Conclusioni
di Franco Giordano al CPN del 16-17 Dicembre 2006
Il tema è quello del
rinnovamento e del mutamento della nostra presenza organizzata nella
società italiana. Questo tema non è separato da quelli
della strategia di fondo e dell’innovazione culturale.
Una riflessione, un mutamento e un rinnovamento della nostra presenza
organizzata che si rende sempre più urgente. Va detto apertamente,
investiamo sul partito e sulla società, in forme del tutto nuove.
Affrontare la crisi della
politica
Vogliamo impegnarci nel ricostruire
la densità e la forma della nostra presenza nella società,
assistiamo di fronte a noi con preoccupazione a processi di desertificazione
della politica nella società attraverso le forme della passivizzazione
e dell’americanizzazione della politica.
Se si allargasse questo processo per noi sarebbe una sconfitta strategica.
La stessa costruzione del Partito Democratico si muove dentro questo
quadro strategico, essendo fondata tutta sul tema del governo, sulla
centralità dell’autonomia della politica, sulla passivizzazione
dei processi sociali.
Noi al contrario, puntiamo tutto il nostro progetto sulla partecipazione.
Occorre analizzare anche storicamente il rapporto che si è determinato
tra sindacati e politica.
Da alcuni decenni ormai si è determinata una sorta di divisione
di funzioni tra sindacati e politica. Al partito la centralità
della politica, al sindacato il tema del conflitto sociale secondo le
regole dettate dalla politica. Si tratta per noi di ridare forza all’idea
della politica intesa come partecipazione, come conflitto sociale. Qui
fondiamo il tema della riforma della politica.
Oggi oltre la ripartizione del passato, oltre ad un rapporto di delega
alla politica, avviene una sorta di istituzionalizzazione del sindacato.
Per noi si tratta di rimobilitare la società e ristabilire un
rapporto strategico con il movimento nella ricostruzione anche di una
critica anticapitalista. Si tratta di ricostruire una presenza di Rifondazione
Comunista nella società italiana recuperando una autonomia dal
rischio di istituzionalizzazione.
Una discussione vera sul
Partito
Se questo è l’obiettivo,
noi in questa conferenza d’organizzazione non possiamo ripetere
il modello e le forme tipiche dei congressi, non faremo un congresso
camuffato. Ricerchiamo una partecipazione vera, questo è quello
che vogliamo sollecitare nel corpo del partito, è un tema troppo
rilevante per noi per non cogliere una occasione vera di discussione
e di coinvolgimento di tutto il partito. Siamo aperti a quanto di meglio
può uscire da un percorso democratico e partecipato, vogliamo
da un lato garantire le assemblee congressuali ma dall’altro liberare
la discussione.
La costruzione di un percorso e di un dibattito lineare. Noi sappiamo
che accanto a questo andrà avanti un altro processo, che è
quello della costruzione della sinistra di alternativa, ma lo facciamo
non anticipando noi il modello e le forme del nuovo soggetto: no, adesso
stiamo investendo su di noi, anche per non sottrarre ad altri discussioni
che avranno sedi proprie, investiamo sul partito: quale Partito, quale
Rifondazione Comunista, sia dal punto di vista culturale sia da quello
organizzativo, entra dentro la sinistra europea e quale è la
sua autonomia politica e organizzativa.
Questo percorso lo combiniamo con lo strumento dell’inchiesta,
uno strumento importante, una inchiesta non sociologica, i cui risultati
arriveranno dentro la conferenza nazionale e dovranno in qualche misura
determinare anche una correzione del documento con il quale la conferenza
si avvia, incidendo sul percorso. Una conferenza quindi che nasce dentro
la crisi della politica, riflette sulle nostre difficoltà e ambisce
a entrare in relazione con le esperienze più innovative che si
sono sviluppate dentro la stagione dei movimenti e punta a ricostruire
una presenza e una modalità di aggregazione di realtà
che si sentono di appartenere ad una sinistra di alternativa e che hanno
sviluppato un loro percorso autonomo.
Per una più forte
autonomia soggettiva del Partito
Noi non riproponiamo il modello
organizzativo che ha caratterizzato le forme della politica del novecento,
perché non tiene conto delle trasformazioni avvenute nell’organizzazione
sociale.
