Comitato Politico
Nazionale 26 - 27 novembre 2005
Interventi
Claudio
Bellotti
La relazione del segretario mi pare eludere i nodi che abbiamo di fronte.
Non vedo alcuna riflessione sui dati reali della situazione: la natura
e la profondità della crisi del capitalismo italiano, l’Ulivo
“in carne ed ossa” (per intenderci quello che si reca alle
fiaccolate di Giuliano Ferrara), l’arretramento delle posizioni
nella Cgil… tutto questo non è oggetto di una seria analisi.
Ci si dice che l’Ulivo vero non è quello delle dichiarazioni
e degli atti dei suoi capi, ma quello che, al riparo dai riflettori,
sta elaborando con noi il programma. Rimango in attesa della verifica
dei fatti.
Da queste contraddizioni crediamo davvero di uscire costruendo una “Sinistra
alternativa” con personaggi come Folena? O con spezzoni di ceto
politico che si autodefiniscono “movimento” e che cercano
una collocazione elettorale? Se questi soggetti, come dice il segretario,
condividono la nostra impostazione politica e programmatica, cosa impedisce
loro di aderire al partito?
La proposta di costruzione della “sezione italiana della sinistra
europea” ripercorre una strada fallimentare già battuta
in passato dalla Izquierda Unida in Spagna. Si dica con chiarezza in
cosa consiste questo percorso costituente: si vuole aprire un tesseramento?
Chi e come deciderà in questa formazione? E soprattutto, che
fine fanno i diritti dei militanti del partito, una volta che ci inserissimo
in un quadro del genere?
Già oggi l’inserimento nell’Unione mostra le sue
conseguenze negative sul partito: corsa alle cariche, gruppi istituzionali
spesso fuori controllo, un quadro che sconcerta tanti militanti, anche
diversamente collocati, che vivono con forte disagio questa deriva.
Rimango convinto che saranno proprio questi compagni, alla prova degli
avvenimenti, a reagire e a imporre un cambiamento dell’attuale
orientamento del partito.
Salvatore
Bonadonna
La relazione di Fausto Bertinotti struttura la svolta politica del Congresso
e indica che l’attraversamento della possibile partecipazione
al governo dell’Unione costituisce una fase dell’alternativa
di società.
L’analisi realistica dello stato dell’economia e della società,
il permanere della cultura del “liberismo temperato” che
ispira le politiche delle forze moderate del centrosinistra e, però,
le lotte, le tensioni, i movimenti che si manifestano e postulano opzioni
di cambiamento radicale, che non trovano risposte dentro il paradigma
moderato. La riuscita dello sciopero generale, anche su una piattaforma
moderata; i metalmeccanici, che malgrado il deliberato isolamento, anche
mediatico, in cui sono tenuti, si apprestano alla manifestazione del
2 Dicembre, illustrano il divario tra la cultura dell’alternanza
che ispira il moderatismo politicista dei leaders del centro sinistra
e le stesse scelte più avanzate che maturano ai tavoli programmatici
dell’Unione, anche sui temi del Mezzogiorno, come ha ricordato
Giacomo Schettini.
Bertinotti, in questo quadro grande, sociale e politico, di contraddizione,
colloca il ruolo del Partito e della Sinistra Alternativa. Oltre la
ortodossa ed autoreferenziale funzione di “guida” e dentro
la concreta opera di trasformazione della società, dell’economia
e della concezione stessa del potere.
Il ruolo del Partito è necessario ma non sufficiente; la sinistra
alternativa non può essere un accordo elettorale ma la costruzione
di un soggetto politico coerente con l’idea di società
che si intende perseguire. La Sinistra Europea è oggi il soggetto
plurale capace di rappresentare l’ampiezza e la coerenza delle
forze che convergono sull’alternativa di società.
Compiamo una scelta talmente alta ed “altra”, se rapportata
alle cronache politiche di questi tempi, che ci impegna ad un grande
sforzo per metterla al centro del dibattito politico; ma anche per riclassificare
il confronto interno al Partito.
Alberto
Burgio
Affronterò due temi discussi nella relazione del Segretario.
