Comitato Politico Nazionale 26 - 27 novembre 2005

Interventi

Claudio Bellotti Franco Grisolia
Salvatore Bonadonna Enzo Jorfida
Alberto Burgio Alessandro Leoni
Salvatore Cannavò Graziella Mascia
Mimmo Caporusso Roberto Musacchio
Milziade Caprili Alfio Nicotra
Aurelio Crippa Vito Nocera
Alberto Deambrogio Giovanni Russo Spena
Salvatore Distefano Linda Santilli
Gianni Favaro Luigi Saragnese
Marco Ferrando Patrizia Sentinelli
Francesco Ferrara Nando Simeone
Paolo Ferrero Michele Terra
Claudio Grassi Franco Turigliatto

Claudio Bellotti
La relazione del segretario mi pare eludere i nodi che abbiamo di fronte. Non vedo alcuna riflessione sui dati reali della situazione: la natura e la profondità della crisi del capitalismo italiano, l’Ulivo “in carne ed ossa” (per intenderci quello che si reca alle fiaccolate di Giuliano Ferrara), l’arretramento delle posizioni nella Cgil… tutto questo non è oggetto di una seria analisi. Ci si dice che l’Ulivo vero non è quello delle dichiarazioni e degli atti dei suoi capi, ma quello che, al riparo dai riflettori, sta elaborando con noi il programma. Rimango in attesa della verifica dei fatti.
Da queste contraddizioni crediamo davvero di uscire costruendo una “Sinistra alternativa” con personaggi come Folena? O con spezzoni di ceto politico che si autodefiniscono “movimento” e che cercano una collocazione elettorale? Se questi soggetti, come dice il segretario, condividono la nostra impostazione politica e programmatica, cosa impedisce loro di aderire al partito?
La proposta di costruzione della “sezione italiana della sinistra europea” ripercorre una strada fallimentare già battuta in passato dalla Izquierda Unida in Spagna. Si dica con chiarezza in cosa consiste questo percorso costituente: si vuole aprire un tesseramento? Chi e come deciderà in questa formazione? E soprattutto, che fine fanno i diritti dei militanti del partito, una volta che ci inserissimo in un quadro del genere?
Già oggi l’inserimento nell’Unione mostra le sue conseguenze negative sul partito: corsa alle cariche, gruppi istituzionali spesso fuori controllo, un quadro che sconcerta tanti militanti, anche diversamente collocati, che vivono con forte disagio questa deriva.
Rimango convinto che saranno proprio questi compagni, alla prova degli avvenimenti, a reagire e a imporre un cambiamento dell’attuale orientamento del partito.

Salvatore Bonadonna
La relazione di Fausto Bertinotti struttura la svolta politica del Congresso e indica che l’attraversamento della possibile partecipazione al governo dell’Unione costituisce una fase dell’alternativa di società.
L’analisi realistica dello stato dell’economia e della società, il permanere della cultura del “liberismo temperato” che ispira le politiche delle forze moderate del centrosinistra e, però, le lotte, le tensioni, i movimenti che si manifestano e postulano opzioni di cambiamento radicale, che non trovano risposte dentro il paradigma moderato. La riuscita dello sciopero generale, anche su una piattaforma moderata; i metalmeccanici, che malgrado il deliberato isolamento, anche mediatico, in cui sono tenuti, si apprestano alla manifestazione del 2 Dicembre, illustrano il divario tra la cultura dell’alternanza che ispira il moderatismo politicista dei leaders del centro sinistra e le stesse scelte più avanzate che maturano ai tavoli programmatici dell’Unione, anche sui temi del Mezzogiorno, come ha ricordato Giacomo Schettini.
Bertinotti, in questo quadro grande, sociale e politico, di contraddizione, colloca il ruolo del Partito e della Sinistra Alternativa. Oltre la ortodossa ed autoreferenziale funzione di “guida” e dentro la concreta opera di trasformazione della società, dell’economia e della concezione stessa del potere.
Il ruolo del Partito è necessario ma non sufficiente; la sinistra alternativa non può essere un accordo elettorale ma la costruzione di un soggetto politico coerente con l’idea di società che si intende perseguire. La Sinistra Europea è oggi il soggetto plurale capace di rappresentare l’ampiezza e la coerenza delle forze che convergono sull’alternativa di società.
Compiamo una scelta talmente alta ed “altra”, se rapportata alle cronache politiche di questi tempi, che ci impegna ad un grande sforzo per metterla al centro del dibattito politico; ma anche per riclassificare il confronto interno al Partito.

Alberto Burgio
Affronterò due temi discussi nella relazione del Segretario. In primo luogo, la costruzione della sinistra di alternativa. E’ un punto rilevantissimo, il presupposto di una interlocuzione non subalterna con le forze moderate dell’Unione. Bertinotti indica nella partecipazione al Partito della sinistra europea e alla campagna per le primarie i criteri per individuare i partners di questo percorso. Ma tali criteri hanno suscitato serie riserve dentro e fuori il Partito. Perché non basarsi piuttosto sul rifiuto della guerra e sull’opposizione al neoliberismo, in relazione ai quali abbiamo sempre definito l’idea stessa di “sinistra di alternativa”? C’è bisogno di una proposta aperta e unitaria, non di clausole di esclusione che indebolirebbero il progetto su cui stiamo discutendo. E occorre contemporaneamente assicurare che la costruzione della sinistra di alternativa non minaccerà l’autonomia di Rifondazione comunista, che va invece rafforzata. C’è bisogno di tutta la nostra forza e autonomia per portare il Paese fuori dal berlusconismo e per conseguire gli obiettivi che riteniamo irrinunciabili, a cominciare dalla difesa della pace e dei diritti del lavoro.
Vengo alla questione del programma. Il Segretario assicura che “al riparo dai riflettori” i tavoli dell’Unione stanno conseguendo risultati “incomparabilmente migliori” di quel che le esternazioni di tanti dirigenti dell’Unione lascerebbero pensare. Ma perché non se ne sa nulla, mentre sul ritiro delle truppe italiane le maggiori forze del centrosinistra ribadiscono che “non si può fare come Zapatero” e sulle leggi-vergogna di Berlusconi ripetono che non vanno abrogate ma “migliorate”? In tema di politica economica Bertinotti ha detto che non accetteremo una “politica dei due tempi” (prima il risanamento, poi - eventualmente - una politica espansiva di rilancio dei redditi e della spesa). Prendiamo atto di questo impegno e restiamo in attesa della risposta che otterrà da parte del centrosinistra. Ma alla luce di quanto si è sin qui prodotto nella vicenda complessiva dell’Unione, non può certo trattarsi di un’attesa fiduciosa.

