Partito
della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Nazionale 16 - 17 dicembre 2006
Interventi
Marco
Veruggio
Michele Piras
Andrea Ricci
Gianluca Schiavon
Gino Sperandio
Piero Valleise
Claudio Grassi
Mario Iavazzi
Vito Nocera
Gianluigi Pegolo
Vincenzo Pillai
Erminia Emprin
Daniela Dioguardi
Alfonso Gianni
Gianni Favaro
Marco Gelmini
Gaetano Cataldo
Giuliano Brandoni
Salvatore Bonadonna
Imma Barbarossa
Aurelio Crippa
Marco Veruggio
I fischi di Mirafiori e dei precari del Cnr testimoniano un clima pesante
nei confronti del sindacato ma anche del Governo e della sinistra. Lo
scorso fine settimana ho partecipato alla tre giorni organizzata dai
NoTav a Venaus e ho percepito un clima analogo. La nostra gente ci chiede
coerenza e comprensibilità. Sulla Finanziaria non si nega che
abbiamo strappato alcune migliorie. Ma il dato politico è che,
sommati benefici e svantaggi, se il segno è negativo i lavoratori
fischiano! Oggi la cosiddetta Fase 2 inizia sotto i peggiori auspici,
con Prodi che si rammarica di aver dato troppa corda ai sindacati (!).
Che fare? Concordo con Ferrero su una forte campagna sul Tfr. Non concordo
invece con quanto ho ascoltato sulle pensioni. E dico: no all’aumento
dell’età pensionabile, con o senza disincentivi e senza
distinzioni tra i lavoratori! Per dare lavoro ai giovani. Ma soprattutto
perché, con quando si permette a un manager pubblico di guadagnare
750 mila euro l’anno e si aumenta la spesa militare, non si può
chiedere a un lavoratore di andare in pensione più tardi, perchè
non fa “un lavoro usurante”. Non riapro la discussione congressuale.
A Venezia decidemmo di andare al governo per ottenere risultati. Ci
stiamo provando, anche noi che eravamo contrari. Ma risultati non ne
vedo e come me i lavoratori che fischiano. Qui si colloca la nostra
Conferenza di organizzazione. Quando la Segreteria ci propone di “connettere
la prima e l’ultima Rifondazione” penso che la prima Rifondazione
si definiva “cuore dell’opposizione” e scendeva in
piazza contro la Controriforma Dini, mentre l’ultima sta al governo
e rivendica il programma dell’Unione, cioè l’applicazione
di quella legge. E quindi: la scelta di governo e di innovazione politico-
culturale hanno prodotto dei risultati? La Segreteria ci dice di sì.
Faremmo un servizio alla nostra discussione interna se stavolta chi
pensa di no trovasse forme comuni per articolare le sue critiche. Infine.
Sinistra Europea: quando Mussi parla di “rifondazione socialista”
e altri guardano al Pse, ci sarà un problema? Un tempo si diceva
“Non vogliamo morire democristiani”. Non vorrei che per
non morire democristiani ci toccasse morire socialisti!
Michele
Piras
La conferenza d’organizzazione è un’occasione di
ri-partenza. Non so se la categoria più adeguata sia quella dell’istituzionalizzazione
ma non credo sia questo il punto: diciamo piuttosto che la funzione
di governo crea nuove complicazioni ed anche contraddizioni, che esistono
criticità che non possiamo trascurare, che è sentito il
bisogno di un momento di riflessione.
Anche perché tante/i di noi hanno avuto, in questi mesi, l’impressione
che così non va, di un partito scoperto. Non credo si possa dire
che questo partito non abbia più capacità di iniziativa
politica, penso invece a un crescente bisogno di partecipazione, a una
più efficace circolazione delle informazioni e presenza del gruppo
dirigente nei territori. Si tratta di cogliere le potenzialità
del partito. In Sardegna abbiamo pensato di dare un contributo, diciamo
propedeutico, alla conferenza, attraverso un congresso straordinario
che rompesse la paralisi dell’organizzazione e attivasse un processo
di ri-generazione del partito. La partecipazione ai congressi (intorno
al 60%) indica un risultato positivo, come la capacità di confrontarsi,
pure nelle differenze, con maggiore rispetto. Una ampia discussione
politica, sul rapporto con la Giunta Soru ma anche su come si traduce
in sardo la SE, su come si declina la precarietà nel territorio,
sull’Autonomia come possibilità di avanzamento della democrazia,
su come si possa costruire la Rinascita e l’Alternativa a partire
da una idea dello sviluppo di qualità del lavoro e dell’ambiente.
Di una Sardegna libera dall’occupazione militare e di un nuovo
Statuto dei diritti. Su questi temi come sulla costruzione della SE
abbiamo trovato convergenze che vanno ben oltre la maggioranza del 63%
della mozione 1 L’Alternativa di Società in Sardegna. Credo
che anche questo sia un positivo contributo che vogliamo portare alla
conferenza. Non un semplice fatto burocratico ma la risultanza di una
indagine interna su un Partito che ha bisogno di dibattito più
di quanto non ci siamo abituati a praticare negli ultimi tempi. Non
un superamento dell’autoriforma e dell’innovazione ma la
necessità che essa resti la barra orientatrice della Rifondazione.
Andrea
Ricci
Sul contenuto della legge finanziaria condivido il giudizio politico
espresso dal segretario nella relazione. Pur nell’ambito di una
manovra che noi avremmo voluto quantitativamente meno pesante, sono
presenti e visibili chiari elementi di discontinuità con la politica
economica dei precedenti governi, nel senso di una maggiore attenzione
agli aspetti di equità sociale. Questa vicenda ci consegna tuttavia
un altro tema che deve entrare tra le priorità politiche dell’immediato
futuro: la riforma delle procedure di bilancio. Lo strumento della legge
finanziaria si dimostra ormai del tutto inadeguato e di anno in anno
assume dimensioni sempre maggiori, fino ad assorbire buona parte dell’attività
legislativa annuale. In questo modo il ricorso al voto di fiducia sul
maxiemendamento del Governo è un fatto obbligato e inevitabile.