In primo luogo, la costruzione della sinistra di alternativa. E’
un punto rilevantissimo, il presupposto di una interlocuzione non subalterna
con le forze moderate dell’Unione. Bertinotti indica nella partecipazione
al Partito della sinistra europea e alla campagna per le primarie i
criteri per individuare i partners di questo percorso. Ma tali criteri
hanno suscitato serie riserve dentro e fuori il Partito. Perché
non basarsi piuttosto sul rifiuto della guerra e sull’opposizione
al neoliberismo, in relazione ai quali abbiamo sempre definito l’idea
stessa di “sinistra di alternativa”? C’è bisogno
di una proposta aperta e unitaria, non di clausole di esclusione che
indebolirebbero il progetto su cui stiamo discutendo. E occorre contemporaneamente
assicurare che la costruzione della sinistra di alternativa non minaccerà
l’autonomia di Rifondazione comunista, che va invece rafforzata.
C’è bisogno di tutta la nostra forza e autonomia per portare
il Paese fuori dal berlusconismo e per conseguire gli obiettivi che
riteniamo irrinunciabili, a cominciare dalla difesa della pace e dei
diritti del lavoro.
Vengo alla questione del programma. Il Segretario assicura che “al
riparo dai riflettori” i tavoli dell’Unione stanno conseguendo
risultati “incomparabilmente migliori” di quel che le esternazioni
di tanti dirigenti dell’Unione lascerebbero pensare. Ma perché
non se ne sa nulla, mentre sul ritiro delle truppe italiane le maggiori
forze del centrosinistra ribadiscono che “non si può fare
come Zapatero” e sulle leggi-vergogna di Berlusconi ripetono che
non vanno abrogate ma “migliorate”? In tema di politica
economica Bertinotti ha detto che non accetteremo una “politica
dei due tempi” (prima il risanamento, poi - eventualmente - una
politica espansiva di rilancio dei redditi e della spesa). Prendiamo
atto di questo impegno e restiamo in attesa della risposta che otterrà
da parte del centrosinistra. Ma alla luce di quanto si è sin
qui prodotto nella vicenda complessiva dell’Unione, non può
certo trattarsi di un’attesa fiduciosa.
Salvatore
Cannavò
Mi sembra che la relazione del segretario produca una ricontestualizzazione
analitica della fase, una maggiore centratura sul partito ma che tutto
questo sia in contrasto con il mantenimento di una linea che comincia
a mostrare molte difficoltà. Le difficoltà sono rese evidenti
dall’offensiva moderata e centrista che va compresa nei suoi tre
aspetti: quella reazionaria del governo, che punta a un’offensiva
ideologica e identitaria attorno ai valori religiosi e al patriarcato;
quella sociale di Confindustria che si posiziona a metà tra centrodestra
e centrosinistra e attende il ripristino della concertazione, con la
complicità di Cgil, Cisl e Uil; quella centrista all’interno
dell’Unione che, dall’Iraq alla scuola-azienda, ipoteca
pesantemente il programma del governo futuro. Ovviamente, per il progetto
che stiamo avviando è quest’ultima a preoccupare maggiormente.
A questa offensiva centrista oggi contribuisce fortemente il quadro
europeo con la Grosse Koalition tedesca e la situazione ambigua in Francia.
L’ipotesi di un condizionamento da sinistra di forze pesantemente
compromesse con il capitalismo - si pensi all’immoralità
del caso Bologna o alla Val di Susa - non regge e questo provoca un’impasse
in una linea che non si è data alternative e che rischia di finire
in un vicolo cieco. Certo, condizionamenti e spostamenti sono possibili,
soprattutto se si verificano lotte di massa, ma questo può bastare
a governare? Per questo pensiamo che la linea da noi proposta al congresso
sarebbe la più efficace.
Questa difficoltà è figlia non solo della situazione politica
ma anche del risultato delle primarie che hanno premiato Prodi e consentono
oggi, a lui e alle forze dell’Ulivo, di stare all’offensiva.
Oggi, anche per reagire a questa condizione, si propone di realizzare
un programma di Rifondazione per le elezioni che si affianchi al programma
dell’Unione. Mi auguro che non sia però il “programma
della domenica” a cui la storia del movimento operaio ci ha abituato
e che tanti danni ha fatto.
