Imma
Barbarossa
La costruzione
delle liste ha a che fare con il problema della rappresentanza, e quindi
con la crisi della politica e del rapporto tra democrazia e trasformazione,
tra nuovi diritti e trasformazione, tra pratica di movimenti e percorsi
di autoliberazione di soggetti in carne e ossa nel contesto di nuove
relazioni politiche. Spesso guardiamo con sufficienza a queste riflessioni,
così le liste elettorali rischiano di diventare l'unico
metro di valorizzazione e autovalorizzazione. Le istruzioni diventano
quasi l'unica forma non solo di visibilità ma anche di
pratica politica e persino di costruzione della politica. Nonostante
queste considerazioni, penso che la proposta illustrata da Ferrara sia
il frutto di un buon lavoro, soprattutto per la presenza di personalità
esterne, dai compagni del movimento ai soggetti protagonisti dei nuovi
diritti, ad Hedi Giuliani ed Ali Rashid, per me punto di riferimento
- insieme alle donne in nero - dell'analisi della
situazione in Palestina, della politica del governo israeliano e del
complesso e difficile dibattito tra le organizzazioni politiche e le
forze sociali palestinesi.
Ma a partire dalle considerazioni sulla rappresentanza, voglio dare
seguito alle considerazioni critiche di Ferrara sulla insufficiente
presenza delle donne.
Di fronte a significative presenze femministe individuate a livello
nazionale e frutto di forti relazioni politiche, la insufficiente presenza
delle donne non è riducibile al quoziente numerico che manca,
ma è - e resta - un fatto culturale profondo, una
vera e propria rappresentanza del patriarcato di sinistra.
Ci sono nel nostro partito aperture significative: le prese di posizione
di Bertinotti, il lavoro fatto da Ferrara (e la sua analisi critica),
lo straordinario percorso del nostro giornale per merito delle femministe
della redazione e della cultura politica del direttore.
Ma, tranne lodevoli eccezioni di nostri dirigenti a tutti i livelli,
quello che colpisce è la sensazione di essere ospiti nel partito.
La grande manifestazione del 14 gennaio a Milano è la dimostrazione
della straordinaria forza delle donne, della loro soggettività,
del fatto che sono oggi quasi le uniche a contrastare l'oscurantismo
ambizioso e pervasivo delle gerarchie cattoliche, a mantenere aperte
forme di civilizzazione laica del nostro paese e della sinistra.
è riducibile a una questione sociale? Penso di no, e nemmeno
a una questione di movimento. Si tratta di fare un salto di qualità,
di riconoscere che i soggetti della politica sono sessuati: un riconoscimento
che, quando c'è, viene meno di fronte all'approccio
col potere. Quando dai regionali è venuta la legittima richiesta
di presenze territoriali, territorio è stato quasi sempre visto
come segnato dal patriarcato e dal genere maschile. Sicché nella
stragrande maggioranza la presenza delle donne tra gli eletti è
frutto di una vera e propria forzatura nazionale.
Infatti la questione non è di aprire il partito, ma è
nell'analisi del patriarcato di sinistra, nel senso maschile/potere
e nella capacità (se c'è) dei compagni di mettersi
in discussione come maschi e delle donne di non farsi sedurre dalle
sirene del potere maschile.
Salvatore
Bonadonna
Credo che questo
gruppo dirigente debba esprimere una soddisfazione vera per il lavoro
svolto nella preparazione del programma dell'Unione ed essere
grato al compagno Walter De Cesaris per il lavoro di coordinamento
puntuale ed attento che ha svolto. Come su tutti gli altri tavoli, anche
in tema di Mezzogiorno, il confronto à stato tra noi e tutti
gli altri; almeno quelli che hanno partecipato ai lavori. Ci siamo trovati
di fronte ad ipotesi assolutamente insufficienti. Nel migliore dei casi
c'era la proposta di riprendere le politiche del centro sinistra,
considerando quella berlusconiana una parentesi da chiudere per riprendere
dove aveva lasciato il Governo Amato.
Penso che la perseveranza con cui insieme a Giacomo Schettini, Vito
Nocera e Celeste Nardini, abbiamo proposto le analisi su come il Mezzogiorno
ha pagato in modo specifico le politiche liberiste, su come si siano
mostrate fallaci le ricette del sostegno alle imprese, su come la precarietà
sia diventata la cifra della società meridionale, capace di segnare
sia il livello di vita che le relazioni sociali e la qualità
stessa della politica, abbiano consentito di assumere una linea di intervento
ed elaborare un quadro di proposte sostanzialmente nuove ed accettabili.
A partire dalla nettezza con la quale si à convenuto di cassare
il Ponte sullo Stretto e di sviluppare, in alternativa, la rete ferroviaria
e le reti materiali ed immateriali capaci di sorreggere un modello di
sviluppo autopropulsivo ed ecologicamente qualificato.
Non mi sono meravigliato del tentativo di modificare l'impianto
condiviso in sede di stesura del testo unificato. Che ci/ sia avvenuto
per superficialità, a cui credo poco, o ad un tentativo di forzare
sulla linea riformista del liberismo temperato, quello che conta à
che la manovra non ha funzionato. Ma questo deve metterci nella condizione
di collaborazione conflittuale che caratterizza il rapporto tra chi
propugna l'alternativa di Governo e chi, come noi, guarda alla
necessaria alternativa alla destra come condizione per far crescere
l'alternativa di società. Si tratta di capire quale effettiva
capacità di egemonia, di consenso, saremo in grado di costruire.
Si tratta di decidere se questo gruppo dirigente si misura e misura
i consensi e i dissensi sul programma fondamentale del Partito o se,
invece, intende condannarsi alla coazione a ripetere i termini di un
confronto cha aveva come traguardo l'intesa di governo e che,
adesso, non mi pare trovi ragione se non nella esclusione "a priori"
di ogni possibile intesa.
Abbiamo visto che nulla pu/ essere dato per scontato; ma almeno la verifica
che possiamo farcela dovrebbe spingere in avanti il nostro traguardo.