Salvatore Cannavò
Mi sembra che la relazione del segretario produca una ricontestualizzazione analitica della fase, una maggiore centratura sul partito ma che tutto questo sia in contrasto con il mantenimento di una linea che comincia a mostrare molte difficoltà. Le difficoltà sono rese evidenti dall’offensiva moderata e centrista che va compresa nei suoi tre aspetti: quella reazionaria del governo, che punta a un’offensiva ideologica e identitaria attorno ai valori religiosi e al patriarcato; quella sociale di Confindustria che si posiziona a metà tra centrodestra e centrosinistra e attende il ripristino della concertazione, con la complicità di Cgil, Cisl e Uil; quella centrista all’interno dell’Unione che, dall’Iraq alla scuola-azienda, ipoteca pesantemente il programma del governo futuro. Ovviamente, per il progetto che stiamo avviando è quest’ultima a preoccupare maggiormente. A questa offensiva centrista oggi contribuisce fortemente il quadro europeo con la Grosse Koalition tedesca e la situazione ambigua in Francia. L’ipotesi di un condizionamento da sinistra di forze pesantemente compromesse con il capitalismo - si pensi all’immoralità del caso Bologna o alla Val di Susa - non regge e questo provoca un’impasse in una linea che non si è data alternative e che rischia di finire in un vicolo cieco. Certo, condizionamenti e spostamenti sono possibili, soprattutto se si verificano lotte di massa, ma questo può bastare a governare? Per questo pensiamo che la linea da noi proposta al congresso sarebbe la più efficace.
Questa difficoltà è figlia non solo della situazione politica ma anche del risultato delle primarie che hanno premiato Prodi e consentono oggi, a lui e alle forze dell’Ulivo, di stare all’offensiva. Oggi, anche per reagire a questa condizione, si propone di realizzare un programma di Rifondazione per le elezioni che si affianchi al programma dell’Unione. Mi auguro che non sia però il “programma della domenica” a cui la storia del movimento operaio ci ha abituato e che tanti danni ha fatto.
Giudico molto negativamente, invece, l’idea di utilizzare il movimento per spostare a sinistra la coalizione di centrosinistra: il movimento va costruito rispettandone l’autonomia e contribuendo alle sue vittorie. Tra le tante priorità del momento vale la pena sottolineare il tema della pace, con una posizione rigorosa sul ritiro delle truppe dall’Iraq ma anche per il ritiro di Israele dai territori occupati, vera parola d’ordine decisiva per reagire all’offensiva delle fiaccolate. Ma va segnalata anche l’offensiva integralista di Chiesa e governo contro le donne che richiede a noi un di più di iniziativa così come anche una rivendicazione dell’anticlericalismo che appartiene alla nostra cultura politica.
Infine, sulla sinistra alternativa. Il progetto di fondo ci ha sempre interessato ma non si può non vedere che questa iniziativa prende corpo mentre si realizza la prospettiva di governo e questa influenzerà l’intero progetto. Quanto all’ipotesi di una sezione italiana del partito della sinistra europea poniamo tre condizioni: che la sinistra europea sia alternativa alla sinistra riformista e quindi fuori dall’Unione; che non prefiguri nessuna ipotesi di scioglimento del Prc ma che anzi ne produca una valorizzazione; che l’allargamento a figure e soggettività esterne sia funzionale al conflitto sociale e significativo sul piano delle pratiche.

Mimmo Caporusso
Ho ascoltato con interesse e grande apprezzamento la relazione del segretario nella sua parte introduttiva, nella quale ci si richiamava alla necessità di ricalibrare l’azione del partito a partire dalla centralità del lavoro: assistiamo ad un continuo attacco alla capacità salariale del lavoro dipendente; ad un aumento esponenziale - anche grazie alla Legge 30 - della precarietà e della flessibilità; siamo di fronte alla derubricazione dall’agenda politica della questione sicurezza sui luoghi di lavoro e, negli ultimi giorni, abbiamo assistito al varo definitivo dello scippo sul Tfr in favore dei fondi pensione integrativa. Obiettivo delle politiche neoliberiste è l’attacco al contratto nazionale del lavoro e il Prc deve rimanere vigile. Di fronte a questo quadro deve essere rafforzata l’iniziativa del Partito, e lo si dovrà fare a partire dallo sciopero metalmeccanico del prossimo 2 dicembre. Purtroppo ancora vaghi rimangono i punti programmatici del futuro governo di centro sinistra. In tal senso bene ha fatto il segretario a ricordare che nessuna politica dei due tempi può essere accettata dal Prc: ritiro delle nostre truppe dagli scenari di guerra e di occupazione militare, politiche di redistribuzione della ricchezza e difesa/rilancio dei diritti del lavoro dovranno rappresentare l’orizzonte in cui muoversi.
Mi avvio a concludere su un ultimo punto: la costruzione della Sinistra d’alternativa. Un obiettivo sulla cui necessità conveniamo da sempre. Siamo d’accordo anche sulla necessità di offrire adeguata rappresentanza parlamentare ad indipendenti rappresentativi delle lotte sociali e politiche. Ma allo stesso tempo non dobbiamo pensare che questo percorso sia in contrasto con l’autonomia del partito. Così come sbaglieremmo ad identificare la Sinistra d’alternativa con la più ristretta - seppur legittima - costruzione della sezione italiana della Sinistra Europea, nei confronti della quale rimaniamo critici per il suo carattere escludente.

Milziade Caprili
Vorrei concentrare la mia attenzione sul cuore della proposta che il segretario ha presentato a questo Cpn. Bertinotti ha definito la costruzione della sinistra di alternativa come sezione italiana del partito della sinistra europea il compimento ragionevole ed importante di un percorso. Proprio però il carattere finalmente di costruzione di una soggettività politica come quella proposta impone una discussione di cui siano evidenti i presupposti. Per quello che mi riguarda il presupposto, la stessa fattibilità di un’ipotesi come quella in campo è anche il risultato del nostro lavoro. Così come segnala la nostra scommessa su una valutazione dinamica della situazione e non di semplice difesa delle prerogative del partito. Non si tratta, in sostanza come pure qualcuno ha detto di un modo di sortire da una situazione difficile e di nostra debolezza ma l’esatto contrario.
Quello su cui mi interrogo è anche a quale punto di convergenza sia la nostra analisi dei processi intervenuti. Credo che non guasterebbero un po’ più di lucidità e di ottimismo.
Sono accadute e stanno accadendo cose importanti dalle primarie agli scioperi, alle lotte contro la Tav alle eccezionali iniziative nelle scuole e nelle università. Così come il programma dell’Unione sta sostanzialmente marciando. Questo vuol dire forse che ci siamo nascosti e ci nascondiamo difficoltà? Basterebbe aver sentito i problemi che Bertinotti ha posto e sulle lotte e la loro connessione e sui tentativi ritornanti per quanto riguarda l’annacquamento di quella che noi riteniamo una necessaria radicalità del programma dell’Unione. Non vorrei - e questo riguarda tutti noi - che facessimo vivere al partito questo compimento ragionevole ed importante di un percorso come una sorta di accrocchio elettoralistico. Così non è ed anzi può rappresentare per la stessa vita del partito una necessaria e costante apertura e cambiamento di cui sentiamo tutti un gran bisogno.

Aurelio Crippa
Con la nuova legge elettorale è cambiato lo scenario delle modalità dell’agire politico, tanto da rendere superato il recente congresso (condivido il suo riaggiustamento posto nella relazione).
Le primarie: non sottovaluto la partecipazione, occorre interrogarsi sul perché oltre il 75% del tuo popolo non vi ha corrisposto, non accogliendo, così si è detto, un’istanza di partecipazione decisionale democratica.
Il suo lascito non è esaltante: segnala la sconfitta della opzione politica da noi avanzata con la candidatura di F. Bertinotti, espressione e riferimento della sinistra di alternativa, per spostare a sinistra l’asse dell’Unione.
I programmi, nostro e dell’Unione: trovo finalmente percepita la tesi che da tempo ho sostenuto, ponendo così fine ad una discussione interna fuorviante e che abbiamo pagato anche con lacerazioni.
Bene il nostro programma, che deve essere centrato sulla distribuzione del reddito (aumento delle retribuzioni reali per salari e pensioni ed interventi diretti a colpire le rendite, l’evasione, la speculazione) e che vada nelle direzione della costruzione del programma fondamentale ( il Partito nel suo assieme deve essere coinvolto nella sua definizione).
Per quello dell’Unione, condivido la non accettazione della politica dei due tempi.
Non conoscendo il merito di quanto sin’ora prodotto, registro il giudizio dato nella relazione e rilevo però una contraddizione contenuta, quando si afferma che «importanti avanzamenti su punti generali e specifici non trovano riscontro rispetto al dibattito pubblico dell’Unione». (perché?)
Una sezione italiana del Partito della Sinistra Europea, di cui il Prc ne è parte come soggetto autonomo: condivido la proposta e chiedo una discussione di merito del Cpn e del Partito.
Alla Direzione, il Segretario F. Bertinotti, ha affermato che siamo in presenza, nel Partito, di «una incomunicabilità che rischia di farsi estraneità».
A tal punto siamo giunti?
Che aspettiamo: urge, prima della campagna elettorale, la Conferenza d’Organizzazione, per porre l’insieme del Partito al meglio per affrontare lo scontro politico già in atto.