In tal modo però vengono ridotte le prerogative parlamentari,
la leggibilità e la trasparenza sociale dei provvedimenti e la
possibilità di programmare una politica economica coerente. Il
risultato è quello di esaltare il potere di pressione delle lobbies
e della tecnocrazia e di limitare la permeabilità sociale del
processo di formazione del bilancio. È questo un tema politico
e democratico di primaria importanza che dobbiamo porre con forza sin
da subito.
Sull’agenda delle prossime settimane credo che dobbiamo evitare
di agire in una logica solo difensiva, ponendo tra gli obiettivi immediati
dell’azione di governo quelli dell’attuazione delle istanze
riformatrici del programma dell’Unione, a partire dal superamento
della legge 30 e della Bossi-Fini. Sulle pensioni occorre imporre l’allargamento
del dibattito anche al tema dell’aumento delle pensioni sociali
e minime, in un’ottica di progressiva estensione del diritto universale
al reddito. Sulle liberalizzazioni, che non vanno confuse con le privatizzazioni,
occorre difendere l’autonomia di scelta degli EELL sulle forme
di gestione e garantire la pari dignità tra imprese pubbliche
e soggetti privati sul mercato dei servizi pubblici.
Gianluca
Schiavon
Il tema della forma partito in Europa risulta di estrema attualità
se il noto politologo Marc Lazar incentrava su questo una riflessione
non di una pubblicazione scientifica, dedicata a specialisti della materia,
ma di un editoriale comparso nella prima pagina di “La Repubblica”.
Una qualsiasi definizione di partito non prescinde dal fatto che esso
è un prodotto storico non un’organizzazione politica data
una volta per sempre. Il partito è, a cominciare dalla fine del
XIX secolo, lo strumento di cui la classe si è dotata per offrire
una risposta sistematica alle proprie istanze e per contrapporsi ad
istituzioni statali a-democratiche. Il primo modello di partito, la
socialdemocrazia tedesca, ha quindi legato la sua forma organizzata
a quella delle articolazioni centrali e periferiche dello Stato. Su
questa esperienza storica si è innestata la rappresentanza strutturata
del lavoro salariato. Il partito più innovatore del XX secolo,
quello bolscevico, ha infatti costituito le cellule volendo rendere
omogenea la sua organizzazione a quella che si stava creando grazie
al nascente sviluppo industriale serializzato. Volendo utilizzare una
sintesi si può sostenere che la storia del movimento operaio
ha visto sorgere partiti rivolti a due finalità: la presa del
potere e la creazione di un contropotere. Oggi l’autoriforma del
partito è un’esigenza conseguente alla profonda modifica
del modello di sviluppo capitalistico, alla cessione di sovranità
degli Stati-nazione nonché al processo di disarticolazione dei
corpi sociali intermedi. È pensabile che il partito possa fare
a meno dei nuovi soggetti del lavoro subordinato e delle nuove aggregazione
sociali? Dobbiamo lasciare soli le-i Giovani Comuniste-i ad interrogarsi
su come far ‘contare’ nel partito le pratiche di auto organizzazione?
Dobbiamo tralasciare l’esistenza dello “spazio comune europeo”?
Dovremmo indagare, restando nel solco della tradizione sintetizzata,
l’autoriforma del movimento socialista francese. La vecchia SFIO
(section française de l’international ouvrière)
nel biennio 1969-1971 riuscì a rivoluzionare la propria struttura
a differenza del PCF attraendo importanti settori del movimento, svecchiando
corpo militante e pratiche, dando qualche pur parziale risposta alle
domande maggio francese. Non riuscirono ugualmente il PSI, impegnato
nel Governo al Centro-sinistra, né il PCI ancora privo di un’analisi
della composizione di classe. Potremo riuscire noi valorizzando e innovando
la militanza.
Gino Sperandio
Ritengo che la proposta di Conferenza di Organizzazione nelle modalità
proposte dal compagno Ferrara sia condivisibile e vada sostenuta.
Si tratta in questa fase di prendere atto che una fase politica si è
conclusa e che l’ingresso di Rifondazione Comunista al Governo
pone nuove questioni organizzative e politiche.
Il fatto che ormai Rifondazione sia impegnata in numerose giunte regionali,
provinciali e comunali ed abbia una ampia rappresentanza parlamentare
ed istituzionale, pur essendo una risorsa, anche economica per il partito
rischia di essere fonte di inquinamento istituzionalista delle nostre
pratiche politiche.
Con le elezioni politiche si è reso evidente uno spostamento
dell’asse organizzativo del partito anche nazionale dentro il
parlamento. Ciò oltre a creare il rischio di illuderci che le
pratiche politiche si possano spostare nelle istituzioni ci espone a
vere derive politicistiche e addirittura corruttive delle nostre pratiche
politiche.
Insomma, vi è una concreta possibilità a fronte dell’evidente
crisi dello strumento Partito della omologazione anche dei dirigenti
di Rifondazione al resto del panorama politico italiano. Quello che
va evitato è una professionalizzazione degli incarichi istituzionali.
Questa è una tendenza da combattere, bisogna stabilire una netta
distinzione tra incarichi di partito e istituzionali, con precisa attuazione
di un meccanismo di incompatibilità predisporre un fondamentale
sostegno alla strutture del partito assumendone il carico anche economico
di questa scelta da parte del nazionale. In questo ambito va data precisa
attuazione ad un principio di rotazione degli incarichi e di precisa
attuazione al divieto di andare oltre al doppio mandato in sede istituzionale,
in modo da assicurare un costante ricambio degli eletti.