Alberto
Burgio
La bozza di programma
dell'Unione suscita gravi preoccupazioni sui principali terreni
del nostro impegno politico. Sulle politiche migratorie non prevede
l'abolizione dei Cpt, che Prodi rivendica in quanto creatura del
centrosinistra. Sulle politiche del lavoro, il pacchetto Treu resta
la stella polare del centrosinistra, che continua a difendere lavoro
a progetto e lavoro interinale. Sulle politiche economiche, la bozza
prevede "politiche di apertura concorrenziale" dei servizi
pubblici locali (energia, trasporti, acqua). Sul piano internazionale
non vi è traccia della richiesta di ritiro immediato dei nostri
soldati dall'Iraq, mentre si prevede di definire il calendario
del ritiro in base alla "consultazione con le autorità
irachene", per "sostenere nel migliore dei modi la transizione
democratica dell'Iraq". Non bastasse, si prevedono "azioni"
volte a "sostenere la ricostruzione economica" dell'Iraq,
secondo il classico schema coloniale: prima si fa la guerra, poi si
progetta di sfruttarne le conseguenze sul piano economico. Non ci stupiamo
di questi dati di fatto, poiché non abbiamo mai condiviso la
tesi dello "spostamento a sinistra" dell'Unione. Da
tempo sappiamo che cosa Prodi, la Margherita e la maggioranza dei Ds
pensino di privatizzazioni e precarietà, e non scopriamo oggi
che la "leale alleanza" con gli Stati Uniti costituisce
un cardine della loro politica estera. Tutto ciò aggrava però
le nostre critiche. Non avremmo dovuto adottare un basso profilo (prima
siglare l'accordo, poi aprire il confronto sul programma), ma,
al contrario, aprire il conflitto più marcato (facendo discendere
l'eventuale accordo da un buon risultato del confronto programmatico).
è tardi ormai per recuperare? Certo, è tardi, ma forse
non troppo tardi. è necessario battersi fino all'ultimo,
per inserire nel programma alcuni obiettivi qualificanti. Ma si tratta
di chiarire, adesso, che l'accordo di governo non è un
fatto acquisito. Una cosa è fuori discussione: tutto è
meglio, piuttosto che sottoscrivere un'intesa programmatica che
legittimerebbe politiche incompatibili con gli assi di fondo della nostra
posizione e sulla base della quale non è proponibile l'ingresso
del Prc nell'eventuale futuro governo dell'Unione.
Salvatore
Cannavò
Sin dalla direzione
ho apprezzato i criteri e la composizione delle liste.
Questo apprezzamento è ribadito qui in presenza di un'apertura
delle lista a figure esterne al partito che parlano il linguaggio dei
movimenti. Mi fa molto piacere la candidatura di Ali Rashid in un contesto
in cui la Palestinaè in un'estrema difficoltà mentre sono
molto orgoglioso della candidatura di Haidi Giuliani resa possibile
dalla disponibilità di Gigi Malabarba. I nomi nel contesto sono
buoni e allo stesso tempo va dato atto al gruppo parlamentare uscente
di aver lavorato bene e di essere stato all'altezza del compito.
Quello che proprio non va bene sono le deroghe ai parlamentari con mandati
superiori a due. Perchè non va bene? Perchè un partito
che vuole essere diverso e che fa della "riforma della politica"
una bandiera deve avere poi gesti coerenti con le proprie asserzioni.
Lo scarto tra queste e la deroga, che si configura come una sorta di
"condono", è evidente e dispiace che non si producano
scelte anche individuali di indisponiblità a questo passaggio.
Si corre così il rischio di una professionalizzazione della politica
che certamente riguarda anche il funzionariato - magari discutessimo
di rotazione e di alternanza - ma che ha il suo culmine nelle istituzioni.
Per questo voteremo contro la deroga. Così come è sbagliato
il cedimento al leaderismo implicito nella candidatura del segretario
in tutte le circoscrizioni. Sbagliano le strutture locali a chiederlo
e sbaglia il segretario a concederlo perchè così non si
darà mai quel rinnovamento del gruppo dirigente di cui c'è
bisogno.
Bertinotti dice che la successione alla sua segreteria non è all'ordine
del giorno: bene, ma allora basta con le chiacchiere di corridoio e
con le riunioni riservate o con le manovrine di palazzo che a questo
puntano!
Come area politica ci attendevamo dalla maggioranza un gesto adeguato
alla generosità espressa da Malabarba che rifiuta la candidatura.
Infine sul vincolo di mandato. Credo che lo statuto sia chiaro ed è
per me evidente che finchè si sta in un partito se ne rispettino
le regole e il percorso. Ma il problema riguarda tutti. Noi abbiamo
un vincolo con noi stessi, con la nostra storia e con la nostra identità.
E il governo di centrosinistra metterà a dura prova questo vincolo
che è fatto di solidarietà agli interessi dei lavoratori,
di ripudio della guerra, di attaccamento ai diritti civili e altro ancora.
Il nodo del vincolo non è quindi amministrativo o burocratico ma
politico e dipende da come sapremo insieme regolare le difficoltà
che non mancheranno.
Mi auguro che quelle difficoltà siano attraversate da noi tutti,
e io mi impegnerò in tal senso, in modo condiviso.
Giuseppe
Ciano
Porto innanzi tutto
un saluto a tutta l' Assemblea del Comitato Politico Nazionale da parte
della mia sezione di Taurianova e dai compagni della provincia di Reggio
Calabria. Voglio inoltre ricordare con grande gioia e commozione, il
ritorno a consigliere regionale di Rifondazione Comunista in Calabria
del compagno Damiano Guagliardi. Nel merito della relazione del compagno
Ferrara non la condivido, perchè non rispetta le proporzioni
della minoranza, nè la territorialita'. Infatti sui possibili
60 parlamentari da eleggere, all'area Essere Comunisti che rappresenta
circa il 27% di consensi all'interno del partito, viene riconosciuto
appena il 10% delle teste di lista, cioe' solo 6 possibili parlamentari
da eleggere. Inoltre e' assolutamente inaccettabile che una regione
come la Calabria, su 4 indicazioni (3 alla Camera ed 1 al Senato), non
sia rappresentata da nessun candidato calabrese. Io sono seriamente
preoccupato che la mancanza di una presenza territoriale nelle teste
di lista possa non portarci quel consenso importante che pure e' ipotizzabile
in condizioni ottimali. Chiedo pertanto ai compagni di rivedere questa
proposta, nell'interesse del Partito tutto. Rispetto al programma, secondo
me, una delle priorita' per il Meridione, e sopratutto per la Calabria,
e' trovare soluzioni alla disoccupazione enorme in cui ci troviamo,
cioe' il 33% complessivo, il 45% femminile, ed il 55% giovanile. La
percentuale piu' alta di tutta l'Europa, quella a 25, Romania compresa.
Con questi dati e'chiaro a tutti quanto sia difficile poter sconfiggere
la corruzione dilagante, le clientele, la criminalita' organizzata.