Alberto Deambrogio
E’ ancora chiara nella mia memoria l’emozione provata durante l’assemblea dell’altra sera in Val di Susa con una amplissima partecipazione del movimento che si oppone al Tav. La passione, l’emozione, sono elementi importanti di qualsiasi movimento. Tra di noi, però, dobbiamo cercare di depurare la discussione su questo punto da qualsiasi tentazione di piegarla ad esigenze di dibattito politico interno. Dobbiamo, cioè, elaborare un’analisi per quanto possibile lucida se vogliamo aiutare quel movimento che ci sta così a cuore. Il Prc piemontese, con un atteggiamento unitario che ho apprezzato molto, ha condotto la sua battaglia contro il Tav senza proporsi come elemento egemonico, ma invece lavorando all’interno di un movimento che si è sedimentato per lungo tempo, acquisendo saperi, analisi, modalità di lotta nonviolente e unità con gli amministratori locali. Una comunità autoconsapevole si è costituita e sta ponendo, fuori dai suoi stretti confini, domande cruciali che riguardano l’intero modello di società, nonché la tenuta di un sistema democratico degno di questo nome.
Noi abbiamo esercitato un ruolo attivo in questa vicenda a tutti i livelli compresi quelli istituzionali. Il Gruppo regionale, in particolare, ha svolto una importante funzione in condizioni difficili, senza mai rinunciare al principio di contrarietà all’opera. Siamo parte della maggioranza guidata da Bresso, ma anche punto di riferimento riconosciuto presso i movimenti. Sono questi, d’altro canto, a chiederci un aiuto concreto al di là delle appartenenze politico partitiche. Ci chiedono di non rinunciare ad una battaglia complessiva per salvare il patrimonio di una democrazia sostanziale intesa come spazio pubblico riconosciuto ed agibile per tutti. Se noi avessimo scelto semplicisticamente di rompere con l’attuale maggioranza la situazione sarebbe forse migliore? Avremmo avuto una marginalizzazione del Prc, una sterilizzazione del suo ruolo e, cosa peggiore, la difficoltà del movimento che tutti diciamo di guardare come la pupilla dei nostri occhi. Questa ultima impostazione è cara, non a caso, ai vari poteri forti (economici e politici) che vogliono il Tav a tutti i costi. Il nostro compito è quello di lavorare per allargare e alimentare il movimento, utilizzando tutti gli strumenti politici tattici e strategici più consoni alla sua tenuta e al suo sperato successo finale.
Infine, la proposta politica centrale avanzata oggi dal Segretario mi vede favorevole per due ordini di motivi principali. Da un lato essa rende concreto il lungo lavoro preparatorio intorno all’ipotesi di aggregare una sinistra di alternativa, dall’altro essa si presenta come una scelta chiara negli intenti e assolutamente aperta ad accogliere nuove soggettività intorno ad un nucleo iniziale.

Salvatore Distefano
Il successo dello sciopero del 25 novembre testimonia la volontà dei lavoratori e delle lavoratrici di cacciare il governo del “massacro sociale” e, al tempo stesso, riafferma la centralità dei temi del lavoro, coniugata con la difesa dello “stato sociale” e dei settori più poveri e emarginati. Il Partito, dunque, per assolvere al proprio compito dev’essere capace di unire all’analisi la pratica di massa, nella prospettiva dell’alternativa. Ciò vuol dire far vivere tra le masse e nei movimenti un programma, che dica innanzitutto “No alla guerra senza se e senza ma” e che difenda le conquiste sociali cancellando le “leggi vergogna” (tra noi e il moderatismo dell’Unione vi sono chiare difformità) del centro-destra, in un contesto molto difficile e che ha come passaggi significativi l’attacco alla 194 e alla Costituzione. E’ necessario, pertanto, unire la sinistra di alternativa creando uno schieramento più ampio senza smarrire l’identità comunista, dando vita ad un confronto fecondo per l’egemonia, per contrastare la destra e per evitare che rimanga il berlusconismo senza Berlusconi. Non mi convince, invece, la proposta sulla Sinistra Europea, che è altra cosa dalla sinistra di alternativa, perché si rischia la dissolvenza dei comunisti, proprio quando occorre avvalorare l’azione del Partito. La nostra iniziativa risulta ancora più decisiva al Sud come dimostra la mobilitazione in Sicilia a sostegno di Rita Borsellino, che incarna fulgidamente la lotta al sistema di potere mafioso: battere la mafia è, infatti, condizione indispensabile per affermare la democrazia e lo sviluppo.

Gianni Favaro
Penso debba essere sostenuta la proposta avanzata dal Segretario e decidere che il nostro partito dia vita subito alla sezione italiana della Sinistra Europea come base per la costituzione della Sinistra di Alternativa. Ne vedo tutti i limiti di impianto e i rischi per la tenuta del Partito ma penso, altresì, che, se non tentassimo di allargare ora il nostro orizzonte politico, limiti e rischi si tramuterebbero in marginalizzazione. Il difficile stato del Partito, lo scarso radicamento in cui versa determinano veri impedimenti da cui siamo attraversati, trasversalmente rispetto al congresso. Non “facciamo egemonia” né ci radichiamo nei movimenti in campo (a Torino in grande fermento - Fiat e No Tav), nei quali pure siamo presenti e attivi, tesseramento e iniziativa politica stentano. Come garantire la nostra autonomia nel Governo in cui ci apprestiamo ad entrare? Come rappresentare le istanze del movimento operaio, della pace per evitare che un auspicabile governo Prodi faccia pagare i danni delle politiche iperliberiste di Berlusconi a salari e pensioni?
Perciò abbiamo bisogno di un partito che superi il congresso nella sua gestione, senza dover rinunciare ai punti politici che l’hanno caratterizzato. Non cogliere i cambiamenti della fase sarebbe dannoso e inutile. Il partito della Sinistra Europea purtroppo è nato sulla divisione delle forze anticapitaliste su un impianto moderato e filo europeista. Ma la proposta di Bertinotti riguarda il modello di organizzazione della Sinistra di Alternativa in Italia, necessaria e non più rinviabile.
Chiedo due cose: 1 - che l’autonomia e l’esistenza del nostro Partito non vengano messe in discussione ma, anzi, si potenzi radicamento e rafforzamento attraverso l’unità interna, nella chiarezza della linea e nella libertà di dibattito, a partire dai gruppi dirigenti (segreteria nazionale compresa) quale valore primario e che la formazione dei nostri gruppi parlamentari tenga conto di ciò in modo adeguato, senza mortificare, com’è stato fin ora, il nostro dibattito interno 2 - che i candidati della SE che a vario titolo verranno proposti dal Partito siano espressione dell’insieme dalla Sinistra di Alternativa senza veti né chiusure.

Marco Ferrando
La relazione di Fausto Bertinotti rimuove la realtà. I veri tavoli programmatici non sono quelli formali dell’Unione che si occupano della confezione della merce. Sono quelli che sfornano la merce: sono i convegni dei Ds con le platee degli industriali, i summit della Margherita con il gotha dei banchieri, la fitta rete di incontri di Romano Prodi con gli esponenti della Confindustria. Sono quelle le vere primarie di programma, in cui i diversi attori del Centro liberale si disputano i favori dei poteri forti e si candidano a loro rappresentanza. Il programma che annunciano è ormai un fatto pubblico: un programma di intesa transatlantica con gli Usa in politica estera e di stretta sociale in politica interna. Dopo l’investitura popolare delle primarie, Prodi annuncia ormai pubblicamente un piano di “riforme impopolari” e di sacrifici al servizio del rilancio del capitalismo italiano sul mercato mondiale. Per questo ha bisogno di coinvolgere nel futuro governo il nostro partito e l’insieme delle sinistre. Esattamente perché deve disporre di ammortizzatori politici per proteggere le proprie controriforme da possibili reazioni sociali. Esattamente perché deve fornire alla burocrazia Cgil la copertura politica per il ritorno alla concertazione e alla pace sociale.
Chi pensa che questa nostra corresponsabilità sarà “impossibile” non guarda la realtà di oggi. Neppure l’annuncio da parte di Prodi di una nuova stagione di sacrifici riesce a smuovere la nostra permanenza nell’Unione. Neppure le aggressioni da parte delle giunte di centro sinistra contro movimenti e mobilitazione popolari come in Piemonte e a Bologna riescono a scalfire la nostra permanenza nelle giunte. Perché dovrebbe accadere domani ciò che non accade oggi?
Riconosco una paradossale coerenza alla proposta di costituire la sezione italiana del Partito della sinistra europea. Non è la proposta di “una sinistra alternativa” che o è alternativa al sistema o non è. E’ invece la proposta di una rifondazione socialdemocratica del 2000: la proposta di unire attorno a se tutte le forze disponibili ad occupare lo spazio della sinistra dell’Unione, dentro le compatibilità del compromesso di governo con i liberali; uno spazio che la mutazione liberale dei Ds ha lasciato scoperto. I settori dirigenti della sinistra Ds che a noi si avvicinano plaudono a questo disegno. Ma è per questo che è nato il Partito della Rifondazione comunista quasi quindici anni fa?
E’ necessario che il corpo del partito reagisca a questa deriva. Una ricollocazione del Prc al governo con i poteri forti sarebbe di fatto in contraddizione frontale con tutte le migliori ragioni che il nostro partito ha raccolto nella sua storia di opposizione. Non è possibile rassegnarsi allo scioglimento di un’opposizione comunista e di classe in Italia. Non è possibile privare di un riferimento alternativo e autonomo le inevitabili reazioni di lotta a un governo di lacrime e sangue che Prodi già oggi annuncia.