Certo quello che ho evidenziato non deve essere il tratto centrale od
esclusivo della nostra conferenza ma è un aspetto che va affrontato
e non rimosso nel nostro dibattito
Piero Valleise
Su alcuni passaggi della relazione di apertura. Si tratta di un impianto
condivisibile. Appaiono chiare una pars destruens e una pars costruens
di alto profilo. La scelta del documento unico per la Conf. di Org.
è necessaria e condivisibile; è lo specchio di un gruppo
dirigente e che ha voglia di uscire dall’ossificazione. La scelta
è figlia di un modus operandi di un segretario che si ostina
a non dare per perso nessuno chiamandolo alla dialettica. Pensate al
conflitto su documenti contrapposti con scontri già visti, pensate
ai circoli già grigi. Il partito deve ricominciare a camminare-domandando
compatto se vogliamo rafforzare i movimenti e il conflitto condizionando
dal basso il Governo. I gruppi parlamentari senza i movimenti non possono
spostare Prodi nemmeno di un millimetro. Ricreare il clima dell’ultimo
congresso sarebbe esiziale per noi e per il movimento, rafforzerebbe
i progetti neocentristi, sarebbe l’unica eutanasia che la Binetti
approverebbe. Apprezzo nel documento la denuncia degli elementi di inquinamento
presenti in noi. Proseguiamo senza indugi sulla strada dell’autoriforma
e dell’innovazione. Allora che gli statuti siano davvero tali,
che i limiti siano limiti e che le cariche non siano figurine da collezione.
Nelle nostre federazioni ci sono giovani donne e giovani uomini che
vivono i conflitti e i movimenti. Vanno valorizzati subito prima che
scappino via nel consueto mordi e fuggi. Finalmente si delinea con chiarezza
cosa sarà Sinistra europea. Una confederazione molteplice dell’anticapitalismo,
utile per stare dentro ai conflitti e alle lotte territoriali, ma anche
europee e mondiali, utile perché i nostri parlamentari possano
tenere la barra sul programma dell’unione. La proposta dei circoli
tematici è praticabile, non mi sconvolge la possibilità
dell’adesione parziale e non complessiva al partito. Per averlo
praticato con i coord. Pace, con i social forum so che l’adesione
parziale a volte può diventare complessiva. A volte le strade
percorse per brevi tratti con la multiformità di altri anticapitalismi
sono diventate fiumi in piena vivifici e fertili. E allora proviamoci.
Claudio
Grassi
C’è tra di noi un giudizio diverso sulla Finanziaria fin
dai suoi esordi. Il testo finale conferma quanto avevamo sostenuto:
si tratta di una manovra che non attua quel risarcimento sociale che
l’Unione aveva promesso in campagna elettorale. I fischi di Mirafiori
testimoniano quanto sia stato infelice il manifesto del nostro Partito:
“anche i ricchi piangano”. Invece una critica andava espressa
fin dall’inizio e cioè quando il Governo ha rifiutato qualsiasi
proposta di ridurre l’entità della manovra e non si è
dato retta all’appello degli economisti che proponevano una stabilizzazione
del debito. In quel momento si dovevano puntare i piedi, cosa il nostro
Partito non ha fatto adeguatamente. Abbiamo assunto una logica di riduzione
del danno, fatto in sé non disprezzabile, ma con un atteggiamento
troppo difensivo, ottenendo un risultato in sostanziale continuità
con le politiche del centrosinistra degli anni Novanta. D’altra
parte non è un caso se oggi, a Finanziaria approvata, non c’è
nessun movimento o sindacato che ne dia un giudizio positivo. Il malessere
operaio della Fiat Mirafiori è una spia significativa di questa
situazione. Non dobbiamo sottovalutarlo, anzi dobbiamo assumerlo alzando
il livello di critica e, quando necessario, di contrasto con la parte
moderata dell’Unione. Questo non significa non valorizzare tutto
quanto di buono abbiamo fatto, ma non dobbiamo aver timore nel definire
deludente la Finanziaria.
D’altra parte quando si reintroducono i tickets, si aumentano
le spese militari e la riduzione del costo del lavoro viene data quasi
tutta alle imprese, è difficile, per dei comunisti, essere soddisfatti.
Ora dobbiamo attrezzarci poiché nei prossimi mesi si addensano
scelte per noi essenziali. Ne vedo principalmente tre: pensioni, privatizzazioni
dei servizi pubblici locali, Afghanistan. Per le pensioni dobbiamo contrastare
l’offensiva dei poteri forti e anche di una parte dell’Unione,
che vuole aumentare l’età pensionabile, rimettendo in campo
le nostre proposte: separare l’assistenza dalla previdenza, recupero
dell’evasione contributiva, regolarizzazione dei migranti. Assieme
a ciò dobbiamo dare grande capillarità alla campagna già
programmata dal Dipartimento lavoro in difesa del TFR. Sulle privatizzazioni
contenute nel disegno di legge Lanzillotta, che al Senato siamo riusciti
a bloccare, dobbiamo costruire una forte iniziativa assieme ai Comuni
e ai movimenti, per ottenerne una modifica radicale. E sull’Afghanistan
evitiamo di arrivare all’ultimo momento. E’ chiaro che sarebbe
impossibile, non solo per chi in luglio sul rifinanziamento dissentì
come il sottoscritto, ma per tutto il Partito della Rifondazione Comunista,
votare la permanenza dei militari italiani in quel teatro di guerra.
E’ urgente quindi discuterne, costruire proposte e alleanze, per
non trovarci impreparati.
Mario Iavazzi
Il giudizio sulla Finanziaria resta complessivamente negativo, non solo
perché restano gli attacchi alla sanità, alla ricerca,
alla scuola e 1,7 miliardi di spese militari ma perché essa non
risponde alle aspettative delle masse. Anche questo è il significato
importante che viene da Mirafiori, un segnale forte per il nostro partito.