Io penso che, a quei ragazzi di Locri, che rappresentano il futuro dei
calabresi, noi dobbiamo dare delle risposte concrete e subito. Ritengo
che lo strumento della partecipazione dello Stato in economia, sia il
piu' utile ed efficace in queste realta'.
Aurelio
Crippa
Non condivido la
decisione dalla Direzione per le modalità ed i criteri adottati.
Una visione e pratica della democrazia, negatrice della partecipazione
e del protagonismo attivo delle/degli iscritte/i, che non condivido
proprio per questo. Il tutto avviene a decisione presa a su Liberazione.
Sui criteri c'è Un ritorno al passato. In un sol colpo spazzati
via i "modelli innovativi del fare politica", introdotti
con grande enfasi nel recente passato.
Sulla candidatura della segreteria
La "innovazione" del passato: nessun parlamentare, salvo
il Segretario, nella Segreteria.
Motivo: un distinguo netto, per rendere esplicito il ruolo di direzione
politica della Segreteria, per l'agire del Partito nella società
e nelle istituzioni.
Riportando ad oggi questo, traggo la conclusione che questa direzione
è indicata ed individuata nella presenza Parlamentare (ed a caduta
nei vari livelli istituzionali).
Se poi, rispetto alle proposte avanzate, guardo a quanti non saranno
Parlamentari nell'attuale Direzione del Partito, questo mutamento
è ancor pi_ esplicito.
Non condivido questa "innovativa" nuova scelta, pur riconfermando
la mia opinione da sempre sostenuta, che vede e giudica importante la
nostra presenza nei vari livelli istituzionali, nel Parlamento.
Sul doppio mandato, ho contrastato in passato la proposta per introdurre
nello Statuto una norma rigida, anche per il Segretario, per il doppio
mandato come termine massimo per una presenza istituzionale.
La proposta oggi presentata altro è - infatti viene richiesta
una deroga alla norma Statutaria (ormai è prassi la sua non applicazione).
Si tratta non solo della ricandidatura, aldilà dei mandati fatti
- per tutti gli attuali Parlamentari, ma anche per compagne/i
che in passato hanno fatto 2/3/4 legislature, seppur in Partiti diversi
(il PRC non esisteva ancora).
Una negatività, espressione però del mutamento (scelta
politica) che individua la direzione politica del Partito, nella presenza
Parlamentare.
Sulla candidatura del Segretario, considero la cosa normale, ma oggi
però non pi_ così, vigendo l'incompatibilità
fra presenza nel Parlamento Europeo e quello italiano.
Alle recenti elezioni europee, mi è stato detto e spiegato l'importanza
della presenza a livello europeo, perchè ormai la politica lì
viene fatta (non negando questa importanza, personalmente ritenevo pi_
consona la presenza del Segretario nel Parlamento italiano).
Delle due, l'una:
o si è mutato parere
o è una candidatura di bandiera.
Composizione liste
Dopo le negative scelte del Congresso, un passo in avanti per una rappresentatività
dell'insieme del Partito.
Essa però oggi non è tale, e quindi esprimo il mio dissenso.
Due note finali. Reputo che la partecipazione a processi politici non
può che essere basata e regolata dalla garanzia e pratica della
pari dignità per i soggetti che vi partecipano (collettivi o individuali);
Sulle esperienze passate. Aspettative elettorali recenti - elezioni,
primarie - magnificate a parole di un grande consenso esterno,
non hanno trovato poi riscontro nel dato (voto) elettorale. Senza il
Partito, i suoi militanti, gli iscritti, che tirano il "carretto",
il consenso esterno di per se non è garantito.
Gianni
Favaro
Nonostante tutti
i tentativi di dimostrare, sia nella relazione sia il alcuni interventi
di sabato, il carattere progressista del programma dell'Unione
resto convinto che, al contrario, siamo riusciti ad incidervi troppo
poco. Certo questo governo Berlusconi fa venire la pelle d'oca
per il suo carattere reazionario e per la spregiudicatezza con la quale
difende i propri interessi e dunque se da un lato è strategico
mandarlo a casa dall'altro lato non posso che esprimere una forte
preoccupazione per la pesante deriva moderata del programma che ci apprestiamo
a sottoscrivere. In questo quadro difficile e denso di ambiguità
il nostro Partito, che in questi ultimi anni si è di molto indebolito
sia come numero di iscritti sia come capacità di radicamento,
potrebbe eleggere un gruppo di una sessantina tra deputati e senatori,
senza contare sottosegretari e ministri, con il rischio molto concreto
che la parte istituzionale e governativa ne condizioni fortemente l'autonomia
politica. In questo quadro leggo con forte preoccupazione anche una
deriva correntizia che blocca il nostro dibattito interno e che, se
si sommasse a quella istituzionale, annullerebbe non solo l'elaborazione
politica dei nostri organismi dirigenti nazionali (che già ora
contano poco) ma le nostre organizzazioni territoriali rischierebbero
di trasformarsi in comitati elettorali slegati dai problemi reali e
dai territori. Per me sono inammissibili sia la scelta di riconfermare
tutti i deputati uscenti, violando così lo statuto del Partito,
sia l'esclusione, operata all'interno della mozione che
ho votato al congresso, di realtà importanti come la Calabria
facendo prevalere logiche opportunistiche, ma, anche, l'uso punitivo
che la maggioranza congressuale (appunto con logiche di corrente) ha
usato ad esempio in Sardegna per indicare i candidati o attuando una
mortificazione delle minoranze interne nonostante rappresentino quasi
la metà del Partito. Per queste ragioni voterò contro
i criteri con i quali sono stati indicati i nomi dei capilista.
Maurizio
Federico
L'applicazione
concreta dei criteri stabiliti per la composizione delle teste di lista
si tramuta, nei fatti, in un attacco, senza precedenti nelle sue dimensioni,
al pluralismo e alla democrazia interna che verrà vissuto come
una violenta sopraffazione in parti rilevanti del corpo del partito.
La stessa attenzione dimostrata con le proposte nominative per varie
minoranze esterne, anche le più lontane dalla storia e dalla
cultura del nostro partito, non viene espressa nei confronti delle minoranze
interne che, pur assommanti al 41 per cento degli iscritti a Rifondazione
comunista, saranno così scarsamente rappresentate nel gruppo
parlamentare da avere assicurato solo quel "diritto di tribuna"
da tutti noi tanto aborrito quando i nostri nuovi alleati del centro-sinistra,
in passato, lo prospettavano per il nostro partito con le loro proposte
di riforma elettorale.