Giudico molto negativamente, invece, l’idea di utilizzare il movimento
per spostare a sinistra la coalizione di centrosinistra: il movimento
va costruito rispettandone l’autonomia e contribuendo alle sue
vittorie. Tra le tante priorità del momento vale la pena sottolineare
il tema della pace, con una posizione rigorosa sul ritiro delle truppe
dall’Iraq ma anche per il ritiro di Israele dai territori occupati,
vera parola d’ordine decisiva per reagire all’offensiva
delle fiaccolate. Ma va segnalata anche l’offensiva integralista
di Chiesa e governo contro le donne che richiede a noi un di più
di iniziativa così come anche una rivendicazione dell’anticlericalismo
che appartiene alla nostra cultura politica.
Infine, sulla sinistra alternativa. Il progetto di fondo ci ha sempre
interessato ma non si può non vedere che questa iniziativa prende
corpo mentre si realizza la prospettiva di governo e questa influenzerà
l’intero progetto. Quanto all’ipotesi di una sezione italiana
del partito della sinistra europea poniamo tre condizioni: che la sinistra
europea sia alternativa alla sinistra riformista e quindi fuori dall’Unione;
che non prefiguri nessuna ipotesi di scioglimento del Prc ma che anzi
ne produca una valorizzazione; che l’allargamento a figure e soggettività
esterne sia funzionale al conflitto sociale e significativo sul piano
delle pratiche.
Mimmo
Caporusso
Ho ascoltato con interesse e grande apprezzamento la relazione del segretario
nella sua parte introduttiva, nella quale ci si richiamava alla necessità
di ricalibrare l’azione del partito a partire dalla centralità
del lavoro: assistiamo ad un continuo attacco alla capacità salariale
del lavoro dipendente; ad un aumento esponenziale - anche grazie alla
Legge 30 - della precarietà e della flessibilità; siamo
di fronte alla derubricazione dall’agenda politica della questione
sicurezza sui luoghi di lavoro e, negli ultimi giorni, abbiamo assistito
al varo definitivo dello scippo sul Tfr in favore dei fondi pensione
integrativa. Obiettivo delle politiche neoliberiste è l’attacco
al contratto nazionale del lavoro e il Prc deve rimanere vigile. Di
fronte a questo quadro deve essere rafforzata l’iniziativa del
Partito, e lo si dovrà fare a partire dallo sciopero metalmeccanico
del prossimo 2 dicembre. Purtroppo ancora vaghi rimangono i punti programmatici
del futuro governo di centro sinistra. In tal senso bene ha fatto il
segretario a ricordare che nessuna politica dei due tempi può
essere accettata dal Prc: ritiro delle nostre truppe dagli scenari di
guerra e di occupazione militare, politiche di redistribuzione della
ricchezza e difesa/rilancio dei diritti del lavoro dovranno rappresentare
l’orizzonte in cui muoversi.
Mi avvio a concludere su un ultimo punto: la costruzione della Sinistra
d’alternativa. Un obiettivo sulla cui necessità conveniamo
da sempre. Siamo d’accordo anche sulla necessità di offrire
adeguata rappresentanza parlamentare ad indipendenti rappresentativi
delle lotte sociali e politiche. Ma allo stesso tempo non dobbiamo pensare
che questo percorso sia in contrasto con l’autonomia del partito.
Così come sbaglieremmo ad identificare la Sinistra d’alternativa
con la più ristretta - seppur legittima - costruzione della sezione
italiana della Sinistra Europea, nei confronti della quale rimaniamo
critici per il suo carattere escludente.
Milziade
Caprili
Vorrei concentrare la mia attenzione sul cuore della proposta che il
segretario ha presentato a questo Cpn. Bertinotti ha definito la costruzione
della sinistra di alternativa come sezione italiana del partito della
sinistra europea il compimento ragionevole ed importante di un percorso.
Proprio però il carattere finalmente di costruzione di una soggettività
politica come quella proposta impone una discussione di cui siano evidenti
i presupposti. Per quello che mi riguarda il presupposto, la stessa
fattibilità di un’ipotesi come quella in campo è
anche il risultato del nostro lavoro. Così come segnala la nostra
scommessa su una valutazione dinamica della situazione e non di semplice
difesa delle prerogative del partito. Non si tratta, in sostanza come
pure qualcuno ha detto di un modo di sortire da una situazione difficile
e di nostra debolezza ma l’esatto contrario.