Del resto, lo stesso Segretario nella sua relazione chiedeva l’inizio
di una vera stagione di riforme, a riprova che finora non c’è
stata alcuna riforma.
Oggi più che di riforme si parla di “fase due”. La
classe dominante spinge per politiche sempre più a destra come
dimostrano gli attacchi ai diritti civili e le liberalizzazioni. Su
diversi temi il partito ha posizioni poco chiare. Sulla privatizzazione
dell’Alitalia ci vuole un “no” chiaro e netto, sembra
che il caso Telecom non abbia insegnato nulla. La litania della difesa
della compagnia di bandiera nasconde un duro colpo ai lavoratori. Sulle
pensioni la nostra posizione è ancora più ambigua. Si
afferma che accetteremo l’aumento dell’età pensionabile
solo se su base volontaria, ma quale volontarietà? Tra 20 anni
quando si dovrà scegliere tra salari modesti e pensioni da fame
tutti saranno costretti a lavorare. La prospettiva è una controriforma
delle pensioni addolcita dall’annullamento dello scalone. Il compagno
Giordano afferma che vogliamo la consultazione democratica dei lavoratori.
Va bene, ma per cosa? Per rilanciare la mobilitazione contro l’ennesimo
attacco alle pensioni o per giustificare la controriforma dicendo che
è stata accettata dai lavoratori?
Questa discussione è legata a quella sulla conferenza d’organizzazione.
La maggioranza ammette che c’è difficoltà d’iniziativa
politica e di militanza e una tendenza all’istituzionalizzazione.
La linea politica del partito ne è la causa. Dobbiamo avviare
una svolta verso il movimento operaio e partire dal 4 novembre per rilanciare
una mobilitazione generale, solo così sono possibili delle conquiste
e il Prc può diventare davvero un partito di massa.
Vito Nocera
Governo e forze maggiori – ha ragione Giordano – tendono
a rispondere alle difficoltà aprendo a istanze più forti
anziché rivolgersi alle aspettative diffuse del popolo dell’Unione.
Questa tendenza va contrastata.
Questa dialettica politica e sociale però non si svolge dentro
un quadro di stabilizzazione dell’assetto democratico del Paese.
C’è – invece – una crisi, drammatica a me sembra,
che investe la società italiana in forme più vischiose
e trasversali. Riemergono nodi rimossi in questi anni: la debolezza
di densità democratica del Paese, il suo dualismo economico,
la frattura di coesione sociale, l’aridità culturale e
di radicamento della politica. Anche per questo è faticoso capitalizzare
una legge finanziaria che pure segna in parte una direzione di marcia
positiva. Ci serve allora una interpretazione dei processi che investono
la società in queste ore un poco più complessa. Alla separatezza
e alla crisi della politica non va contrapposta una idea della società
da cui provengono solo lotte, istanze, valori progressivi. Si deve aiutare
il Paese, a partire dalla sua parte più debole, a ritrovare identità
e speranza perché solo così può crescere un progetto
come il nostro diversamente a rischio di essere travolto insieme agli
altri. Tra i più deboli c’è il Sud. È ridiventato
un tema ormai marginale nell’agenda della politica italiana proprio
mentre si celebrano i 60 anni della Svimez. Siamo alla riedizione della
politica dei due tempi. È un vuoto che concorre ad allargare
il fossato tra società e politica e impatta ormai con le piattaforme
programmatiche del governo e anche nostre. Serve la riscrittura di un
nuovo patto di come stanno insieme soggettività di parti tanto
diverse del Paese. Per far fronte a questi processi che attraversano
il paese serve forse una proposta politica più audace, che scompagini
di più l’equilibrio delle attuali forze in campo, che riorganizzi
la politica per offrire alla società indirizzi, corpi intermedi,
occasioni di partecipazione e di espressione su istanze più generali
e non solo di specifiche vertenze.
Gianluigi
Pegolo
Avrei voluto che questa conferenza di organizzazione offrisse la possibilità
di un confronto vero.
Mi aspettavo uno sforzo di apertura, ma questo non vi è stato.
Il documento della maggioranza appare sostanzialmente autoassolutorio,
non sviluppa una vera analisi dello stato del partito e attribuisce
le evidenti carenze a ragioni di natura metapolitica. Ma al di là
di quest’impostazione generale, vi sono alcuni nodi che rendono
questo documento non condivisibile. Il primo - e per molti verso il
più paradossale - è che in questo documento la riorganizzazione
del partito viene totalmente decontestualizzata dalla realtà
sociale e politica del paese. Il fatto, per esempio, che siamo impegnati
in un ruolo di governo passa sostanzialmente in secondo piano. Accanto
a questa decontestualizzazione, vi è nella proposta una reticenza
sostanziale ad affrontare le questioni fondamentali, a partire dalla
scarsa democrazia che vige al suo interno. Si pensi che su 60 e più
parlamentari le minoranze ( che rappresentavano all’ultimo congresso
il 40 % dei voti) hanno ottenuto solo 6 rappresentanti. Vi è
infine un terzo elemento, politicamente decisivo, che riguarda la Sinistra
europea. I segnali che provengono dallo stesso gruppo dirigente non
sono per nulla tranquillizzanti e resta intatto il sospetto che si voglia
ripercorrere la strada di Izquierda Unida, e cioè il mantenimento
formale del partito e il suo svuotamento sostanziale in un soggetto
di ispirazione socialdemocratica. Per questo non aderirò al documento
della maggioranza, neppure per presentare degli emendamenti, come invece
ha deciso di fare la maggioranza dei compagni che aderiscono alla mia
stessa area. Nell‘ambito di questa conferenza cercherò
di fornire anch’io un contributo e mi auguro che sia possibile
coinvolgere i compagni in uno sforzo unitario, ma il passaggio che stiamo
per compiere richiede posizioni chiare e comportamenti lineari. La ricerca
dell’unità va perseguita, ma nella chiarezza.