Per dar posto alle minoranze esterne la, maggioranza del partito non
solo non ha messo a disposizione nessuna delle sue postazioni ma, addirittura,
ha utilizzato per questo gli spazi per la rappresentanza del pluralismo
interno. E questo proprio mentre in tutti gli altri partiti si assicura,
nelle liste e fra gli eletti, la presenza "proporzionale"
delle loro minoranze alle quali così, intelligentemente, viene
assegnato un importante ruolo nella mobilitazione di tutte le forze
per la salvaguardia dell'intero potenziale elettorale.
La contraddizione esplosa qui oggi è fin troppo clamorosa ed
espone tutto il partito alla facile accusa di predicare la democrazia
e l'uguaglianza in casa d'altri mentre pratica l'esatto
contrario in casa propria.
Marco
Ferrando
Il programma dell'Unione
ci pone davanti ormai alle nostre responsabilità. Qui non ci
troviamo di fronte a un programma di cui misurare virtù o limiti
dal punto di vista di una prospettiva di alternativa. Qui ci troviamo
di fronte al programma degli industriali e dei banchieri italiani.
La politica estera che il programma rivendica è, testualmente,
"la cooperazione con gli U.S.A. dentro l'Alleanza Atlantica
e il modello europeo di difesa": ciò che significa sostegno
allo sviluppo delle spese militari nel quadro di una strategia di rilancio
della gestione multilaterale delle politiche di potenza dell'imperialismo.
Il sostegno alla continuità delle missioni militari nei Balcani
e in Afghanistan e la soluzione negoziale del "ritiro" dall'Irak,
sono solo il risvolto di questa linea generale. Ma non è la linea
contro cui il nostro partito si è battuto in tanti anni dall'opposizione?
In politica economico-sociale il programma dell'Unione rivendica
da un lato la flessibilità negoziata, a partire dalla difesa
del famigerato pacchetto Treu, e dall'altro il rilancio del "rigore
finanziario", con esplicito riferimento ai parametri di Maastricht,
al patto di stabilità europeo e addirittura al "rafforzamento"
del patto di stabilità interno: ciò che significa esattamente
quelle politiche impopolari che lo stesso Prodi ha annunciato dopo l'investitura
delle primarie. E questo mentre assicura alle grandi imprese e ai loro
profitti una nuova messe di risorse pubbliche, pagate anche dalla accelerazione
della controriforma Dini sulle pensioni. Ma in tanti anni di opposizione
non ci siamo battuti esattamente contro queste politiche e questi interessi?
La verità è che le classi dominanti e il Centro liberale
dell'Unione - dagli amici di Banca Intesa ai fiancheggiatori
di Unipol - vogliono rimuovere la nostra opposizione ed ogni opposizione
a sinistra proprio per poter realizzare nel modo più "pacifico"
quelle politiche. Di più: salutando con soddisfazione la nostra
disponibilità di governo puntano a corresponsabilizzarci nella
concertazione di quel programma, contro la nostra base sociale e la
nostra storia di opposizione. Possiamo accettarlo?
Qui siamo di fronte a un programma di governo che smentisce impietosamente,
nero su bianco, tutte le alate illusioni seminate al Congresso dalla
maggioranza dirigente del partito, e ci richiama, una volta per tutte,
alla cruda realtà.
Questa realtà ci impone oggi una svolta. Non una "pressione
più incalzante" sull'Unione, dall'alto o dal
basso, nell'eterna illusione, ogni volta smentita, di piegarla
a sinistra (come continuano a riproporre Ernesto ed Erre). Ma la rottura
liberatoria con i Prodi, i Rutelli, i Fassino, con tutta la nomenclatura
politica delle classi dirigenti, quale proposta generale da rivolgere
all'insieme delle sinistre, del movimento operaio, dei movimenti
di lotta: per cacciare sì Berlusconi, ma dal versante dei lavoratori,
non dei banchieri. E' la linea dell'unità dei lavoratori
contro la linea dell'unità con gli avversari dei lavoratori.
E' la linea dell'unità di classe contro la linea
della collaborazione di classe. Non è da qui che deve ripartire
la Rifondazione comunista?
Progetto Comunista-Sinistra del PRC riproporrà con forza e coerenza
questa linea generale in ogni sede in cui avrà voce e presenza.
Claudio
Grassi
Ancora una volta,
quando si decide la presenza nelle istituzioni, si avanza una proposta
che mette in un angolo le minoranze. Nonostante questo partito sia nato
con i propositi più innovativi e democratici, quando si
tratta di rappresentare il pluralismo interno nel Parlamento,
si conferma tra i più chiusi e più arretrati del panorama
politico italiano.
Ritengo che sia lesivo della rappresentanza del partito reale riconoscere
a delle minoranze che hanno un consenso del 41% uno spazio pari al 15%.
Nei partiti dell'Unione non vi è altra situazione dove le minoranze
vengano compresse in un modo così assurdo.
Ciò è ancora più mortificante poiché mentre
non si dà il dovuto spazio alle minoranze, si riconfermano tutti
i parlamentari uscenti - anche chi ha fatto più di due legislature
- stravolgendo la deroga dello Statuto. Tra l'altro, tra queste
riconferme vi sono compagni che ormai vantano un presenza pluridecennale
in Parlamento: loro per primi, avrebbero dovuto sentire il
bisogno di fare un passo indietro.
Alla direzione del 21 dicembre scorso avevamo chiesto che almeno
nella costruzione delle proposte degli indipendenti, delle rappresentanze
territoriali e del gruppo dirigente nazionale la maggioranza tenesse
conto di proposte avanzate dalle minoranze. Si è risposto, anche
su una richiesta minima e di buon senso come questa, con
una chiusura totale.
Devo dire amaramente che in quest'ultimo mese, in questo partito che
ritengo anche un pò "mio", mi sono sentito quasi un
ospite sgradito.
Non un piccolo segnale di apertura, anche su richieste che andavano
nella direzione di migliorare in modo impercettibile la proposta, già
così clamorosamente iniqua.
Mi sono chiesto il perché e la conclusione che ne ho ricavato
è che, nonostante tutte le dichiarazioni di principio, la minoranza
non viene considerata un fatto politico e come tale rispettata, ma una
specie di ingombro da ridurre ai minimi termini.
Vivo tutto questo come un'ingiustizia. E siccome per me il senso
primario che mi ha fatto diventare comunista è la lotta contro
le ingiustizie, lotterò anche contro questa, anche se, e mi dispiace
molto, avviene nel mio partito.
