettivo di diventare
punto di aggregazione, fortemente alternativo alla destra, europeo,
critico, con una forte innovazione politico culturale, una sinistra
che non solo resta sinistra, ma “fa” la sinistra, che investe
sui movimenti l’idea del socialismo del XXI secolo. Non è
il tempo dell’attesa, dobbiamo investire su di noi e sul movimento
per avere successo nella costruzione di questa nuova soggettività
politica