Vincenzo
Pillai
Condividendo le proposte presentate dalla segreteria mi limito a illustrare
un punto sul quale ho presentato un emendamento integrativo.Il nostro
partito deve definire nella conferenza di organizzazione quale valore
attribuire alla formazione all’agire politico dei propri militanti
e dei propri rappresentanti nelle istituzioni.Sappiamo tutti che la
formazione di un comunista avviene primariamente nel luogo di lavoro
o di studio, con la partecipazione al conflitto sociale. Ma è
necessario che si possa disporre anche di momenti formativi strutturati
, seminari e convegni, per approfondire conoscenze, dare organizzazione
scientifica ad esperienze e intuizioni parziali, per imparare ed insegnare,
al contempo, attraverso il confronto e la ricerca di gruppo Una formazione
continua che, facendo perno sull’inchiesta , abitui a confrontarsi
su ciò che si conosce, su come si è giunti a conoscerlo
, su come agire per modificare lo stato delle cose esistente.Troppo
spesso, inoltre , noi abbandoniamo a se stessi coloro che eleggiamo
nelle istituzioni senza momenti formativi su come, ad esempio, praticare
( problemi politici e tecnici) la scelta del bilancio partecipato. Noi
stiamo trascurando anche la formazione di coloro che eleggiamo Tesorieri
e componenti i Collegi di Garanzia a tutti i livelli, con il risultato
che è di fronte agli occhi di tutti e che, per quel che riguarda
la mia regione, è ormai drammatico: questioni che, se affrontate
con competenza e nei tempi dovuti, possono essere risolte senza gravi
danni e lacerazioni, trascurate diventano un tumore che infetta lo stesso
dibattito politico.Mi risulta che anche in altre regioni, in molte federazioni
vi siano problemi analoghi Occorre, dunque, che la conferenza decida
un forte impegno politico e finanziario del Partito nella formazione
all’agire politico, in tutte le direzioni indicate.
Erminia
Emprin
Penso anch’io, come la compagna Rosa Tavella, che la vicenda Welby
sia emblematica di un processo di restrizione della sfera pubblica,
sotto l’onda d’urto delle politiche neotemporaliste delle
gerarchie vaticane. Per questo, sono due gli aspetti che mi convincono
nel documento proposto per la Conferenza di organizzazione. Il primo
è la contestualizzazione della critica alla forma partito –
l’organizzazione, nel nostro caso, di un partito comunista –
nel quadro più generale della cisi della politica. La discussione
sulla fase politica ha evidenziato come anche i partiti di sinistra
non intercettino più il conflitto e le pratiche politiche di
donne e di uomini, la connessione tra politica e vita quotidiana. Non
a caso, fa scandalo l’internità ai movimenti del Prc, partito
al governo. Nell’era delle politiche monetatiste e dei teodem
la democrazia si riduce a delega, a competizione mediatica tra leader,
in cui i partiti di sinistra si distinguono più sui contenuti
– pur importanti - che sulle pratiche. Vanno allora ricostruite
le condizioni della partecipazione, ma è anche questione di ridefinire
la sfera pubblica, rimettendola in connessione le pratiche di vita quotidiana
e la loro politicità. Il secondo aspetto che mi convince è
la connessione dell’ultima Rifondazione con la prima: ricostruire
l’appartenenza su un progetto di trasformazione dell’esistente,
andare oltre il partito paternalista e patriarcale che nel ‘900
i movimenti femministi hanno sottoposto a critica radicale. Nella consapevolezza
che la crisi della politica attraversa anche i femminismi: l’affermazione
che il privato, il personale, è politico, ci torna addosso invertita
di segno e va rimessa al mondo per ciò che significa oggi, nella
società come nella vita di partito.
Daniela
Dioguardi
La finanziaria contiene segnali positivi ma, come ha detto Giordano,
non è la nostra finanziaria e non è all’altezza
delle aspettative del popolo di centro-sinistra che, dopo 5 anni di
malgoverno, si aspettava di più in direzione dell’equità.
Per noi, sinistra radicale, è fondamentale la pratica dell’ascolto:
ascoltare, capire, contestualizzare le critiche, anche quando non ci
piacciono o mettono in crisi nostre convinzioni, per evitare di consegnare
delusi e scontenti al populismo di destra. Per noi, che viviamo l’essere
al governo come un mezzo e non come un fine, è fondamentale restare
in sintonia con il nostro popolo, senza atteggiamenti aristocratici.
Dobbiamo innanzitutto richiamare al rispetto del programma su cui abbiamo
ottenuto il consenso dei/lle cittadini/e e costruire iniziative, campagne
politiche su alcuni temi centrali. Condivido la posizione espressa dal
segretario sulle pensioni ma aggiungo un elemento di cui molto si parla
sui giornali: la possibilità di aumentare l’età
pensionabile delle donne. Dobbiamo dire con chiarezza che siamo assolutamente
contrari. Tutte le statistiche dicono che le donne, soprattutto le italiane,
lavorano di più degli uomini; uniscono, infatti, al lavoro fuori
casa, l’attività di cura nei confronti dei bambini, degli
anziani, dei disabili, dei malati ecc.., supplendo alla mancanza o inefficienza
dei servizi sociali. Attività di grande valore che mette al centro
la relazione e la qualità della vita. Potremmo affermare che
il sistema Italia si fonda sul lavoro gratuito, non conteggiato da nessuna
parte e non riconosciuto delle donne. In queste condizioni è
inaccettabile aumentare l’età pensionabile anche di un
solo anno, a meno che non sia facoltativo e senza alcuna penalizzazione.
Dobbiamo riaffermare con forza la laicità. In un contesto in
cui si rafforzano gli integralismi e la destra si adopera per fomentare
“lo scontro di civiltà”, difendere la laicità
significa anche adoperarsi attivamente per la pace.