Francesco Ferrara
Il passaggio politico che il segretario ci ha proposto - e che sta nel solco della nostra linea e pratica politica - merita il dibattito in tutto il partito. La costruzione di un nuovo spazio politico come fondamenta per la sinistra d’alternativa raccoglie la dinamicità delle relazioni che abbiamo fin oggi intessuto. Guardiamo ad esempio lo sforzo compiuto dalla Fiom sul terreno della democrazia sindacale e per una nuova politica contrattuale e rivendicativa, lotta che non è più solo dei metalmeccanici ma anche del pubblico impiego e dei lavoratori della scuola. Oggi posso dire a ragione che quella lotta è più forte e si diffonde anche grazie al nostro sostegno. Ed è con quanti si rimettono in discussione in una nuova ricerca della politica che dobbiamo costruire il nuovo spazio politico. C’è un momento che guarda all’organizzazione della sezione italiana della S. E., ma è il presupposto politico, ovvero il movimento antiliberista e anticapitalista, il vero fulcro della proposta.
Sullo stato del partito stento a comprendere le valutazioni catastrofiste. Siamo riusciti ad attivarci capillarmente per le primarie, con l’entusiasmo e il lavoro politico di migliaia di militanti. Le primarie sono state un’occasione per sostanziare relazioni con altri soggetti della sinistra. Come si fa a non vedere? Quanti hanno aderito al nostro progetto politico proprio in occasione di quella campagna?
Il partito è in ogni conflitto con una generosità enorme. Ed è davvero fastidioso sentir parlare tra noi dello stato del partito con lo stesso atteggiamento col quale si tratta un “affare altrui”. In che cosa si sostanzia il radicamento che tutti richiamano? Il radicamento è inteso o no come capacità di agire nelle lotte ben oltre il piano della mobilitazione dell’opinione pubblica? Ovvero radicamento come capacità di sentire nel profondo il disagio sociale, fare inchiesta come conflitto, assumendo una cura dell’iniziativa quotidiana del partito guardando a risultati e obiettivi. Ma finché la nostra discussione è viziata da posizioni precostituite radicare il partito è difficile. Il passaggio della costruzione della sezione italiana della S. E., proprio perché prova a riunificare le soggettività a partire dai contenuti, è un modo per rafforzare il partito, evitando i pregiudizi. Dobbiamo volerlo, lo dico a tutti, dobbiamo volerlo fino in fondo, altrimenti condanneremo noi stessi a rimanere immobili di fronte alle sfide della società.

Paolo Ferrero
L’offensiva neocentrista in corso da mesi è la risposta moderata all’efficacia della nostra linea politica. Questa offensiva ha il suo motore in Confindustria e nel governo europeo, ma è possibile sconfiggerla. In particolare due sono i punti su cui fare leva.
In primo luogo il programma dell’Unione. A me pare del tutto evidente che non è possibile scrivere un programma di alternativa ma è alla portata un programma che ridistribuisca potere e diritti, rafforzando la possibilità di costruire il movimento. Ad esempio l’aver conquistato sul Tavolo del lavoro che: “per contrastare la tendenza al lavoro nero, occorre garantire il permesso di soggiorno a ogni immigrato che denunci la propria condizione di lavoro irregolare” - per non fare che un esempio - è un risultato che può rafforzare di molto sia la forza dei migranti che del movimento dei lavoratori in generale. Il rafforzamento dei movimenti è l’obiettivo a cui finalizzare il nostro intervento nel cielo della politica, nella consapevolezza che le divisioni con l’Ulivo sono strategiche, Per questo la nostra azione deve servire a modificare i rapporti di forza e nel contempo a costruire i canali attraverso cui il conflitto sociale possa incidere nella sfera della politica.
In secondo luogo l’aggregazione della sinistra di alternativa. Sono 10 anni che ne parliamo, finalmente adesso arriviamo a dare una forma a questa proposta con la costruzione del Partito della Sinistra Europea in Italia. Una costruzione plurale, in cui noi ci stiamo come Rifondazione Comunista, altri ci staranno con le loro organizzazioni o in quanto singoli. Non un nuovo partito - l’età dei partiti unici è per fortuna conclusa - ma una aggregazione stabile di soggettività diverse che costruiscano un punto di aggregazione per tutti coloro che si pongono sul terreno dell’alternativa. Costruire questa aggregazione, nazionalmente e sui territori, è il compito principale in questa fase.

Claudio Grassi
Vedo il rischio che si dia per scontata la vittoria su Berlusconi, che è invece ancora tutta da costruire, sollecitando il centro-sinistra affinché offra un profilo nettamente alternativo al centro-destra e preparando una forte campagna elettorale di Partito attraverso alcune proposte avanzate.
In questo contesto si colloca la discussione programmatica nell’Unione. Sulla valutazione che diamo del livello raggiunto da questo confronto vi è tra noi il vero punto di divergenza politica.
In politica estera: Prodi sostiene che non è previsto alcun ritiro dei militari italiani dall’Afghanistan e che il ritiro dall’Iraq non sarà come quello di Zapatero. Il documento dell’Unione dice che le forze da inviare per sostituire le truppe avranno il compito di aiutare il governo iracheno a completare la transizione democratica! No, in Iraq non è in corso alcuna transizione democratica, vi è un governo illegittimo che si sorregge solo grazie alle truppe di occupazione! E che dire della partecipazione di quasi tutta l’Unione alla manifestazione promossa dal Foglio? E’ inderogabile farci promotori, con altri, di una grande iniziativa di solidarietà con il popolo palestinese.
Anche in politica economica la situazione è ardua. Dove verranno reperite le risorse per rientrare nei programmi di riduzione del debito? Non vorrei che ad essere colpiti, come si intravede in alcune dichiarazioni di Prodi, fossero ancora una volta le classi lavoratrici.
Queste valutazioni sono tali da indurci a non ritenere che vi siano ad oggi le condizioni per dare per scontato il nostro ingresso nel governo nazionale.
Infine, sulla costruzione della sinistra europea come sinistra di alternativa: manteniamo un giudizio critico nei confronti del Pse perché non unisce la sinistra di alternativa europea.
Detto questo è legittimo che chi ha condiviso questo progetto cerchi di svilupparlo e insediarlo sul territorio; vedremo cosa si determinerà concretamente. Intanto ci preme sottolineare che:
a) siamo contrari a qualsiasi operazione che metta in discussione l’autonomia politica e organizzativa del Prc. Continuiamo a ritenere che vi siano tutte le condizioni per crescere organizzativamente ed elettoralmente. Si tratta semmai di affrontarne con urgenza, attraverso una conferenza nazionale d’organizzazione, i gravi problemi di funzionamento e di radicamento;
b) riteniamo un errore associare la sinistra europea alla sinistra di alternativa. La sinistra europea può essere rappresentativa di alcuni settori della sinistra di alternativa ma sappiamo bene che altri settori, altrettanto importanti (partiti, pezzi di partiti, giornali, movimenti e associazioni), non entreranno mai nella sinistra europea. La riduzione della seconda alla prima è un errore dal momento che è per noi strategico, assieme alla costruzione del partito, lavorare per la più ampia sinistra di alternativa, proponendoci di tenere insieme, sui contenuti, tutte le forze che hanno sostenuto il referendum per l’estensione dell’articolo 18.