Si è avuto per lungo tempo un dibattito tra il Partito Comunista
francese e quello italiano sulle forme dell’organizzazione, il
pc francese ha investito esclusivamente sul rapporto con la condizione
sociale ed ha organizzato la propria struttura di conseguenza, mentre
il pc italiano ha investito sul territorio come luogo della ricomposizione:
ma parlavamo di una società fortemente strutturata, che oggi
non esiste più, dobbiamo pensare che oggi l’adesione al
partito avvenga dentro un processo di maturazione di coscienza compiuta
come una volta, oppure possiamo pensare ad esperienze parziali, ad impegni
nella società rispetto a temi particolari e che producono indirettamente
coscienza politica?
Dobbiamo ricostruire un percorso identitario fortemente innovato e che
ragioni in particolare sull’esperienza vissuta nei movimenti,
sapendo che questo non esclude che possiamo pensare a forme e luoghi
in cui favorire il terreno della ricomposizione della militanza.
Dobbiamo pensare ai tempi, ai modi, alle forme in cui si organizza la
società e le nostre modalità non possono prescindere da
queste, pensiamo solo, per capirci, ai tempi delle donne.
Anche sulla questione della differenza di genere noi dobbiamo fare una
accelerazione vera, noi registriamo che quanto scritto sullo statuto
rispetto alla rappresentanza delle donne non viene applicato quasi ovunque.
Noi dobbiamo dire che dopo un certo periodo, se non si apportano correzioni,
quell’organismo decade.
Altro punto di innovazione e correzione importante contenuta nel nostro
documento è quello dell’autonomia rispetto alle istituzioni.
Il tema è quello della capacità di autonomia soggettiva
del nostro partito. E’ possibile che esista una forte separazione
delle carriere, per cui qualcuno è destinato a rimanere sempre
nel lavoro del Partito, ed altri a non uscire mai dagli incarichi istituzionali?
è possibile che non si incrocino mai queste due condizioni e
non si possa investire una esperienza maturata in una particolare postazione
per completarla nell’altra? Riuscire a realizzare questo passaggio
è importante sia sul terreno dell’efficacia ma anche su
un terreno più propriamente simbolico sul terreno della cultura
politica.
C’è infine il pericolo della deriva dei comitati elettorali
a cui abbiamo assistito nelle ultime campagne elettorali e che considero
una malattia pericolosa che non può prendere campo nel nostro
Partito.
Riconnettere programma e
popolo dell’Unione
Nel dibattito che qui abbiamo
sviluppato, ho sentito ancora una discutibile centralità del
tema del governo, anche da parte di chi lo critica. Noi, in realtà,
dobbiamo incidere nella nuova partita che si apre senza separare la
questione del governo da quella sociale, non misurandola quindi nell’ambito
dei rapporti parlamentari. In sostanza noi non possiamo fotografare
gli attuali rapporti di forza parlamentari, registrare le differenze
e di conseguenza ogni volta decidere se è stata giusta o sbagliata
la scelta iniziale, se noi rimaniamo prigionieri di questo schema la
nostra sorte è segnata.
Non avremmo vinto sui precari della scuola se non avessimo costruito
la mobilitazione del 4 novembre, dobbiamo investire nella società
e nel movimento, dobbiamo costruire una nuova soggettività che
modifichi i rapporti di forza. Questo è il tema della nostra
discussione.
E ci sono le condizioni per vincere questa sfida.
Abbiamo superato la fase della legge finanziaria ed abbiamo espresso
un giudizio equilibrato, stante quelle quantità della manovra,
su cui non eravamo d’accordo, abbiamo svolto un ruolo significativo,
segnando una discontinuità nelle politiche neoliberiste, in particolare
nella politiche redistributive e sul tema della precarietà.
Nella discussione del Cpn è emersa l’esigenza, che condivido,
che occorre modificare le modalità con cui viene costruita la
legge finanziaria. Le dimensioni dei temi e la brevità dei tempi
espropriano il Parlamento di una discussione e impediscono l’esprimersi
di una soggettività sociale, ed in cui ormai si stabilisce una
centralità del governo rispetto al parlamento. Dovremo qui produrre
un cambiamento.