Domenico
Jervolino
Abbiamo di fronte
quest'anno una duplice sfida: battere Berlusconi e contribuire
alla formazione di un nuovo governo del nostro paese. Sarebbe un errore
oggi considerare scontata la vittoria del centro-sinistra, ma è
ragionevole ipotizzare, dopo una dura lotta, un risultato positivo.
In questo caso sarà difficile per chiunque assumere l'onere
del governo, ma certamente difficilissimo, per noi che ci vogliamo essere
e restare sinistra alternativa. Ma sappiamo bene che altro è speculare
e dibattere sui nostri problemi di identità e di progetto, altro
è impegnarsi in molteplici lotte parziali, altro è assumere
- serbando una coerenza di fondo con la nostra ispirazione - responsabilità
di governo, nel terreno scosceso delle istituzioni, in una società
e in un'economia che restano (e resteranno a lungo) capitalistiche,
per quel che riguarda il nocciolo dominante dell'organizzazione
economica e sociale, e quindi regolate da logiche di sistema che non
sono le nostre e che continuamente saranno opposte alle nostre istanze
e ai nostri progetti.
Una sfida dunque difficile ma necessaria, ancora pi_ necessaria se il
caso italiano diventasse non l'eccezione, ma l'anticipazione
di vicende che potrebbero riguardare domani anche altri paesi europei,
dove un'alleanza fra sinistre radicali e moderate potrebbe diventare
una necessità storica.
Sono convinto che molteplici fili, talora invisibili, legano la questione
del governo a due altre questioni. In primo luogo, alla "questione
cattolica", vale a dire al complesso di problemi che nascono dalla
presenza massiccia del mondo cattolico nella politica italiana e al
suo ruolo nella dialettica delle classi e delel forze sociali in campo.
Sarà forse un caso che dopo circa un cinquantennio di egemonia
democristiana la lotta politica in Italia sembra ancora, in qualche
momento, una contrapposizione tra forze (e spesso anche fra uomini)
che si confrontavano nella vecchia Dc?
Scorgere un nesso fra questione del governo e questione cattolica significa
anche pi_ in generale porre i temi delle istituzioni, dell'ideologia
e del simbolico, temi tutti essenziali per la rifondazione di una politica
di sinistra. Di queste cose bisogna riuscire a parlare evitando le derive
sia del moderatismo preoccupato di non disturbare i rapporti col potere
ecclesiastico, che di un riemergente anticlericalismo rozzo che ci farebbe
ritornare indietro a prima di Gramsci. Noi siamo un partito nel quale
convivono con pari dignità credenti e non credenti e il superamento
dei privilegi della chiesa-istituzione la dobbiamo vedere anche come
risultato di una maturazione dello stesso mondo cattolico, e della sua
base sociale.
Giulio
Lauri
Condivido molto
l'impostazione politica, i criteri e le proposte nominative per
la composizione delle teste di lista avanzate dalla Direzione: una lista
che ci permette di presentarci alle elezioni per quello che siamo stati
in questi anni, da Genova in poi, che oggi forse facciamo fatica ad
essere ma che al più presto vorremmo tornare ad essere: un partito
comunista impegnato nella rifondazione, aperto all'incontro con
le altre culture critiche e antagoniste che ha attraversato da protagonista
la stagione dei movimenti. Dentro a questo quadro pienamente condivisibile
è presente però una macchia, quella della candidature
territoriali, con alcune regioni sovrarappresentate e altre come il
Friuli Venezia Giulia che, pur eleggendo questa volta una rappresentanza
e non avendo da tre legislature un proprio parlamentare, si vedono anche
oggi negata questa possibilità. Non sopravalutiamo la dimensione
istituzionale del lavoro politico, anzi, personalmente apprezzo molto
la scelta di Malabarba: quello che è certo, però, è
che un parlamentare del territorio ti aiuta molto nella tua azione quotidiana.
Nella formazione delle liste è mancato un principio di solidarietà
fra i territori. La segreteria ci ha chiesto di esprimere una rosa di
candidature femminili. Per una serie di motivi, pur essendo una regione
in cui la metà delle segreterie provinciali è composta
in maggioranza da donne, non abbiamo assecondato questa richiesta, chiedendo
invece al partito di valorizzare il lavoro che in questa regione di
confine stiamo facendo su un tema cruciale come quello dell'immigrazione
(la legge regionale più avanzata; la lotta contro la realizzazione
del CPT di Gradisca). Sono prevalsi altri equilibri e la risposta è
stata negativa. I/le capilista nella nostra regione sono di grandissimo
valore e ci impegneremo fino in fondo a sostenerli/e: questa esclusione
ci impedisce però di condividere appieno la proposta che viene
avanzata.
Alessandro
Leoni
La discussione
sul "programma" della coalizione "di governo" di
cui facciamo parte, cioè dell' Unione, non solo rischia di essere
la, noiosa, ripetizione di ragionamenti, riflessioni che ci scambiamo,
ormai, da mesi, ma, addirittura di franare in una specie di disputa
fra "ottimisti" e "pessimisti". Cercherò,
pertanto, di sottolineare alcune questioni, a mio parere, oggettive;
intendo riferirmi ad una serie di fatti determinatisi in queste ultime
settimane, dalla nomina di Mario Draghi a Governatore della Banca d'Italia,
al significato, non semplicemente occasionale, della formazione del
nuovo governo tedesco "CDU-SPD" fino all'emblematica vicenda
"BNL/UNIPOL/Banco di Bilbao".
Da questi "fatti" emerge come l'egemonia moderata-conservatrice
in Italia e in Europa, sia ancora, sostanzialmente, pienamente in essere,
onde per cui ogni possibile tentativo d'inversione di tendenza, sul
quale non è lecito dubitare del nostro, complessivo, impegno,
sia destinato ad arenarsi. Non solo, da queste vicende, a me pare, emerga
anche un' effettiva inadeguatezza della nostra autonoma capacità
d'elaborazione. Prendiamo, ad esempio, la questione che ha coinvolto
il gruppo dirigente diessino e il vertice UNIPOL; se abbiamo fatto bene
ad evitare irresponsabili polemiche e sciacallaggi siamo, però,
anche dovuti restare nel vago sulla questione centrale, strategica dell'assetto
dei poteri finanziario-bancari del nostro paese e ciò, certamente,
non perché coinvolti in "cordate" o lobbyes particolari,
ma, con tutta evidenza, per il deficit d'elaborazione "coltivato"
in questi anni. Affidare ai "movimenti" l'essenziale della
nostra capacità d'influire sulle scelte dell'auspicato governo
dell'Unione rischia di trasformarsi in una, consapevole o meno poco
importa, scelta opportunistica, una specie di scarica barile di corto
respiro e di nessuna prospettiva.