Franco Grisolia
Il compagno Bertinotti ha fatto riferimento nella sua relazione, rispetto ad un futuro governo dell’Unione, alla centralità della sua politica nella prima fase ed in particolare nei primi cento giorni. Sono parole che abbiamo già sentito nel 1996 e sarebbe giusto andare a confrontare il libro dei sogni di quel programma che avanzammo allora e la realtà dei risultati (finanziarie lacrime e sangue, pacchetto Treu, Cpt, privatizzazioni, etc). Certamente ripeteremo questa triste esperienza. Perché, cosa che è chiara, in particolare per dei marxisti, la realtà è sovradeterminata dalla crisi sociale mondiale del capitale e dalla imprescindibile realtà della necessità per esso della lotta contro la classe operaia per il recupero e la salvaguardia dei margini di profitto.
In questa situazione il gioco dell’alternanza tra centro-destra e centro-sinistra è il normale quadro di regime per il capitale in tutto il mondo. Noi stiamo per entrare a far parte di questo regime. E’ in questo quadro che va vista anche la questione del Partito della Sinistra Europea ( e della sua sezione italiana). L’asse si cui nasce è un asse governativo: il tentativo non di utilizzare la classe e i movimenti in funzione di un’alternativa contro la borghesia, ma recuperarli al fiancheggiamento del centrosinistra o di una “sinistra plurale” con funzioni analoghe nei vari paesi europei.
Un alternativa è possibile e necessaria, quella di un progetto anticapitalistico per la classe e i movimenti che veda la riaffermazione del ruolo di un vero partito comunista (quindi in netta rottura di principio con la tradizione stalinista dei Pc ufficiali, ma dal versante del recupero del marxismo rivoluzionario di Lenin, Trotsky e Luxemburg, non da quello della socialdemocrazia) in lotta per l’egemonia; che proponga all’insieme della sinistra politica e sociale la rottura con la borghesia e la propria costituzione in un polo autonomo di classe.

Enzo Jorfida
Condivido la proposta di porre il lavoro come questione fondamentale e programmatica.
Le lotte dei lavoratori metalmeccanici per il contratto collettivo nazionale sono un punto di riferimento per superare l’inadeguatezza dell’agire del Sindacato in Italia e in Europa.
Venerdì 25 lo sciopero generale Confederale è stato visto, giustamente, dalle forze politiche come sciopero contro le politiche del Governo:ed in piazza e nei cortei abbiamo visto i dirigenti di tutti i partiti che compongono l’Unione.Dobbiamo fare in modo che a fianco dei lavoratori metalmeccanici il 2 dicembre vi siano tutte le forze dell’Union e che questo non sia un dato solo nazionale ma anche locale.Dobbiamo lavorare razionalmente e localmente perché si costruiscano queste condizioni,se vogliamo bloccare l’offensiva padronale contro i lavoratori,i loro diritti,le loro condizioni.
Il ns Partito nel corso del 2005 è stato esposto,è stato visibile in modo concreto e ampio almeno in 3 grandi occasioni:A) i congressi di circolo fino al congresso nazionale (gennaio-marzo) B)le elezioni regionali (maggio) C) le primarie dell'Unione (ottobre).
Dovrei ritenere,e me lo auguro vivamente,che questa grande visibilità esterna e vivacità interna abbiano,alla fine di questo 2005,portato ad un incremento del n° degli iscritti e delle iscritte rispetto al 2004. Faccio un ragionamento sul tesseramento (dati non ne conosco però, neanche parziali),sulla nostra forza organizzata perché credo che avremo bisogno di tutta la nostra forza organizzata sia nella battaglia politica interna all'Unione( che ritengo ancora aperta nella definizione di una bozza di programma unitario) sia nella campagna elettorale che a fine febbraio ufficialmente si aprirà per le elezioni politiche 2006, leregionali in Sicilia e per le amministrative in centinaia di Comuni grandi e piccoli.Una forza che noi dobbiamo mettere in campo in modo adeguato ( e mi domando e domando se oggi riteniamo di essere adeguati ai problemi che dovremo affrontare per ottenere risultati elettorali più che buoni).
Il nuovo sistema elettorale per le politiche 2006,molto diverso da quello in vigore ancora oggi ma per pochi giorni,non prevede solo una competizione fra coalizioni,ma anche fra forze di una medesima coalizione. I consensi elettorali che si coglieranno non serviranno solo per definire il numero dei rappresentanti di ogni coalizione e partito nel Parlamento,ma anche i rapporti fra i partiti nel Paese e nel Parlamento.Abbiamo la necessità,e credo che tutti la cogliamo,di avere un partito forte e unito sulle proprie opzioni programmatiche, sulla composizione delle liste e nella direzione politica.
Anche dopo le elezioni,che spero positive per noi,per un parlamento ed un governo diversi da oggi,la nostra lotta politica,per costruire una società diversa,continuerà. Il nostro orizzonte non si esaurisce con una o più di una campagna elettorale.Dovremo saper tener distinto il ruolo del Partito nel Parlamento da quello nel Paese.Sino a che permarranno disuguaglianze e differenze di classe permarrà una forza comunista.Questa forza la dobiamo curare e far crescere sempre di più.All'inizio di questo 2005 abbiamo fatto in poco più di un mese congressi in tutti i Circoli e in qualche settimana quelli di Federazioni.Credo ci siano spazi,tempi e necessità per fare una conferenza d'organizzazione e programmatica che dia vigore e forti motivazioni per portare avanti in modo più che positivo gli impegni che ci aspettano,compreso quello non secondario del referendum per dire NO (insieme a tante altre forze politiche,sociali e culturali) alla contro-riforma della Costituzione.

Alessandro Leoni
Non raccoglierò la bonaria provocazione di quei compagni, fra gli altri il neosegretario regionale toscano, che hanno sollecitato ad esprimersi circa la così detta “sezione italiana della Sinistra europea” per il semplice motivo che al di là dell’etichettature la sostanza dell’iniziativa non ha subito mutamenti tali da giustificare reciproci ripensamenti rispetto a quanto ci siamo detti in sede congressuale. Voglio, invece, concentrare l’attenzione sul tendenziale, progressivo palesarsi di una inquietante vocazione ipermoderata espressa dai maggiori esponenti, dirigenti dell’area maggioritaria dell’“Unione”. Non mi riferisco esclusivamente a Prodi quanto soprattutto ai dirigenti massimi dei Ds e della Margherita. Le dichiarazioni fortemente ambigue sul ritiro delle truppe italiane in Iraq (Fassino, Rutelli, ecc.), sulla permanenza dell’impegno bellico italiano in Kossovo, Afghanistan, ecc… unite a tutta un’altra serie di “perle” (dal “processo a Mussolini” dell’ineffabile M. D’Alema, al necessario “rigore” economico-finanziario di Amato, Bersani & C.) non possono essere rimosse da più o meno enfatiche dichiarazioni sull’ottimo lavoro dei nostri (fra parentesi: chi sono e, soprattutto, chi ha deciso i loro nomi?) compagni nei “dodici” tavoli ufficiali che istruiscono il futuro “programma” della, composita, coalizione. E ciò non per mancanza di fiducia e stima nei confronti dei soprannominati compagni. Del resto l’ottimismo di maniera, riproposto anche in questo Cpn non trova giustificazione alcuna in un’ Europa segnata dallo “stato d’eccezione”, con relativo coprifuoco, in Francia, la Grosse Koalition in Germania e, non per ultimo, con l’adesione della sinistra, compresi esponenti di rilievo della costituenda “sezione italiana” di quella “europea”, alla manifestazione, bipartisan, filo-sionista di poche settimane scorse.

