Documento proposto da “Falce e Martello” La conferma della vittoria dell’Unione e della sua entrata al governo rende necessaria un’analisi realistica delle condizioni materiali che saranno alla base della sua azione. Le linee del governo non saranno determinate in primo luogo dalla volontà dei gruppi dirigenti, ma dalle necessità imposte dalla situazione economica. La crisi dell’economia italiana deve essere analizzata attentamente dal partito. Le direttive più o meno esplicite provenienti dai centri del capitalismo internazionale (Fmi, Financial Times ecc.) indicano la volontà di esercitare una forte pressione sul prossimo governo. Non si può minimizzare tutto questo limitandosi a definirle manovre speculative o politiche. La crisi del capitalismo italiano ha basi strutturali, la debolezza del sistema produttivo è stata messa a nudo dopo l’entrata nell’euro. L’Italia è un’economia relativamente debole (sul piano europeo) che è stata forzatamente inserita in un mercato dove concorrenti più agguerriti la stanno stritolando e colonizzando. In questo senso il paragone con le crisi subìte in passato dai paesi “dollarizzati” come l’Argentina non è del tutto improprio. Inoltre la bomba ad orologeria della finanza pubblica (aggravata dalle ultime misure del governo di destra) potrebbe scoppiare anche in tempi brevi. L’economia italiana può trovarsi in una crisi produttiva e finanziaria paragonabile a quella del 1992-93, che portarono alla svalutazione della lira. La differenza è che essendo oggi interna all’euro, l’unica via di sfogo sarà in un attacco diretto e violento ai salari, ai diritti e alla spesa sociale. Sono questi gli elementi di fondo che detteranno il corso del prossimo governo. Questa situazione implica che già dopo un breve tempo le pressioni della classe dominante potrebbero farsi intollerabili. Il processo di radicalizzazione della destra, la spinta reazionaria impressa da Berlusconi particolarmente nell’ultima fase della sua campagna elettorale, va compreso in questo quadro. Non si tratta solo delle vicende politico-economiche del capo di Forza Italia, ma di una spinta che pervade tutt’ora larghi settori della borghesia, in particolare i settori medio-bassi, a una soluzione autoritaria della propria crisi di competitività. La campagna elettorale ha messo a nudo con chiarezza il reale stato di cose: non avremo una destra “normale” in un paese “normale”, ma una destra reazionaria che punta a una dimensione di massa, in un paese in crisi profonda. Berlusconi ha interpretato con chiarezza e determinazione lo scontro in termini di lotta di classe, di difesa rabbiosa e spregiudicata degli interessi della sua base elettorale. Non si è perso nei minuetti procedurali e istituzionali, ma ha martellato, con tutti i considerevoli mezzi a sua disposizione, il messaggio centrale: chi ha qualcosa da perdere, voti per me. Ai possidenti, ai ricchi, agli evasori fiscali, a tutti i privilegiati grandi e piccoli, ha gridato forte «se perdo, perderete tutti voi!». Un messaggio rivolto non solo ai ricchi e ricchissimi, ma anche a quei settori di ceto medio e medio-basso che in questi anni hanno visto erodersi i propri redditi, ai quali ha offerto la più classica delle risposte: prendersela con chi sta sotto di loro. Ai professionisti ai quali ha detto «i vostri figli devono stare un gradino sopra ai figli degli operai!». La presenza delle forze fasciste nella sua coalizione serviva non solo a raccogliere una manciata di voti in più, ma anche a veicolare quella parte del messaggio che non si poteva esprimere apertamente: di fronte al degrado sociale che ha colpito tante aree del paese, è legittimo prendersela con gli immigrati, con gli omosessuali, con i tossicodipendenti, con tutti i “diversi”. E’ con questo messaggio che la destra tenta, in parte con successo, di riconquistare settori popolari. E questo messaggio si sentirà tanto più forte nei prossimi mesi, quando tenteranno di mobilitare la piazza contro il governo delle sinistre amiche dei