I sondaggi, che vanno sempre considerati sondaggi, indicano accanto
alla diminuzione del consenso del governo la crescita del consenso verso
di noi. E’ chiaro che su di noi si deposita una attesa e una fiducia
rispetto all’efficacia e alla possibilità di incidere sulle
politiche del governo. Ma questa contraddizione non può continuare
a lungo, torna il tema di come investire questa fiducia in iniziativa
concreta.
Ci sono di fronte a noi due strade, da una parte quella indicata dai
poteri forti e dalle gerarchie ecclesiatiche, dall’altro quella
della ricostruzione del nesso tra centralità del programma e
popolo dell’Unione. Nei prossimi mesi è destinata ad emergere
qual è la vera identità politica e sociale di questo governo.
Per questo dobbiamo continuare a lavorare dentro l’instabilità
che c’è in questo governo dal lato dell’iniziativa
sociale. La piattaforma della fase 2 non ha un consenso di massa, dobbiamo
farlo emergere giocando fino in fondo sul terreno dell’alternativa
di società.
Cosa ci dice l’assemblea
di Mirafiori
L’assemblea di Mirafiori,
fortunatamente, ha cancellato mediaticamente la manifestazione del 2
dicembre. Ma attenzione, cosa ci dice quella manifestazione? Che è
ancora forte, grande e di massa il segno populista dell’aggregazione
che si stringe attorno a questa destra, e che oggi la parola d’ordine
non è più “arricchitevi” ma è la difesa
della ricchezza e dei privilegi contro il partito delle tasse.
C’è una vitalità e una densità di questa
destra, in cui insieme si agita la paura del diverso, immigrati e tossicodipendenti,
ma anche l’individuazione del nemico, dei comunisti al governo.
Come rispondiamo? Con una politica tecnocratica, come diceva l’Unità
nel riportare l’incontro nello stesso giorno con la finanza e
i banchieri? Non dobbiamo sottovalutare neppure la manifestazione di
Palermo di Casini, perché da lì arriva il messaggio dei
poteri forti, non è il “governo dei volenterosi”
che ci fa paura, quella strada non è percorribile, sarebbe la
fine dell’Unione, ma per quella via arrivano le pressioni e i
condizionamenti di quei poteri che spingono sulle liberalizzazioni,
la competitività, le pensioni, la sanità, il pubblico
impiego, il ponte sullo stretto.
Da un lato quindi la critica populista, dall’altra quella che
chiede più rigore e tagli.
Noi dobbiamo rimettere in campo il popolo dell’unione, le manifestazioni
di queste settimane su precarietà, pace, contro la violenza sulle
donne, contro le grandi opere, quei movimenti e quelle lotte debbono
poter trovare una riconnessione.
Il tema delle pensioni ci richiamano ora a lavorare attorno alla chiave
della partecipazione e della democrazia.
Noi il 18 Gennaio svolgeremo questa nostra assemblea in cui avanzeremo
in modo organico la nostra proposta. Avremo tempo anche di verificare
su cosa è basato questo allarme sul tema pensioni, se è
determinato da dinamiche di mercato o al contrario dai conti della spesa
pubblica. Naturalmente noi abbiamo una nostra opinione, riteniamo che
vi siano spinte che puntano alla valorizzazione dei fondi pensioni.
Ma, abbiamo già detto ieri, ribadiamo la contrarietà allo
scalone e la propensione al meccanismo degli incentivi su base volontaria.
Il terreno della proposta è comunque legato alla partecipazione
e al meccanismo democratico. Nella proposta che dovrà avanzare
il governo in base ad un modalità collegiale nella maggioranza,
nella piattaforma sindacale in base ad un percorso che riteniamo debba
avere il passaggio democratico delle assemblee dei lavoratori. Vedremo
così quanto regge la proposta dei riformisti, del partito democratico,
quanto regge la fase 2 al passaggio democratico, al sentimento del popolo
dell’unione.