Graziella Mascia
La questione della rivolta nelle periferie francesi ha in sé una complessità che va oltre la condizione sociale. Esiste una difficoltà persino di comunicare con quei giovani, anche da parte dei partiti della sinistra, compresi Pcf e Lcr. Vi sono almeno due elementi che meriterebbero una riflessione, e cioè il concetto di integrazione, che consideriamo sbagliato perché non contiene un riconoscimento dell’altro, dal punto di vista culturale e il rapporto di questi giovani con le istituzioni.
Se giovani immigrati di seconda e terza generazione si sentono esclusi, dentro una storia come quella francese chiederebbe quanto meno di ripensare la categoria dell’integrazione, e i problemi non riguardano solo la precarietà o l’organizzazione urbanistica delle periferie che ha determinato dei ghetti. Ha ragione Bertinotti nel sostenere che sarebbe grottesca una risposta sicuritaria, ma il punto è esattamente questo, che la gestione sicuritaria dei fenomeni giovanili è precedente, anche negli anni del governo di sinistra, con legislazioni che risolvono ogni problema con sanzioni penali e con un rapporto tra i giovani e lo stato che passa attraverso il poliziotto che insulta.
Il ruolo che svolgiamo come Prc in tante situazioni, come nella vicenda bolognese, è per noi positivo da diversi punti di vista e ha a che fare con il rapporto delle istituzioni con il conflitto sociale e a come stiamo costruendo il programma dell’Unione con i movimenti.
La questione diritti e democrazia partecipata sono giustamente al centro del progetto politico per la sinistra alternativa che oggi subisce una accelerazione importante con la costruzione della sezione italiana della sinistra europea.
I tempi proposti dal segretario sono brevi, il percorso deve essere curato con attenzione. Se l’adesione individuale alla Sinistra europea ha avuto tanto successo, deriva naturalmente dalla respiro nazionale con cui affrontiamo ogni vicenda quotidiana, ma anche dalle pratiche che abbiamo sperimentato. Ci sono diverse ragioni per cui centinaia di persone, intellettuali e soggetti di movimento non aderiscono a Rifondazione comunista ma alla Sinistra europea, dunque non possiamo considerare questi iscritti appendice del partito. Si tratta dunque di riconoscere la pari dignità, come viene indicato dalla relazione, a soggettività diverse che hanno lo stesso progetto.

Roberto Musacchio
Interverrò su un solo tema, ripercorrendo intorno ad esso i punti della relazione di Bertinotti che condivido molto. Il tema è la Bolkestein, la “maladirettiva” che ci vede impegnati in una lotta europea per il suo ritiro.
Proprio sulla Bolkestein misuriamo il valore di una idea alternativa di Europa, laddove essa è precisamente la trasformazione del modello sociale europeo in dumping e costruzione di multinazionali che operano fuori e dentro il continente. Questa lotta si avvale fortemente dello strumento Partito della Sinistra Europea, vede protagonista il Gue, si lega in movimenti altermondialisti e sindacali. Vale per l’Europa, vale per l’Italia. C’è qui da noi uno schieramento importante che va da Attac ai Cobas alla funzione pubblica Cgil e che parla anche di una nuova dialettica del sindacato e tra sindacato e Movimenti.
Questa lotta vede la sinistra alternativa non necessariamente minoritaria e testimoniale. Anzi, può essere vinta. Abbiamo visto la prova in queste settimane, un’operazione di grande coalizione, di stampo neocentrista, volta ad emendare la direttiva ma lasciandone la sostanza, il principio del Paese di origine. Vi hanno lavorato i socialisti europei, ed in Italia, settori del centro sinistra che hanno ricercato anche intese trasversali. Alla prova dei fatti il compromesso, cattivo, è stato travolto da destra. Torna dunque il tema di una lotta a fondo per il ritiro. E’ in queste lotte, concrete e di prospettiva, che si misura tutta la valenza del Partito della Sinistra Europea, nel suo agire internazionale e nella sua costruzione italiana che, proprio in queste esperienze, trae forza.

Alfio Nicotra
Sciopero, generale, manifestazione dei metalmeccanici, contestazione studentesca e degli insegnanti alle varie controriforme Moratti, la manifestazione dei migranti del 3 dicembre, i ragazzi di Locri, la rivolta antiTav in val di Susa, le mobilitazioni contro gli inceneritori e in difesa dei beni comuni. Possiamo dire che i movimenti in Italia esistono e si “muovono” ma non hanno - al momento - la forza di spostare da soli il quadro politico. Ha ragione Bertinotti quando dice che il nostro compito è quello di trovare una connessione tra i vari movimenti, un dialogo tra loro o meglio un linguaggio comune che alluda a un progetto comune. Abbiamo bisogno di più conflittualità sociale, di più vertenze e lotte per spostare un quadro politico che - pur contestando Berlusconi - non riesce ancora a rompere in modo profondo con le politiche neoliberiste.
Il quadro globale in cui anche i nostri movimenti si collocano è però confortante. Il fallimento definitivo dell’Alca al recente vertice di Mar del Plata non ha solo il valore di sconfiggere un programma voluto dagli Usa e dalle multinazionali che avrebbe fatto delle Americhe il più vasto mercato “libero” del mondo. Questa vittoria è più forte perché è in campo - per la prima volta - anche l’alternativa. L’allargamento del Mercosur, il progetto Alba, l’alternativa bolivariana delle America, dicono che un’altra integrazione economica è possibile. Per questo guardiamo con ottimismo al probabile fallimento - per la quarta volta consecutiva- del round del Wto che si svolgerà a Hong Kong. Un fallimento che può rappresentare una crisi irreversibile delle politiche neoliberiste così come le abbiamo conosciute negli ultumi due decenni.
Nel quadro globale c’è anche la crescente contestazione alla guerra all’Iraq nel cuore dell’impero: negli Usa. Per la prima volta i sondaggi dicono che il popolo degli Stati Uniti vuole il ritiro delle truppe e la fine dell’avventura militare. Ad esso si sommano alcuni fatti positivi che riguardano l’Iraq. La conferenza del Cairo ha deciso - mandando su tutte le furie gli Usa e parte del governo provvisorio - l’avvio di un processo di riconciliazione nazionale anche - ed è la prima volta - riconoscendo alla resistenza irachena un ruolo d’interlocutore politico. Di contro la stessa resistenza - forgiata dalla campagna per il no alla Costituzione e nelle strutture di opposizione civile- sta sempre di più prendendo le distanze da Al Qaeda e dal progetto terroristico e fondamentalista islamico essenzialmente importato in Iraq (come dimostrano gli scontri a fuoco di Ramadi tra i resistenti e gli uomini di Al Zarhawi).
Al tavolo dell’Unione sulla politica estera - a cui ho preso parte - abbiamo definito una posizione chiara sul ritiro dei militari italiani dall’Iraq: decisione unilaterale, rapida, come primo punto da far immediatamente assumere dal nuovo Parlamento. Il depistaggio mediatico fatto dal Pdci - che ha abbandonato il tavolo - è dettato unicamente dalla disperazione rispetto alla nuova legge proporzionale con il rischio concreto di non ottenere più una rappresentanza parlamentare. Riguardo all’Iraq sarebbe più utile organizzare una manifestazione nazionale per il ritiro delle truppe alla fine di Aprile, quando il nuovo parlamento dovrà pronunciarsi invece di “bruciarla” semplicemente per una manifestazione rituale in piena campagna elettorale per il terzo anniversario dell’inizio della guerra.
La proposta di Bertinotti di coinvolgere le associazioni della campagna “Cambiare si può” in una iniziativa comune per strappare risultati nel programma dell’Unione mi sembra corretta e utile. Salvaguardia l’autonomia dei movimenti e al contempo non sfugge alla necessità per gli stessi - e la nostra gente - di conseguire risultati concreti.