Quello su cui mi interrogo è anche a quale punto di convergenza
sia la nostra analisi dei processi intervenuti. Credo che non guasterebbero
un po’ più di lucidità e di ottimismo.
Sono accadute e stanno accadendo cose importanti dalle primarie agli
scioperi, alle lotte contro la Tav alle eccezionali iniziative nelle
scuole e nelle università. Così come il programma dell’Unione
sta sostanzialmente marciando. Questo vuol dire forse che ci siamo nascosti
e ci nascondiamo difficoltà? Basterebbe aver sentito i problemi
che Bertinotti ha posto e sulle lotte e la loro connessione e sui tentativi
ritornanti per quanto riguarda l’annacquamento di quella che noi
riteniamo una necessaria radicalità del programma dell’Unione.
Non vorrei - e questo riguarda tutti noi - che facessimo vivere al partito
questo compimento ragionevole ed importante di un percorso come una
sorta di accrocchio elettoralistico. Così non è ed anzi
può rappresentare per la stessa vita del partito una necessaria
e costante apertura e cambiamento di cui sentiamo tutti un gran bisogno.
Aurelio
Crippa
Con la nuova legge elettorale è cambiato lo scenario delle modalità
dell’agire politico, tanto da rendere superato il recente congresso
(condivido il suo riaggiustamento posto nella relazione).
Le primarie: non sottovaluto la partecipazione, occorre interrogarsi
sul perché oltre il 75% del tuo popolo non vi ha corrisposto,
non accogliendo, così si è detto, un’istanza di
partecipazione decisionale democratica.
Il suo lascito non è esaltante: segnala la sconfitta della opzione
politica da noi avanzata con la candidatura di F. Bertinotti, espressione
e riferimento della sinistra di alternativa, per spostare a sinistra
l’asse dell’Unione.
I programmi, nostro e dell’Unione: trovo finalmente percepita
la tesi che da tempo ho sostenuto, ponendo così fine ad una discussione
interna fuorviante e che abbiamo pagato anche con lacerazioni.
Bene il nostro programma, che deve essere centrato sulla distribuzione
del reddito (aumento delle retribuzioni reali per salari e pensioni
ed interventi diretti a colpire le rendite, l’evasione, la speculazione)
e che vada nelle direzione della costruzione del programma fondamentale
( il Partito nel suo assieme deve essere coinvolto nella sua definizione).
Per quello dell’Unione, condivido la non accettazione della politica
dei due tempi.
Non conoscendo il merito di quanto sin’ora prodotto, registro
il giudizio dato nella relazione e rilevo però una contraddizione
contenuta, quando si afferma che «importanti avanzamenti su punti
generali e specifici non trovano riscontro rispetto al dibattito pubblico
dell’Unione». (perché?)
Una sezione italiana del Partito della Sinistra Europea, di cui il Prc
ne è parte come soggetto autonomo: condivido la proposta e chiedo
una discussione di merito del Cpn e del Partito.
Alla Direzione, il Segretario F. Bertinotti, ha affermato che siamo
in presenza, nel Partito, di «una incomunicabilità che
rischia di farsi estraneità».
A tal punto siamo giunti?
Che aspettiamo: urge, prima della campagna elettorale, la Conferenza
d’Organizzazione, per porre l’insieme del Partito al meglio
per affrontare lo scontro politico già in atto.
Alberto
Deambrogio
E’ ancora chiara nella mia memoria l’emozione provata durante
l’assemblea dell’altra sera in Val di Susa con una amplissima
partecipazione del movimento che si oppone al Tav. La passione, l’emozione,
sono elementi importanti di qualsiasi movimento. Tra di noi, però,
dobbiamo cercare di depurare la discussione su questo punto da qualsiasi
tentazione di piegarla ad esigenze di dibattito politico interno. Dobbiamo,
cioè, elaborare un’analisi per quanto possibile lucida
se vogliamo aiutare quel movimento che ci sta così a cuore. Il
Prc piemontese, con un atteggiamento unitario che ho apprezzato molto,
ha condotto la sua battaglia contro il Tav senza proporsi come elemento
egemonico, ma invece lavorando all’interno di un movimento che
si è sedimentato per lungo tempo, acquisendo saperi, analisi,
modalità di lotta nonviolente e unità con gli amministratori
locali. Una comunità autoconsapevole si è costituita e
sta ponendo, fuori dai suoi stretti confini, domande cruciali che riguardano
l’intero modello di società, nonché la tenuta di
un sistema democratico degno di questo nome.