banchieri e agli ordini di Bruxelles e di Francoforte. Ricordiamo che la sinistra non conquista il voto operaio per diritto divino, già in passato nella storia la delusione verso governi riformisti ha spinto a destra settori proletari, particolarmente nelle situazioni di crisi sociale profonda. A questi pericoli non sono state poste alternative credibili per il partito. “Grande riforma”, partecipazione, “governo allargato” sono parole. Già nella fase dell’elaborazione del programma abbiamo potuto verificare come la tanto evocata discussione di massa sul programma non si sia mai materializzata. Vi sono certo grandi attese di cambiamento fra milioni di votanti dell’Unione, ma queste attese andranno inevitabilmente a infrangersi sulla realtà dell’azione di un governo che, anche se lo volesse, avrà margini di autonomia ridottissimi rispetto ai dettami della Confindustria e della classe dominante. Prodi sarà a capo di un governo debole, continuamente sottoposto a pressioni e incursioni dal suo lato destro, particolarmente al Senato, dove pochi voti mancanti saranno sufficienti a fargli mancare la maggioranza. Sarà un ricatto permanente. A questo si aggiungerà la pressione della grande borghesia. Ora i portavoce di Confindustria cominceranno a dire che la situazione economica è seria (e certo lo è), che bisogna risanare i conti pubblici con nuove misure di lacrime e sangue, che “i mercati” e “l’Europa” ce lo chiedono; diranno che se Prodi non può assolvere da solo a questi compiti, deve essere ragionevole e cercare accordi con settori del centrodestra. Al di là della disponibilità o meno di Prodi a tali manovre, è chiaro che questi discorsi troveranno più di una eco nell’Unione. Certamente Prodi non è disponibile ad operazioni di Grande Coalizione che significherebbero la fine del suo governo. Questo non significa tuttavia che queste operazioni siano impossibili in futuro, al contrario. Per questo il partito non può assumere la posizione di incatenarsi a Prodi e al suo governo, una linea che equivale a restare disarmati di fronte all’inevitabile esplodere delle contraddizioni interne alla coalizione. E’ invece necessario avviare una svolta generale nell’orientamento del Prc. Per sconfiggere la destra è necessario sconfiggerla nel paese, cioè lavorare per la ripresa delle mobilitazioni su un piano più alto, riallacciare i fili partendo dai punti alti delle lotte di questi anni, dai metalmeccanici alla Valsusa, non per una utopica e impossibile “pervasione” del governo, ma per generalizzarne le lezioni, per proporne l’esempio a tutti i lavoratori, per far sì che domani in Italia si lotti come si sta facendo in queste settimane in Francia, e che su quelle basi si edifichi quella indispensabile alternativa politica a sinistra, riproponendo la prospettiva comunista come unica reale alternativa alla crisi del capitalismo e a un “riformismo” che in realtà non è altro che la subordinazione ai diktat della classe dominante. E’ questa la bussola che proponiamo per riorientare l’azione del partito nella fase convulsa che si apre. Oggi più che mai vale la considerazione che per i lavoratori non ci sarà alcun “governo amico”. Questo è l’unico punto di partenza realistico per riorientare l’azione del Prc. Una svolta profonda come quella che è necessaria non può essere improvvisata in pochi giorni; tuttavia possiamo e dobbiamo sottoporre al partito e alla nostra base di riferimento un bilancio trasparente di questa campagna elettorale: la collaborazione di classe, incarnata dall’alleanza con l’Unione, si è dimostrata incapace di dare il colpo decisivo alla destra perché non può aggredirne le basi sociali e di consenso, che non possono essere distrutte solo con le argomentazioni di tipo democratico (conflitto d’interessi, il “ritorno alla normalità”, ecc.) ma solo attraverso un riscatto dei lavoratori e di tutti i settori sfruttati che rompano le compatibilità imposte da questo sistema e da decenni accettate dalla sinistra e dal sindacato. Claudio Bellotti |