Se avessimo sviluppato un serio dibattito sul "Programma"
del nostro partito, dal quale far discendere, oggi, anche un elaborato
per le questioni di "governo", non solo saremo più
forti, al presente, nella contrattazione con i patners del centro-sinistra,
ma, forse, avremo, anche, aiutato a qualificare la non esaltante discussione
sulle candidature per le prossime elezioni politiche generali.
Mirko
Lombardi
Voterò a
favore. La proposta è buona ed anche nelle sue parti critiche
si può dirla con Totò: "ogni limite ha una pazienza".
Nel contempo rivolgo un ringraziamento a quelle compagne e a quei compagni
che con la loro disponibilità hanno aiutato nel trovare soluzione
ai tanti problemi che sempre ci sono quando si devono definire liste
di persone.
Il complesso dei criteri non è banale e risponde alla necessità
di aprirci, di innovare e di sperimentare. Chi non risica….La
proposta nominativa ha tante indicazioni molto belle ed alcune meno
nelle quali si nota una certa prepotenza maschile dura a recedere. Anche
nelle deroghe vedo alcuni limiti di una sorta di sindrome del "senatore
a vita", di chi non riesce a pensarsi se non con lo status di
parlamentare. Questo mi pare diseducativo perché fa correre l'idea
che la politica, ed anche il ruolo dirigente, inizi e finisca tutto
e solo dentro le istituzioni. Guai se così fosse, in particolare
per il nostro Partito che, soprattutto se chiamato alla prova del governo,
deve resistere culturalmente e praticamente all'idea che la governabilità
sia l'unica funzione nella quale si esplica la politica. Una democrazia
viva è più ricca della sola dialettica istituzionale,
è fatta di società civile, di conflitto sociale ecc,ecc…le
cose che ci diciamo sempre.
Ci sono tutte le condizioni per un buon risultato elettorale. Spero
risolti anche i problemi di similitudine del simbolo che ci hanno danneggiato
alle scorse elezioni. Oggi abbiamo deciso gli "eleggibili",
ora le liste vanno completate al meglio e non con un criterio "riempitivo",
ma con intelligenza e la disponibilità di tutto il gruppo dirigente
ad entrare, ricercando il massimo di rappresentatività interna
ed esterna. Sarà una campagna elettorale storica, non si può
mancare!
Aurelio
Macciò
Non voglio stare
sul terreno del "lo avevamo detto". Ma è proprio
stando al confronto tra la stessa linea congressuale e risultati ottenuti,
ad oggi, sul programma dell'Unione, che non si può non
cogliere, alla luce dei fatti concreti, uno scarto significativo.
Si era affermato: non metteremo paletti o pregiudiziali discriminanti,
non useremo una tecnica contrattualistica, perché l'intero
programma dovrà essere permeato da una tendenza alla fuoriuscita
dalle politiche liberiste. E ancora a ridosso della scadenza elettorale,
il tema delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni è tra
quelli non ancora definiti, ma la contesa è comunque sul terreno
altrui, sull'immissione sul mercato di fondamentali servizi pubblici,
non certo su quanto, come e dove nazionalizzare nei settori industriali
strategici o nel sistema bancario. Si era dichiarato: puntiamo alle
primarie sul programma, il popolo dell'Unione dovrà pronunciarsi
sui punti dirimenti. Per ora, oltre ad aver invece svolto un plebiscito
sul leader, non si sa ancora che caratteristiche avranno le assemblee
regionali annunciate per il 5 febbraio, ma certamente non saranno assemblee
popolari.
Il giudizio generale, ancorché provvisorio, su quanto è
stato sinora definito del programma, è che si sta in un quadro
di "liberismo temperato". Diversi problemi vengono taciuti
(vedi G8, istituzione che, insieme ai movimenti, abbiamo dichiarato
addirittura illegittima), altri affrontati con affermazioni generiche.
Ma con chiarezza si afferma il rispetto del Patto di stabilità
e crescita come bussola per l'orientamento delle politiche nazionali,
il proseguimento di privatizzazioni al fine di ridurre il debito, l'attuazione
del federalismo fiscale e il riconoscimento della modifica del Titolo
V della Costituzione operato dal centosinistra, la conferma del Patto
di stabilità interno che affossa il Welfare locale. Insieme alla
mancanza di un impegno ad una legge di sostegno alla rappresentanza
e alla democrazia sindacale e dell'abrogazione della Legge 30,
con la conservazione dell'automatismo previsto nella Legge Dini
vi sarà l'innalzamento di 2 anni dell'età
pensionabile, mentre la previdenza complementare viene definita il pilastro
del futuro.
Tutt'altro dalla "grande riforma" del Paese invocata
a Venezia. Su queste basi non si può che tornare a richiedere
un passo indietro, verificando che non vi sono le condizioni per un
accordo programmatico e di governo, posizionandosi su una prospettiva
di un accordo solo elettorale.
Gigi
Malabarba
Non condivido la
nostra entrata organica nel centrosinistra. Come conferma il dibattito
sul programma, avremmo dovuto lavorare per qualcosa di più della
desistenza ma non per una piena partecipazione al possibile governo.
Meglio un accordo politico-elettorale su alcuni punti forti al fine
di cacciare Berlusconi.
Le candidature, pur scontando limiti nella rappresentanza sociale, di
sesso e di pluralismo interno, sono apprezzabili, comprese quelle 'esterne'.
Le deroghe generalizzate per gli eletti uscenti sono negative e chiedo
un impegno formale perchè la norma sia modificata. In ogni caso
anche gli interessati possono fare autonomamente un passo indietro,
specie chi ha superato i 3, 4, 5 mandati: si abbia un po' di pudore,
perchè il malcostume si ripercuote a cascata!
E' in atto una degenerazione istituzionalista, incentivata anche dalla
linea attuale ma non solo, che va combattuta perchè segno di
patologia gravissima. Mentre diventa destabilizzante la collocazione
di quasi tutto il gruppo dirigente in parlamento: è il contrario
di ciò che fu deciso unanimemente pochi anni fa...Ci sono tutti
i 'pericoli professionali del potere' in un contesto in cui si pretende
di non rivendicarlo neppure!