Alfonso
Gianni
Indubbiamente la finanziaria è migliorata in diversi punti nel
passaggio al Senato, ma ciò non toglie che il suo impatto sul
nostro elettorato è stato disastroso, come dimostra il calo dei
consensi verso il governo. Ciò significa che, al di là
della nostra buona volontà, la scelta, a un certo punto obbligata,
della “riduzione del danno” non è riuscita a invertire
la tendenza. Non voglio ora riproporre la questione della stabilizzazione
del debito che avrebbe comportato una finanziaria ben più leggera,
ma una riflessione sulla natura stessa della legge finanziaria. Essa
è diventata un treno al quale ognuno attacca un vagone. Si è
quindi gonfiata a dismisura ed è praticamente impossibile vararla
senza porre la questione di fiducia. Ma ciò che è più
grave è che è illeggibile per i cittadini. Dobbiamo perciò
chiedere una riforma della legislazione di bilancio, porre fine alla
legge finanziaria, arrivare a una sessione snella nella quale siano
leggibili e discutibili le cifre su cui si determina l’effettiva
politica economica del governo.
Sulle pensioni ci richiamiamo giustamente al programma dell’Unione.
Ma temo che non basti. Nel protocollo governo sindacati si parla chiaramente
di innalzamento dell’età pensionabile e di revisione dei
tassi di trasformazione, ovvero di riduzione del valore delle pensioni.
Dobbiamo perciò aprire una battaglia anche culturale nel paese.
Dobbiamo sottoporre a critica l’idea che l’innalzamento
della durata della vita avvenga per tutti. Non è vero, le stesse
statistiche dimostrano che chi ha cominciato a lavorare presto, fa un
lavoro alienato e poco gratificante vive di meno. Il nostro obiettivo
deve quindi essere quello di tenere l’attuale età per tutto
il lavoro operaio e quello ad esso assimilabile. Il concetto di lavoro
usurante va quindi esteso. Agli altri si può riconoscere la possibilità
di continuare a lavorare in età più avanzate ma il tasso
di sostituzione, cioè il rapporto fra retribuzione e salario
deve essere inferiore. Insomma il tipo di lavoro che si fa modifica
la vita e la sua stessa durata. Quindi le regole devono essere diverse.
Inoltre in Italia la media delle pensioni è troppo bassa. Quindi
si tratta di innalzare e non di ridurre.
Contemporaneamente va aperta la lotta sulla precarietà. Abbiamo
pronto un ottimo testo di legge, elaborato da Alleva e altri giuristi.
Dobbiamo sbrigarci a presentarlo, possibilmente con un largo corredo
di firme. Dobbiamo cioè “aiutare” il ministro Damiano
a fare bene e fare in fretta. E’ su questi grandi temi sociali
che possiamo recuperare il consenso.
Gianni
Favaro
Considero molto positiva la decisione del partito di avviare la sua
Conferenza di Organizzazione nei prossimi mesi perché risponde
finalmente e con forza alla necessità di riflettere su noi stessi
sul nostro ruolo e sul nostro radicamento. L’obiettivo è
di promuovere un’ampia discussione tra gli iscritti per mettere
al centro i grandi temi che abbiamo di fronte nell’immediato futuro.
Un’occasione che credo vada colta da tutti con l’impegno
di una vasta partecipazione, che metta al centro il territorio, i luoghi
di lavoro insomma la periferia del partito; la sfida che dobbiamo cogliere
è quella del rilancio della democrazia interna e del rafforzamento
dell’autonomia del partito sia nella sua relazione con i propri
gruppi istituzionali sia nel percorso di costruzione della Sinistra
Europea.
La scelta di produrre un documento sufficientemente aperto rafforza
e valorizza il ruolo che assumeranno i dibattiti dei circoli e delle
federazioni che con i propri dibattiti determineranno la stesura definitiva
del documento finale. Si compie cioè un primo reale tentativo
di rovesciare la piramide strutturale delle nostre riflessioni in un
percorso in cui il centro stimola i temi ma è il partito diffuso
- i militanti, gli iscritti e le iscritte, i lavoratori dei circoli
aziendali, i compagni negli enti locali e quelli delle molteplici esperienze
tematiche, i pezzi di società che incrociamo nella nostra iniziativa
- che determinerà i contenuti del nostro lavoro di rafforzamento
del partito.
Altrettanto significativa è la determinazione con la quale si
è scelto di presentare un unico documento emendabile per evitare
che la cristallizzazione correntizia che si è determinata nel
partito e derivata dal VI congresso, possa stravolgere la natura di
dibattito vero che si chiede alla Conferenza liberando invece tutte
le potenzialità del partito. La Conferenza rappresenta un importante
occasione per rimettere in sintonia il partito con la società
che vogliamo rappresentare e trasformare: un partito comunista aperto
alle mutazioni del quadro internazionale e del nostro paese dentro i
conflitti, le domande sociali e del mondo del lavoro costruttore dell’alternativa
al neoliberismo.
Marco Gelmini
Interverrò solo su pochi punti perché considero positivo
il lavoro di discussione preventiva svolto che ha portato al documento
oggi in discussione.
- L'Inchiesta:la scelta di organizzare una inchiesta sul partito e di
farla diventare parte integrante della Conferenza di organizzazione,
mi pare già una proposta di contenuto che condivido! Sottolineo
l'importanza di avviare da subito il lavoro perché potrebbe rappresentare
un buon modo di ampliare la partecipazione dei ns. compagni alla stessa
conferenza
- il Lavoro:si indicano nelle platee di riferimento per le Conferenze
ai vari livelli, i lavoratori organizzati nel ns. partito. Credo ci
si debba porre l'obiettivo, portandolo come una tappa di lavoro alla
stessa Conferenza di organizzazione, di svolgere entro la prossima estate
la Conferenza nazionale delle/dei lavoratrici/ori. Mi pare anche un
buon modo per rilanciare il coordinamento tra circoli e di settore definendo
il ruolo dei dipartimenti nazionali
- il ns. giornale: mi pare vada affrontata la discussione relativa al
rapporto tra l'iniziativa del partito e Liberazione. Una esperienza
positiva, da ripetere se possibile, mi pare quella delle pagine locali
(ad es. quella di Roma), oltre alla definizione generale del ruolo di
Liberazione.