Noi abbiamo esercitato un ruolo attivo in questa vicenda a tutti i livelli
compresi quelli istituzionali. Il Gruppo regionale, in particolare,
ha svolto una importante funzione in condizioni difficili, senza mai
rinunciare al principio di contrarietà all’opera. Siamo
parte della maggioranza guidata da Bresso, ma anche punto di riferimento
riconosciuto presso i movimenti. Sono questi, d’altro canto, a
chiederci un aiuto concreto al di là delle appartenenze politico
partitiche. Ci chiedono di non rinunciare ad una battaglia complessiva
per salvare il patrimonio di una democrazia sostanziale intesa come
spazio pubblico riconosciuto ed agibile per tutti. Se noi avessimo scelto
semplicisticamente di rompere con l’attuale maggioranza la situazione
sarebbe forse migliore? Avremmo avuto una marginalizzazione del Prc,
una sterilizzazione del suo ruolo e, cosa peggiore, la difficoltà
del movimento che tutti diciamo di guardare come la pupilla dei nostri
occhi. Questa ultima impostazione è cara, non a caso, ai vari
poteri forti (economici e politici) che vogliono il Tav a tutti i costi.
Il nostro compito è quello di lavorare per allargare e alimentare
il movimento, utilizzando tutti gli strumenti politici tattici e strategici
più consoni alla sua tenuta e al suo sperato successo finale.
Infine, la proposta politica centrale avanzata oggi dal Segretario mi
vede favorevole per due ordini di motivi principali. Da un lato essa
rende concreto il lungo lavoro preparatorio intorno all’ipotesi
di aggregare una sinistra di alternativa, dall’altro essa si presenta
come una scelta chiara negli intenti e assolutamente aperta ad accogliere
nuove soggettività intorno ad un nucleo iniziale.
Salvatore
Distefano
Il successo dello sciopero del 25 novembre testimonia la volontà
dei lavoratori e delle lavoratrici di cacciare il governo del “massacro
sociale” e, al tempo stesso, riafferma la centralità dei
temi del lavoro, coniugata con la difesa dello “stato sociale”
e dei settori più poveri e emarginati. Il Partito, dunque, per
assolvere al proprio compito dev’essere capace di unire all’analisi
la pratica di massa, nella prospettiva dell’alternativa. Ciò
vuol dire far vivere tra le masse e nei movimenti un programma, che
dica innanzitutto “No alla guerra senza se e senza ma” e
che difenda le conquiste sociali cancellando le “leggi vergogna”
(tra noi e il moderatismo dell’Unione vi sono chiare difformità)
del centro-destra, in un contesto molto difficile e che ha come passaggi
significativi l’attacco alla 194 e alla Costituzione. E’
necessario, pertanto, unire la sinistra di alternativa creando uno schieramento
più ampio senza smarrire l’identità comunista, dando
vita ad un confronto fecondo per l’egemonia, per contrastare la
destra e per evitare che rimanga il berlusconismo senza Berlusconi.
Non mi convince, invece, la proposta sulla Sinistra Europea, che è
altra cosa dalla sinistra di alternativa, perché si rischia la
dissolvenza dei comunisti, proprio quando occorre avvalorare l’azione
del Partito. La nostra iniziativa risulta ancora più decisiva
al Sud come dimostra la mobilitazione in Sicilia a sostegno di Rita
Borsellino, che incarna fulgidamente la lotta al sistema di potere mafioso:
battere la mafia è, infatti, condizione indispensabile per affermare
la democrazia e lo sviluppo.
Gianni
Favaro
Penso debba essere sostenuta la proposta avanzata dal Segretario e decidere
che il nostro partito dia vita subito alla sezione italiana della Sinistra
Europea come base per la costituzione della Sinistra di Alternativa.
Ne vedo tutti i limiti di impianto e i rischi per la tenuta del Partito
ma penso, altresì, che, se non tentassimo di allargare ora il
nostro orizzonte politico, limiti e rischi si tramuterebbero in marginalizzazione.