Sono personalmente contento di potermi presentare con una candidatura
di servizio come capolista al Senato in Liguria per poter lasciare il
posto a una compagna il 20 luglio, giorno del V° anniversario dell'assassinio
di un ragazzo in piazza Alimonda. Grazie ad Haidi Giuliani per aver
accettato.
Antonio
Marceca
In un quadro di
crisi internazionale, con l'evidente accelerazione della crisi
economico-finanziaria anche nel nostro paese, l'attacco al costo
del lavoro è la strada privilegiata dal padronato: la crisi viene
scaricata sui lavoratori, nei termini di riduzione dei salari, precarizzazione
dei rapporti di lavoro, licenziamenti. In questo quadro, la lotta dei
metalmeccanici - 13 mesi di scioperi, manifestazioni, fino ai blocchi
stradali e forroviari degli ultimi giorni - ha dimostrato che esiste
la disponibilità, da parte dei lavoratori, a non retrocedere
di fronte agli attacchi padronali. A queste lotte occorre offrire una
reale prospettiva anticapitalistica: va quindi respinto, a partire dal
referendum nelle fabbriche, l'accordo siglato da Fiom, Film e
Uilm con Federmeccanica il 19 gennaio. In cambio di un aumento irrisorio
si assiste ad una drastica accelerazione dei processi di precarizzazione.
E' un accordo che annuncia il quadro che ci attende con il prossimo
probabile nuovo governo Prodi, che farà della concertazione il
fulcro del proprio agire. Il programma presentato dall'Unione
dimostra che la borghesia italiana si appresta a trovare in un futuro
governo di centrosinistra il portavoce dei propri interessi: si continua
sulla strada delle privatizzazioni, si rivendicano elementi di federalismo
fiscale, si prolunga l'età pensionabile, si confermano
gli assi del pacchetto Treu e della Legge 30 in tema di precarizzazione
del lavoro. La partecipazione del Prc alle primarie ha rappresentato,
da parte del nostro partito, la benedizione in anteprima di questo progetto.
E' un programma, infine, che dimostra il carattere illusorio anche
dei compagni dell'Ernesto e di Erre, che pensano possibile condizionare
il programma e le politiche dell'Unione. Oggi più che mai
è necessario un drastico cambio di rotta nella politica del nostro
partito: occorre rompere con i liberali, per rilanciare i movimenti
(operaio, contro l'occupazione in Iraq, studentesco) e avanzare
nelle lotte un programma anticapitalista per costruire l'alternativa
dei lavoratori. Come maggioranza di Progetto Comunista c'impegneremo
a garantire l'opposizione comunista ai governi della borghesia,
siano essi di centrodestra o centrosinistra, nonostante il riuscito
tentativo da parte della segreteria nazionale di cooptare l'ex
portavoce dell'area, Marco Ferrando. E' un fatto grave in
quanto, in cambio della candidatura, è stato chiesto l'impegno
a votare alla fiducia del futuro governo Prodi. Non ci riconosciamo
in questa scelta e continueremo con coerenza a contrastare la deriva
governista del partito.
Francesca
Ruocco
Innanzitutto voglio
esprimere condivisione sull'impianto complessivo delle liste, in quanto
ritengo sia espressione di una tappa importante del percorso coraggioso
che questo Partito ha intrapreso negli ultimi anni, in cui il PRC ha
avuto la capacità di leggere la crisi delle forme classiche della
rappresentanza e di organizzazione della politica, e di metterle in
discussione - mettendo in questo modo in discussione anche una
parte importante della propria storia e della propria identità-.
E' in quest'ottica che abbiamo creduto nella necessità di sperimentare
e di scommettere sulle primarie come strumento di partecipazione, dimostrando
così che c'era un modo altro di scegliere un candidato, di costruire
un programma, e quindi di fare politica.
A Bologna abbiamo creduto e investito in questa scommessa fin dalle
primarie in Puglia, durante le quali io stessa ho partecipato al comitato
"Bologna per Nichi" (di cui ho già detto in un precedente
CPN), e poi con le primarie nazionali, in cui, insieme a molti altri
compagni e compagne, ho attraversato l'esperienza di "Officine
Precarie Pro Fausto", uno dei comitati nati in città a sostegno
della candidatura del nostro segretario.
E' all'interno del ragionamento sulla sperimentazione di forme nuove
della politica, che si colloca anche la costruzione della Sinistra di
alternativa, che ha visto un momento centrale nella costituzione della
Sezione italiana del Partito della Sinistra Europea. Con essa, il PRC
ha intrapreso un percorso di cessione di sovranità, nell'ottica
di eccedere e superare se stesso, costruendo un ambito unitario con
altri soggetti, singoli e collettivi, che hanno attraversato i movimenti
sociali e sindacali di questi anni, e che oggi si uniscono sulla base
di una cultura politica comune.
Ribadisco quindi la condivisione dell'impianto complessivo delle liste,
in quanto lo ritengo un'adeguata declinazione nella pratica di questo
percorso.
Per esempio, è per me un punto di discontinuità importante
rispetto al passato il fatto che all'interno della lista vi siano nomi
come quelli di Daniele Farina e Francesco Caruso, compagni con cui personalmente
ho condiviso un percorso di lotte, a partire da quello che veniva chiamato
il movimento di Seattle e poi, con Genova, il movimento dei movimenti.
Questo per me significa tentare concretamente di far diventare le istanze
di movimento e le istanze sociali alternativa politica e programmatica
della Sinistra.
E' con amarezza quindi che mi faccio, in questa sede, anche portatrice
di un malessere, innanzitutto personale, ma che è anche di compagni
e compagne dell'Emilia Romagna e soprattutto della Federazione di Bologna
-compreso il suo Segretario Tiziano Loreti- dovuto alla candidatura
espressa dalla mia Regione.
Malessere che riguarda sia il metodo con cui si è giunti a tale
candidatura, che non ha visto una discussione collettiva né all'interno
del CPR, che è stato annullato, né in altri ambiti, e
quindi non è stata in alcun modo partecipata. E malessere riferito
al merito, in quanto, in particolare a Bologna, avremmo auspicato una
candidatura della Sinistra Europea e di alternativa, o comunque proveniente
da quei movimenti sociali e sindacali di cui non si può dire
che il nostro territorio non sia ricco.
Mi sembrava doveroso esprimere qui al CPN questo disagio, che riguarda
molti compagni e compagne a Bologna, che oggi temono di correre il rischio
di essere il "Partito restato e non il Partito partito", riprendendo
una metafora del compagno Nichi Vendola al Congresso Nazionale.