Anche il tema della competitività
per noi si presenta come un terreno inacettabile. Cosa chiede la Confindustria
a questo tavolo? Vogliono scambiare un po’ di norme ininfluenti
della legge 30 con la flessibilità degli orari e il sovvertimento
della cultura contrattuale che è esattamente ciò che i
sindacati metalmeccanici hanno negato a Finmeccanica nell’ultimo
rinnovo contrattuale. E’ irricevibile, non solo perché
è ingiusto socialmente, ma anche sbagliato perché ci infila
nel vivolo cieco della competizione globale su un terreno marginale,
che quello dell’azione sul costo del lavoro.
Così come sulle liberalizzazione è venuto il momento di
fare un bilancio che riguarda l’abbassamento della qualità
dei servizi, l’incremento della precarietà del lavoro,
l’aumento dei prezzi dei servizi: è giunto il momento che
intervengano i lavoratori dei servizi pubblici locali e gli stessi enti
locali. Possiamo mettere in campo una soggettività sociale che
può entrare in contrasto, anche qui, con lo stesso blocco sociale
del partito democratico.
Così come sulle questioni della laicità dello stato, dell’immigrazione,
delle tossico dipendenze, tutti temi su cui si aprono spazi e margini
di iniziativa e relazioni sociali.
La critica culturale del
riformismo debole
Ma accanto a tutto questo,
va riaperta una battaglia delle idee e una polemica politica culturale
rispetto all’approdo neoliberale del Partito Democratico, un approdo
che definirei liberaldemocratico.
Oggi, più di ieri, va posta la prospettiva di una società
non fondata sul dominio della merce, ma sulla possibilità della
persona umana di decidere consapevolmente del proprio destino. L’innovazione
e la modernizzazione sono fondate sulla disuguaglianza, esse stesse
sono produttrici di disparità e precarietà.
La disparità, le nuove povertà, la precarietà diffusa,
non sono una patologia, ma una cancrena della attuale forma di produzione
capitalistica. Sono il capitalismo. La debolezza di un impianto riformista
è costituito dall’illusione di intervenire su una presunta
cancrena chirurgicamente, temperando gli effetti del liberismo, di lenire
la povertà senza aggredire le cause che la determina.
Il lavoro viene ridotto a pura variabile dipendente e la valorizzazione
del capitale si produce attraverso delocalizzazioni produttive e attraverso
la concentrazione in un’oligarchia mondiale che produce il governo
dell’intero movimento dei capitali con l’obiettivo del profitto
più alto. La forza lavoro viene inseguita dove la si può
trovare al prezzo più basso. Nessuna conquista di civiltà
è al riparo per sempre: la precarietà sembra stare al
lavoro contemporaneo come la parcellizzazione sta al lavoro taylorista.
Si delinea una nuova tappa nella storia del rapporto tra il lavoro,
l’economia e la società. Una ristrutturazione dei saperi
accompagna una nuova e autoritaria morfologia dei poteri.
Vogliamo ricostruire il nesso perduto nel ‘900 tra eguaglianza
e libertà. Ma un’eguaglianza in grado di valorizzare dialetticamente
le differenze e la differenza di genere. Un pensiero in grado di produrre
una ricchezza di relazioni che si deve nutrire sia dal “partire
da sé” proprio del pensiero della differenza di genere,
sia dalla mediazione efficace della cultura psicanalitica che ha assunto
la centralità del nesso corpo-mente. Bisogna provare a fuoriuscire
dagli schemi propri dei meccanismi della “democrazia liberale”
che parlano di un “cittadino astratto”, asessuato, disincarnato,
forzosamente “egualizzato” nel consumo.
Una libertà fondante un’idea non liberale: una “libertà
organica” , se vogliamo riprendere e sviluppare una felice formulazione
di Gramsci. Una liberazione dall’asservimento nelle nuove forme
di organizzazione del lavoro dalle tante solitudini e logiche competitive,
dalla perdita di socialità. Ed è così che intendiamo
procedere nel percorso avviato con la nascita del Partito della Sinistra
Europea: vale a dire una nuova soggettività politica partecipativa
ed unitaria della sinistra, capace di esprimere insieme la radicalità
dei movimenti, del conflitto sociale e della sinistra di alternativa
per criticare le forme e la natura del potere ed avviare la trasformazione
sociale del nostro paese.