Gaetano
Cataldo
Nell'ambito della prossima conferenza d'organizzazione gli aspetti salienti
possono così sintetizzarsi. Un primo argomento riguarda l'innovazione
che deve investire l'organizzazione. Spesso chi si occupa di organizzazione
deve curare ogni cosa che non rientri in altri ambiti di lavoro tematici
oppure svolge un ruolo che di “manutenzione” del partito
(tesseramento, difficoltà nei circoli o nelle federazioni, ecc.)
Questi aspetti non vanno trascurati ma è importante rafforzare
la Rifondazione occupandosi anche delle possibile forme aperte e altre
della politica: la Sinistra Europea si costruisce con un partito in
grado di promuovere associazionismo, liberazione e socializzazione di
spazi, luoghi di azione, formazione e informazione, come si è
detto nel corso del dibattito. L'esperienza delle/dei GC a tal proposito
può essere molto utile. Il secondo aspetto riguarda i circoli
che spesso servono solo alle riunioni dei direttivi o per le assemblee.
Oppure in molti casi sono dei simulacri intoccabili ma assolutamente
inservibili perchè non vivono, sono sempre chiusi e quando sono
aperti sono respingenti. Credo che i circoli debbano avere una capacità
essenziale di ospitare chiunque abbia volontà di militare o bisogno
di capire. Non deve destare scandalo se in alcune realtà si apre
una casa della Sinistra Europea che non ha l'insegna della Rifondazione
ma ospita il nostro partito insieme ad associazioni, movimenti e comitati.
Il terzo aspetto della conferenza d'organizzazione deve riguardare un'epistemologia
positiva nella definizione della Sinistra Europea. Finora si è
detto cosa non è: non è una sommatoria di partiti, non
è lo scioglimento di Rifondazione, non è la cooptazione
di pezzi di movimento. Una definizione della Sinistra Europea come luogo
politico in cui le varie identità che guardano all'Europa sociale
e sostengono una cambiamento radicale in direzione contraria al sistema
neoliberista potrebbe sicuramente riassumere la strada percorsa fin
qui e indicare quella che ancora ci precede.
Giuliano
Brandoni
La conferenza d'organizzazione, già da tempo necessaria, si rivela
quanto mai opportuna nel contesto politico che i prossimi mesi ci consegnano.
Riflettere sul partito e dare risposte capaci di elevarne l'azione mentre
si apre una sfida di programma e di progetto nel campo dell'unione è
un'occasione da non perdere, che può consentirci una ripresa
di iniziativa sociale indispensabile per poter guadagnare questa sfida.
Tre temi come contributo a questo dibattito: l'opportunità che
il documento deve consentire innanzitutto un bilancio critico del nostro
agire ricercando i motivi ed i limiti di un'autoriforma incompiuta e
misurare con una grande inchiesta il nostro modo di funzionare mettendo
a riflessione lo strumento del circolo e il suo rapporto con la società.
Poi la riflessione, che deve essere severa e propositiva, sul rapporto
tra rappresentanti istituzionali e ruoli di partito ed anche tra funzionariato
e ruoli dirigenti. Occorre quindi che la norma costruisca la virtù
e perciò vengano definite e disciplinate in maniera precisa tutte
le forme di incompatibilità per dare più ruolo e peso
alla militanza volontaria ed ai territori ed allargare così il
gruppo dirigente diffuso che è tale solo quando decide ed opera.
Infine parlare d'organizzazione oggi vuol dire misurare e misurarsi
con la comunicazione ed i suoi strumenti. Registriamo un grande deficit.
Abbiamo un numero di riviste tutte autoreferenziali che, invece di alimentare
il nostro dibattito ed offrire riflessioni interpretative sulla realtà,
confondono e annoiano. Manca invece uno strumento autorevole e collettivo
che copra queste necessità. C'è poi, non nascondiamocelo,
il problema di
Liberazione: il giornale non narra e non fa propaganda, non conosce
il partito, non è curioso. Eppure non mancherebbero intelligenze
e capacità.
La conferenza d'organizzazione, in questo ambito, deve stimolare il
partito a parlare del giornale perché esso possa diventare il
suo giornale.
Salvatore
Bonadonna
Se vogliamo e siamo capaci di cambiare, dobbiamo intendere la Conferenza
di Organizzazione come una inchiesta di massa capace di mettere a nudo
tutta la realtà del partito, i suoi punti di forza e le sue debolezze
e ambiguità, gli opportunismi e le fragilità. Andare con
documenti delle minoranze può costituire un alibi per favorire
il mantenimento e la giustificazione dell’esistente.
Si tratta di capire come la crisi della politica e la crisi dei partiti
riguarda anche noi, oggettivamente e soggettivamente. Il fatto di avere
visto prima degli altri che l’economia, nella fase del capitalismo
liberista globalizzato, avrebbe soppiantato la politica e, sostanzialmente,
sostituito la democrazia, non ci mette al riparo dalle conseguenze del
processo di scomposizione e disarticolazione della società. Nella
forma attuale del corporativismo, la politica si manifesta come potere
legittimato e legittimante le lobbyes e si esercita attraverso i media.
La Conferenza di Organizzazione dovrebbe verificare fino in fondo se
e quanto il nostro modo di stare e di svolgere funzioni nelle istituzioni
e nei governi interpreta quella “riforma della politica”
che pure predichiamo in ogni occasione.