Vito Nocera
Val di Susa, Bologna, l’acqua, perfino Parigi parlano di una idea “rovesciata di governo” che sopporti, cioè, pena la crisi la della civiltà, dentro di se i conflitti. Quelli più consapevoli e quelli spuri, che sposti la stessa idea della legalità in avanti incorporandovi i bisogni nuovi, allargando socialmente e giuridicamente il campo della cittadinanza.
E’ il perimetro in cui collochiamo il tema del governo e la contesa del programma, ogni altro approccio mi appare inefficace, destinato alla sconfitta, soprattutto fuori dalla inedita, delicata, perfino a tratti inquietante condizione sociale del paese.
Altro che moderazione, la sfida è la più inedita e azzardata. La più radicale e non era scontato che si dispiegasse con al centro del confronto un interrogativo per tutti sulle domande del paese. Non solo proposte ma la sfida di domande forti. Retribuzioni, precarietà, calo dei consumi, le conseguenze gravi sull’economia e l’occupazione sono solo un problema nostro? E l’assillo per come evitare che il Sud venga saltato da ogni investimento? E dunque le politiche pubbliche di selezione dell’industria innovativa, la ricerca, i sistemi agricoli e ambientali, le infrastrutture sostenibili, l’impegno per sostenere il reddito di famiglie povere e disoccupati. E’ solo un problema nostro o una condizione cui se non dai una risposta non solo tu Prc, ma tu Prodi, tu Ds, tu Unione non ce la fai a governare il paese, a non frustarne aspettative, a sfuggire a rotture più profonde tra società e politica. Così come le cose che incrociamo sui governi locali, dalla Tav all’acqua, ai rifiuti stanno o no ormai dentro il confronto, non più derubricabili. E muovono forze, opinioni, alludono a grandi questioni di carattere strategico, all’idea che hai della società e del suo modello.
Siamo a un tornante decisivo e per questo che deve anche partire la strutturazione qui da noi della sinistra europea, dando voce e spazio a tante soggettività politiche e anche a quei mondi a volte prepolitici che la campagna delle primarie ci ha consentito di esplorare.

Giovanni Russo Spena
L’asse della fondazione della sinistra alternativa è il rapporto tra costruzione di relazioni sociali (per ricomporre i conflitti), inchiesta e progetto come punto unificante. Una potenza democratica che animi un nuovo spazio pubblico in rapporto con la partecipazione e le nuove municipalità. Sarebbe, infatti, deludente una mera raccolta di ceti politici oligarchici che non avesse radici nei conflitti sociali, nella fase in cui il liberismo è sempre più autoritario proprio perché in crisi e viene rimessa a tema la necessità della trasformazione anticapitalista. La deriva verso lo scontro di civiltà e l’emergenzialismo globale è, altrimenti, già segnata. La sinistra alternativa assumerà come centrale il tema della cittadinanza transnazionale, del cosmopolitismo, dello scontro di civiltà. La società meticcia, infatti, nasce da un vero e proprio mutamento di paradigmi. la stessa dislocazione del partito tra militanza sociale e lavoro teorico che ci obbliga alla centralità politica del tema delle migrazioni. Esse mutano la nostra stessa concezione dello Stato sociale, della vertenzialità sindacale (i nuovi proletariati o saranno meticci o non saranno). Ci parlano di precarietà, di svalorizzazione del lavoro e, insieme, di concezione sicuritaria e razzista della società.

Linda Santilli
In questi giorni, alla vigilia del voto di aprile, è sotto i nostri occhi un attacco contro la legge 194 di portata inusitata attraverso una serie di proposte esplicite: quella del segretario dell’Udc di istituzionalizzare la presenza dei militanti del movimento della vita nel consultori pubblici, poi quella di istituire una commissione parlamentare sul funzionamento della legge, l’impedimento a far entrare la pillola abortiva in Italia. Un pacchetto di misure volute dal centro destra e sostenuto a gran voce dal cardinal Ruini, con il consenso anche di una parte del centro sinistra per snaturare il senso della legge contro la libertà delle donne, che ci obbliga ad una riflessione attenta, puntuale, come sinistra, come femministe, come rifondazione su una serie di temi connessi tra loro che sono gli stessi nodi di fondo sollevati dalla legge 40. Una sconfitta grave quella dell’ultimo referendum, su cui troppo poco si è riflettuto, come se si fosse trattato di un incidente di percorso, e come se lì non si giocasse, come invece si è giocata, una partita grossa che andava al di là della difesa del principio di autodeterminazione femminile, toccando altri principi tra cui quello della difesa della laicità dello stato. L’uno principio e l’altro legati a filo doppio, calpestati, negati perfino in sede di parlamento. Anche così si può snaturare la costituzione, non necessariamente con un atto formale di modifica, ma nei fatti.
Il rischio è che prenda sempre più piede una cultura politica accondiscendente all’intromissione della Chiesa cattolica nelle vicende istituzionali interne, ora attraverso il cardinal Ruini, ora attraverso il Papa, senza che ciò desti allarme, come se fosse una cosa lecita.
C’è un vuoto assai grande che la Chiesa vuol colmare, un vuoto di politica, di cultura, di simbolico e proprio quelle masse disperse smarrite alla ricerca di certezze e miti identitari, rischiano di trovare lì una sponda a portata di mano, in grado di dispensare certezze e di offrire facile miti identitari, come quello dell’Europa cristiana.
Questo è il quadro in cui si inscrive la campagna contro la libertà delle donne.
A noi di rifondazione sta il compito di rilanciare una sfida alta a cominciare dalla campagna elettorale in difesa della 194 e per l’abrogazione della legge 40. Ma bisogna anche rilanciare una grande campagna politica e culturale laica, di sinistra, per la difesa del principio di laicità dello stato troppe volte violato, ed aprire un percorso di riflessione al nostro interno che ci interroghi sul nesso tra patriarcato contemporaneo, nuovi fondamentalismi, eurocentrismo, etnocentrismo, guerra.
Anche per questo abbiamo costituito all’interno dell’area nuovi diritti e politiche istituzionali del Prc, un gruppo di lavoro sul patriarcato, aperto ad uomini e donne iscritte/i e non iscritte/i, per avviare così una riflessione e una serie di iniziative, di cui c’è un grande bisogno.

Luigi Saragnese
Il compagno Bertinotti ci ha detto dei molti miglioramenti già avvenuti nella stesura del programma ai “Tavoli” tematici dell’Unione. Ma, finora, per la scuola, nei fatti e nelle dichiarazioni pubbliche, continuiamo ad assistere al moltiplicarsi delle posizioni più diverse.
Molte e autorevoli voci fra i partiti del centrosinistra, dalla Margherita ai Ds, continuano a ribadire la loro contrarietà ad abrogare la legge 53 sulla scuola e la legge sulla docenza universitaria.
Se poi si passa dal piano nazionale a quello locale, alle scelte politiche concrete delle Regioni e delle Province, assistiamo al moltiplicarsi di atti politici che prefigurano la continuazione della Moratti… senza la Moratti, esattamente come la politica delle “ grandi opere” dalla Tav al Ponte sullo Stretto vede la continuità centrodestra-centrosinistra.
Si prenda la questione delle leggi regionali sui “buoni scuola”, varate da quasi tutte le regioni prima governate dal centrodestra: invece della loro abrogazione, si prevedono modifiche che, però, non intacchino il mantenimento del principio della “libertà di scelta educativa”, cioè la possibilità di continuare a scegliere le scuole facendosele pagare da tutti i cittadini. Oppure, si prendano gli accordi Stato-Regioni sulla “sperimentazione” dei percorsi di formazione professionale: c’è un gran movimento di assessori della Margherita e/o dei Ds che, invece di portare alla fine questa sciagurata esperienza, punta ad un loro rinnovo per altri tre anni
Per questi motivi credo che tutto il Partito debba tenere fermo l’obiettivo dell’abrogazione delle Riforme Moratti della scuola e dell’Università e impegnarsi nel sostenere una proposta di innalzamento dell’obbligo scolastico, senza pasticci e confusioni con la formazione professionale.
Nello stesso tempo occorre avviare una grande discussione di massa, nelle scuole, su un progetto condiviso di riforma della scuola secondaria superiore come, ad esempio, quello proposto dal movimento milanese di Retescuole, che coinvolga insegnanti, genitori e studenti e che sia capace di costruire un progetto di “scuola che vogliamo”.