Il difficile stato del Partito, lo scarso radicamento in cui versa determinano
veri impedimenti da cui siamo attraversati, trasversalmente rispetto
al congresso. Non “facciamo egemonia” né ci radichiamo
nei movimenti in campo (a Torino in grande fermento - Fiat e No Tav),
nei quali pure siamo presenti e attivi, tesseramento e iniziativa politica
stentano. Come garantire la nostra autonomia nel Governo in cui ci apprestiamo
ad entrare? Come rappresentare le istanze del movimento operaio, della
pace per evitare che un auspicabile governo Prodi faccia pagare i danni
delle politiche iperliberiste di Berlusconi a salari e pensioni?
Perciò abbiamo bisogno di un partito che superi il congresso
nella sua gestione, senza dover rinunciare ai punti politici che l’hanno
caratterizzato. Non cogliere i cambiamenti della fase sarebbe dannoso
e inutile. Il partito della Sinistra Europea purtroppo è nato
sulla divisione delle forze anticapitaliste su un impianto moderato
e filo europeista. Ma la proposta di Bertinotti riguarda il modello
di organizzazione della Sinistra di Alternativa in Italia, necessaria
e non più rinviabile.
Chiedo due cose: 1 - che l’autonomia e l’esistenza del nostro
Partito non vengano messe in discussione ma, anzi, si potenzi radicamento
e rafforzamento attraverso l’unità interna, nella chiarezza
della linea e nella libertà di dibattito, a partire dai gruppi
dirigenti (segreteria nazionale compresa) quale valore primario e che
la formazione dei nostri gruppi parlamentari tenga conto di ciò
in modo adeguato, senza mortificare, com’è stato fin ora,
il nostro dibattito interno 2 - che i candidati della SE che a vario
titolo verranno proposti dal Partito siano espressione dell’insieme
dalla Sinistra di Alternativa senza veti né chiusure.
Marco
Ferrando
La relazione di Fausto Bertinotti rimuove la realtà. I veri tavoli
programmatici non sono quelli formali dell’Unione che si occupano
della confezione della merce. Sono quelli che sfornano la merce: sono
i convegni dei Ds con le platee degli industriali, i summit della Margherita
con il gotha dei banchieri, la fitta rete di incontri di Romano Prodi
con gli esponenti della Confindustria. Sono quelle le vere primarie
di programma, in cui i diversi attori del Centro liberale si disputano
i favori dei poteri forti e si candidano a loro rappresentanza. Il programma
che annunciano è ormai un fatto pubblico: un programma di intesa
transatlantica con gli Usa in politica estera e di stretta sociale in
politica interna. Dopo l’investitura popolare delle primarie,
Prodi annuncia ormai pubblicamente un piano di “riforme impopolari”
e di sacrifici al servizio del rilancio del capitalismo italiano sul
mercato mondiale. Per questo ha bisogno di coinvolgere nel futuro governo
il nostro partito e l’insieme delle sinistre. Esattamente perché
deve disporre di ammortizzatori politici per proteggere le proprie controriforme
da possibili reazioni sociali. Esattamente perché deve fornire
alla burocrazia Cgil la copertura politica per il ritorno alla concertazione
e alla pace sociale.
Chi pensa che questa nostra corresponsabilità sarà “impossibile”
non guarda la realtà di oggi. Neppure l’annuncio da parte
di Prodi di una nuova stagione di sacrifici riesce a smuovere la nostra
permanenza nell’Unione. Neppure le aggressioni da parte delle
giunte di centro sinistra contro movimenti e mobilitazione popolari
come in Piemonte e a Bologna riescono a scalfire la nostra permanenza
nelle giunte. Perché dovrebbe accadere domani ciò che
non accade oggi?
Riconosco una paradossale coerenza alla proposta di costituire la sezione
italiana del Partito della sinistra europea. Non è la proposta
di “una sinistra alternativa” che o è alternativa
al sistema o non è. E’ invece la proposta di una rifondazione
socialdemocratica del 2000: la proposta di unire attorno a se tutte
le forze disponibili ad occupare lo spazio della sinistra dell’Unione,
dentro le compatibilità del compromesso di governo con i liberali;
uno spazio che la mutazione liberale dei Ds ha lasciato scoperto. I
settori dirigenti della sinistra Ds che a noi si avvicinano plaudono
a questo disegno. Ma è per questo che è nato il Partito
della Rifondazione comunista quasi quindici anni fa?