Nonostante ciò, vista -come ho detto all'inizio- la piena condivisione
del percorso complessivo, il mio voto sulle liste sarà comunque
un voto favorevole.
Giovanni
Russo Spena
Non sottovaluto
i sacrifici e le sofferenze di alcune federazioni e di alcuni regionali;
né la lettura sessuata della rappresentanza non del tutto sufficiente;
ma mi pare che la proposta si caratterizzi per un punto fondamentale.
Essa, infatti, evoca la forza di un partito che ogni giorno costruisce
il suo essere segmento essenziale dei movimenti, parte di una soggettività
globale che si va organizzando. E allude ad un incontro di persone,
culture, ad una sinistra alternativa che si costruisce su relazioni
nei conflitti e nelle comunità. I cosiddetti compagni e compagne
"indipendenti", "esterni" non sono autorevoli
persone che vanno ad aggiungersi, come "fiori all'occhiello",
ai candidati dirigenti di un partito che vive se stesso come un corpus
già definito. Essi sono, invece, il segno visibile, il primo
stadio di una sinistra alternativa che costruisce se stessa senza diplomatismi
e contrattazioni, ma dall'interno delle pratiche di movimento
e di un confronto, perfino teorico, plurale, che ci costringe, fortunatamente,
ad una rielaborazione dei paradigmi, ad una "ricerca infinita".
Queste compagne e compagni nostri candidati rappresentano, infatti,
percorsi di conflitto ma anche elaborazioni, persino punti di teoria
politica: dal disarmo (anche nella sua proiezione etica, componente
fondamentale della nonviolenza), alla lotta contro i CPT e per un "meticciato"
attivo, per una cittadinanza transnazionale; dalla centralità
dei "beni comuni" (a partire dal contratto mondiale per
l'acqua) alla straordinaria presenza metalmeccanica, punto di
connessione, oggi, tra la critica del lavoro salariato e la critica
del precariato come relazione sociale; dall'esperienza antiproibizionista
del Leoncavallo al "Sud ribelle". Ma vorrei particolarmente
ricordare, con immenso affetto, Heidi Giuliani (che ci parla, con la
sua umanità, di un movimento che tenta, in piena autonomia, di
ricostruire teoria e "nuovo spazio pubblico") e Ali Rashid.
Ali è, per me, da quando l'ho incontrato, 30 anni fa, la
Palestina laica, democratica, di sinistra, che non accetta che il suo
volto sia sfregiato dall'occupazione militare. Una Palestina che
vuole coniugare radicalità e intransigenza nell'opporsi
al governo israeliano con la capacità di prefigurare uno stato
democratico; per sé e per tutto il Medio Oriente. Di tutto questo
parla la nostra presenza elettorale.
Giuliana
Licia Sema
Ho apprezzato che
nel preambolo della relazione, il compagno Ferrara, seppur troppo sommariamente,
abbia accennato alla crisi della politica che investe anche il nostro
partito. I fatti stanno a dimostrare che una volta di più sono
prevalsi interessi personali piuttosto che interessi del partito e della
classe, con la conseguenza che la discussione sulle persone, sempre
difficile, talvolta sgradevole, finisce con determinare rotture irreparabili,
con il retro pensiero che uno parli pro domo sua. In Friuli Venezia
Giulia, la discussione sulle candidature é stata caratterizzata
da un greve autoritarismo, illuminante del deficit di democrazia che
caratterizza il partito, a tutti i livelli. Non solo la maggioranza
non ha seguito l'indicazione della segreteria nazionale di proporre
due donne, ma scelti i nominativi da sola, a porte chiuse, con le minoranze
fatte spostare in un'altra stanza, non ha permesso che il Comitato Politico
Regionale esprimesse un voto, nonostante le ripetute richieste avanzate
in tal senso. Ancora più insoddisfacenti le scelte operate a
livello nazionale con forzature inaccettabili, sia per quanto concerne
le deroghe, in palese contrasto con lo Statuto, sia per l'assoluta assenza
di operai. Sui quadri operai e sulle modalità di individuazione
dei quadri dirigenti, il compagno Raul Mordenti nel suo libro "La
Rivoluzione", ha scritto pagine molto utili per capire cosa stia
succedendo nel nostro partito, parafrasando le sue parole, é
necessario almeno che i nostri candidati, una volta eletti, siano capaci
di "stare nella maggioranza senza essere della maggioranza",
possibilmente, aggiungo io, evitando il ridicolo.
Stefano
Vinti
Giudico negativamente
la proposta avanzata dalla Direzione nazionale dei nomi della nostra
futura rappresentanza parlamentare perché la ritengo frutto di
una scelta verticistica e perché rappresenta soltanto una parziale
apertura delle nostre liste. Lo ha detto giustamente il compagno Crippa:
il percorso di definizione non è stato affatto partecipato e
siamo chiamati soltanto a ratificare una decisione già assunta
dalla Direzione. Tra gli "esterni" ci sono nomi importanti
e compagni che si sono impegnati nella costruzione della Sinistra europea.
Ma ne mancano molti altri, troppi: soggetti e movimenti che sono stati
protagonisti delle lotte e mobilitazioni degli anni del disgelo sociale.
Penso all'Arci, alla Cgil, ma anche ad altre sigle sindacali,
all'arcipelago ambientalista, a soggetti impegnati per una globalizzazione
dal basso (Attac, Lilliput). Si poteva fare di più se non si
fosse scelto di mandare in parlamento tutto il gruppo dirigente del
partito: con la riconferma del gruppo parlamentare, la candidatura del
60% della Segreteria e della Direzione nazionale. Inoltre, questa scelta
ha portato a schiacciare la presenza territoriale, un criterio presente
nella definizione dei capolista, e ad escludere candidati espressione
dei gruppi dirigenti locali in realtà importanti, tra le quali
l'Umbria. Avanzo anche in questa sede la richiesta di una candidatura
espressione del gruppo dirigente umbro. So che non sarà accolta,
ma abbiamo tutta la legittimità politica per farla: l'Umbria
alle regionali 2005 - che sono prese come base per il ragionamento
odierno sulle liste - ha ottenuto la percentuale più alta
di Italia; la Federazione di Perugia in voti assoluti ha riportato il
sesto miglior risultato del partito, un totale di voti che addirittura
supera quello di molte intere regioni. Per non parlare del tesseramento
o delle primarie. Davvero, continuo a non capire, e con me il Cpr dell'Umbria,
di fronte alla qualità della proposta fattaci da Ferrara, il
perché di questa esclusione.