Mi ha colpito che Veltroni abbia fatto una conferenza sulla politica,
criticando la politica dell’immagine, la politica spettacolo!
dobbiamo indagare se anche noi pratichiamo i metodi che critichiamo.
Il problema del rapporto tra rappresentanti e rappresentati, anche nel
Partito, si pone come problema di democrazia e di verifica del mandato;
quindi, i ruoli e le funzioni di direzione non possono derivare da meccanismi
di fedeltà e di cooptazione. Anche nella scelta delle candidature
dovremo trovare e sperimentare meccanismi di legittimazione democratica
– forme di primarie? – che rendano concreto il rapporto
con la rappresentanza politica e sociale. E sarebbe ora di pensare ad
una Centro autonomo di studi, elaborazione e formazione dei dirigenti.
C’è domanda di politica trasparente contro la separatezza
dei ceti politici; c’è domanda di senso e di prospettiva
contro un tecnicismo che nasconde le scelte di classe dietro i parametri
europei e l’ideologia della crescita. La Sinistra Europea, nella
sua fase di costruzione, ormai aperta e avanzata, deve avere l’ambizione
di prefigurare una alternativa di società. Solo così si
può avere la legittima ambizione a diventare un partito di massa
ed egemone nel costruire la risposta alla crisi del neoliberismo.
Imma Barbarossa
Intendo porre una grande questione che dovrebbe a mio avviso caratterizzare
la nostra rifondazione in maniera più forte, più radicale,
più vigile.
Il nostro segretario ha a cuore questa questione, e questo segna una
svolta.
Ma credo che debba divenire, a livello diffuso, una grande questione
da porre per la costruzione della SE come elemento costitutivo della
nostra elaborazione e della nostra pratica. Sto parlando della laicità.
A partire, certo, dalla difesa delle istituzioni repubblicane, della
scuola pubblica, della facoltà e libertà del parlamento
italiano di legiferare in autonomia rispetto alle ingerenze delle gerarchie
vaticane, in tema – ad esempio – di unioni civili o di eutanasia.
Dovremmo attestarci però su un livello più alto per contrastare
l’attacco alla laicità: quello della critica al potere
del sacro.
Recentemente un convegno delle comunità cristiane di base a Frascati
ha contribuito in maniera forte alla critica delle posizioni vaticane;
ne è testimonianza un intervento bellissimo sul “Manifesto”
di oggi di don Enzo Mazzi che invita i credenti a considerare la laicità
come l’elemento scardinante del potere del sacro.
La grande stagione politica e culturale che fu L’Atene del V secolo
a.C. segnò la colonizzazione materiale e simbolica del corpo
femminile.
Il maschile si è attribuito il sacro, vivendolo e costituendolo
come potere, dominio, facoltà di normalizzare il corpo, la vita,
la sessualità.
Non è un caso, infatti, che il pensiero e la pratica delle donne
hanno agito il conflitto proprio sul sacro, individuando e decostruendo
il nesso potere/sacro/genere maschile e sviluppando un percorso di liberazione
dal familismo, dalla sacralità del matrimonio vero “ricatto
legislativo e sacramentale dell’amore” (don Mazzi).
Dunque, quello che propongo sul piano culturale e teorico sono percorsi
di approfondimento e sul piano politico nessun cedimento.
Mi pare positiva la gestione che il coordinamento delle nostre parlamentari
ha praticato sulle nomine del comitato nazionale di bioetica, sia per
le proposte nominative sia nelle dichiarazioni pubbliche. E’ rimasto
ingiustamente un episodio sottovalutato nel partito, mentre invece dovremmo
impegnarci in una critica profonda, e non banale, anche delle infiltrazioni
sacrali e/o confessionali che si annidano in qualcuno di noi.
Un grande convegno sulla famiglia programmato dal coordinamento delle
parlamenti sarà un’occasione importante che non vorrei
rimanesse una discussione tra donne.
Giacché laicità è costruzione di uno spazio dell’etica
pubblica per sottrarre il corpo allo spazio del sacro e consegnarlo
alla politica, sconfiggendo teocon e teodem non con spicciole rivendicazioni
parziali, ma al livello alto della pratica etica della politica.
Cioè: non c’è l’etica da una parte (quella
sacra o cristiano/cattolica) e la politica come gestione amministrativa
dell’esistente.
Noi poniamo i temi eticamente sensibili: la vita, la morte, il dolore,
l’amore come legame sociale e come relazioni tra individui/e liberi/e
cioè autoliberati/e.
Aurelio
Crippa
Ho ascoltato l’illustrazione del regolamento e del documento per
la Conferenza d’Organizzazione e la presentazione di documenti
alternativi.
Evidente una “elaborazione” esterna al CPN (solo pochi minuti
fa sono stati distribuiti i testi) e, così, il compito ad esso
– CPN – assegnato è approvare o meno. Così
non va.
Occorre ridare al CPN il suo compito, di unico organismo dirigente,
quindi dall’elaborazione alla definizione di proposte, scelte.
Regolamento
Contraddittorio a dir poco (es. sono previste delegazioni ovvero rappresentanze
delle conferenze – donne, migranti, lavoratrici/ori – mai
effettuate).
Aspetto più negativo: non saranno gli iscritti, con il loro voto
(non previsto) a decidere.
Documento
Visto l’impostazione data, non mi resta che contribuire presentando
eventuali emendamenti.
Da una veloce lettura data, prendo atto e condivido il giudizio di fallimento
dell’autoriforma del V Congresso, che si dice, fra l’altro,
ha portato al Partito <<un offuscamento del suo carattere di massa,
aperto e partecipato>>.
Proprio su questo, non riscontrando una proposta alternativa, presenterò
un emendamento sul senso attuale del Partito di massa.
Obiettivo: riprendere il processo originario, rifondativo di un Partito
altro, un moderno Partito Comunista di massa, accresciuto e rinnovato
di idealità socialista.