Patrizia Sentinelli
Il carattere aperto e dinamico che contrassegna l’attuale fase politica ci presenta grandi spazi per una politica incidente. A noi indicare la direttrice di marcia. Quella scelta nel vivo delle lotte sociali, territorio e di lavoro come dimostra anche il riuscito sciopero generale. Le primarie svolte si muovono nella stessa direzione. In forme diverse propongono rifiuto della delega e voglia di protagonismo attivo. E’ tutto ciò che preme anche sui tavoli dell’Unione per il programma. In quello in corso sulle politiche ambientali entra prepotentemente il concetto ispiratore di bene comune, di competizione di qualità e cooperazione sociale, di prevenzione e cura del territorio, risparmio idrico ed energetico dentro il quadro che rilancia il ruolo pubblico. Così come in quello dell’agricoltura si parla di sovranità alimentare e di produzione di qualità. Non era scontato. E’ il prodotto, naturalmente non lineare né concluso, ancora contraddittorio, che risente delle pratiche di conflitto. Pratiche ancora troppo scisse tra loro che necessitano di connessione.
E’ questo umore che nutre la proposta del nuovo “contenitore” della sinistra alternativa avanzato dalla relazione introduttiva. Grande innovazione che entra direttamente, con forza, nel processo rifondativo e ci dice anche del rinnovamento della forma partito più volte evocato.
A Roma siamo ad un passo già fatto: la sinistra romana entra nella sinistra europea e un suo esponente in Consiglio Comunale viene ad arricchire il gruppo di Rifondazione. Strada tracciata, sperimentazione feconda da estendere con i circoli già costituiti e altri che ne verranno. Proposta di buon auspicio, la sinistra europea - sezione Italia - per l’alternativa.

Nando Simeone
Nel dibattito che si è svolto nel Cpn alcuni dirigenti del partito, sostenitori delle tesi di maggioranza, hanno ammesso esplicitamente che, dal punto di vista degli indirizzi macroeconomici, l’Unione porta avanti una politica di continuità con l’impianto neoliberista.
Questo significa che le forze del centro sinistra insistono nel solco fissato da Maastricht in continuità con le direttive degli organismi internazionali come il Fondo monetario e la Banca mondiale. Tutto ciò dovrebbe essere sufficiente per dire che la linea proposta dall’ultimo congresso è naufragata.
Altri compagni della maggioranza hanno sostenuto che i movimenti hanno spostato a sinistra l’asse dell’Unione. Evidentemente si vedono due realtà diverse: le mobilitazione degli ultimi mesi ci dimostrano ben altro. Il caso Bologna e Val di Susa, parlano da sé. Per non parlare poi delle lotte che hanno investito il paese in questi ultimi mesi: dalle mobilitazioni contro la Bolkestein, alla risposta data alle grandi manifestazioni studentesche contro la riforma Zecchino-Moratti, dai movimenti di lotta per la casa, alle mobilitazioni dei metalmeccanici del 2 dicembre e dei migranti il 3 dicembre. Questi conflitti sociali, non solo non sono riusciti a spostare a sinistra l’asse dell’Ulivo ma in molti casi hanno confermato la scelta di classe delle forze del centro sinistra contro i movimenti.
Ma la nostra critica non è solo di merito, ma anche di metodo. E’ necessario, a questo punto, chiarire un elemento importante: le lotte sociali non sono la sommatoria delle organizzazioni che le sostengono, ma esprimono delle istanze completamente autonome, che non possono essere imbrigliate in una dinamica esclusivamente politica. Per questo motivo consideriamo un grave errore politico portare i gruppi dirigenti (delle organizzazioni o parte di esse) nei tavoli programmatici dell’Unione in quanto si rischia di snaturare la dinamica sociale delle lotte stesse.
Altra questione: sulla Valle del Sacco, grazie alla determinazione di alcuni compagni, in particolar modo del circolo di Colleferro (con la maggioranza del partito che frenava) si è riusciti a costruire una lotta che ha aperto una dinamica di movimento contro le politiche di disastro ambientale perpetrate dalla giunta di centro destra.
Infine, per quel che riguarda la sinistra di alternativa, non capiamo la discriminante tra chi aderisce al partito e chi invece alla sinistra europea. O meglio, vorrei che qualcuno mi spiegasse perché, chi si iscrive alla sinistra europea non potrebbe iscriversi a Rifondazione comunista.

Michele Terra
Spesso sul caso Bologna sono state dette varie inesattezze. La realtà è che Cofferati ha ingannato i bolognesi: prima si è presentato come colui che avrebbe battuto la destra e poi, una volta eletto, ha disatteso tutte le aspettative di svolta a sinistra per portare avanti politiche reazionarie. In campagna elettorale Cofferati aveva sostenuto il “superamento” del Cpt, oggi bisogna prendere atto che non solo nulla ha fatto in quella direzione ma, con gli sgomberi delle baraccopoli da lui voluti, molti migranti al Cpt vi sono finiti. Sul traffico e inquinamento: prima si è attivato il sistema di videosorveglianza per limitare gli accessi all’inquinatissimo centro storico, poi, a seguito delle proteste dei commercianti di destra, si è aperta la zona a traffico limitato al sabato e nel periodo natalizio. Si progettano grandi opere come people mover (una monorotaia sopraelevata), passante stradale nord, tram su gomma e metro tranvia. Tutte opere inutili, funzionali solo agli interessi di Assindustria, Collegio costruttori e Legacoop. Le priorità di investimento pubblico a Bologna sarebbero ben altre, basti pensare che vi sono mille famiglie nelle liste di attesa per l’accesso agli asili nido e alle scuole materne.
E’ chiaro che i problemi non sono né la delibera che impedisce il consumo di alcolici fuori dai locali dopo le 22 o la legalità. La legalità cofferatiana è rivolta solo alle fasce più deboli, mentre convive benissimo con l’evasione fiscale, con lo sfruttamento del lavoro nero e un tasso cittadino di inquinamento che viola ogni normativa. Cofferati non è Tex, è lo sceriffo di Nottingham. Qual è il limite allora per dover capire che bisogna passare all’opposizione? Poche settimane fa un carabiniere ha picchiato e ferito il segretario di federazione fuori dal Comune e nessuno, né sindaco né questore, si è scusato. Se un domani, con il Prc al governo, durante una manifestazione fuori da Montecitorio un carabiniere colpisse Bertinotti e nessuno si scusasse, rimarremmo ancora al governo?

Franco Turigliatto
Assistiamo a uno sviluppo positivo dei movimenti; il movimento dei lavoratori, però, non riesce a esprimere le sue potenzialità in accumulo di forza organizzata e di risultati, non solo per la forza dell’avversario e delle dinamiche economiche, ma anche per l’inadeguatezza delle piattaforme e per le strategie attendiste dei dirigenti sindacali di fronte all’attacco dei padroni e del governo. Il rimando a un futuro governo crea un clima di attesa che sfavorisce i lavoratori e apre la strada a una nuova concertazione, per molti versi già in corso con la Confindustria.
Sono necessari movimenti di lotta con precisi obbiettivi, capaci di battere il governo e le nuove pretese dai padroni, condizionando così un futuro governo dell’Unione.
Il cuore della divergenza nel Prc è tra chi spera di utilizzare la presenza in un eventuale governo dell’Unione per l’alternativa o anche solo avere misure che favoriscano la ricomposizione del lavoratori e chi ritiene utopistico questa prospettiva e sottolinea l’esplosiva contraddizione di essere in un governo coi rappresentanti diretti e indiretti del padronato. La rinuncia a una soggettività esterna ai due schieramenti ha già mutato il quadro in cui operano i movimenti.
Scadenze decisive attendono il grande movimento della Val Susa. C’è una lobby trasversale, che da anni opera per superare la vocazione manifatturiera del Piemonte, che ha già costruito un enorme vallo (tav) che divide la pianura padana e che vuole l’enorme torta della Torino-Lione (21 miliardi di euro).
Il movimento deve fronteggiare l’azione congiunta del governo che militarizza il territorio e degli esponenti del centro sinistra non meno decisi a imporre la Tav e che voltano le spalle alle democrazia e alla partecipazione di una comunità.
Ho condiviso che giocassimo la partita sfruttando la presenza nella maggioranza. Non è detto che questo sia possibile sempre. Siamo sul filo del rasoio; noi rispondiamo al movimento e a soggetti sociali diversi da quelli di altri partiti della maggioranza.

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