E’ necessario che il corpo del partito reagisca a questa deriva.
Una ricollocazione del Prc al governo con i poteri forti sarebbe di
fatto in contraddizione frontale con tutte le migliori ragioni che il
nostro partito ha raccolto nella sua storia di opposizione. Non è
possibile rassegnarsi allo scioglimento di un’opposizione comunista
e di classe in Italia. Non è possibile privare di un riferimento
alternativo e autonomo le inevitabili reazioni di lotta a un governo
di lacrime e sangue che Prodi già oggi annuncia.
Francesco
Ferrara
Il passaggio politico che il segretario ci ha proposto - e che sta nel
solco della nostra linea e pratica politica - merita il dibattito in
tutto il partito. La costruzione di un nuovo spazio politico come fondamenta
per la sinistra d’alternativa raccoglie la dinamicità delle
relazioni che abbiamo fin oggi intessuto. Guardiamo ad esempio lo sforzo
compiuto dalla Fiom sul terreno della democrazia sindacale e per una
nuova politica contrattuale e rivendicativa, lotta che non è
più solo dei metalmeccanici ma anche del pubblico impiego e dei
lavoratori della scuola. Oggi posso dire a ragione che quella lotta
è più forte e si diffonde anche grazie al nostro sostegno.
Ed è con quanti si rimettono in discussione in una nuova ricerca
della politica che dobbiamo costruire il nuovo spazio politico. C’è
un momento che guarda all’organizzazione della sezione italiana
della S. E., ma è il presupposto politico, ovvero il movimento
antiliberista e anticapitalista, il vero fulcro della proposta.
Sullo stato del partito stento a comprendere le valutazioni catastrofiste.
Siamo riusciti ad attivarci capillarmente per le primarie, con l’entusiasmo
e il lavoro politico di migliaia di militanti. Le primarie sono state
un’occasione per sostanziare relazioni con altri soggetti della
sinistra. Come si fa a non vedere? Quanti hanno aderito al nostro progetto
politico proprio in occasione di quella campagna?
Il partito è in ogni conflitto con una generosità enorme.
Ed è davvero fastidioso sentir parlare tra noi dello stato del
partito con lo stesso atteggiamento col quale si tratta un “affare
altrui”. In che cosa si sostanzia il radicamento che tutti richiamano?
Il radicamento è inteso o no come capacità di agire nelle
lotte ben oltre il piano della mobilitazione dell’opinione pubblica?
Ovvero radicamento come capacità di sentire nel profondo il disagio
sociale, fare inchiesta come conflitto, assumendo una cura dell’iniziativa
quotidiana del partito guardando a risultati e obiettivi. Ma finché
la nostra discussione è viziata da posizioni precostituite radicare
il partito è difficile. Il passaggio della costruzione della
sezione italiana della S. E., proprio perché prova a riunificare
le soggettività a partire dai contenuti, è un modo per
rafforzare il partito, evitando i pregiudizi. Dobbiamo volerlo, lo dico
a tutti, dobbiamo volerlo fino in fondo, altrimenti condanneremo noi
stessi a rimanere immobili di fronte alle sfide della società.
Paolo
Ferrero
L’offensiva neocentrista in corso da mesi è la risposta
moderata all’efficacia della nostra linea politica. Questa offensiva
ha il suo motore in Confindustria e nel governo europeo, ma è
possibile sconfiggerla. In particolare due sono i punti su cui fare
leva.
In primo luogo il programma dell’Unione. A me pare del tutto evidente
che non è possibile scrivere un programma di alternativa ma è
alla portata un programma che ridistribuisca potere e diritti, rafforzando
la possibilità di costruire il movimento. Ad esempio l’aver
conquistato sul Tavolo del lavoro che: “per contrastare la tendenza
al lavoro nero, occorre garantire il permesso di soggiorno a ogni immigrato
che denunci la propria condizione di lavoro irregolare” - per
non fare che un esempio - è un risultato che può rafforzare
di molto sia la forza dei migranti che del movimento dei lavoratori
in generale. Il rafforzamento dei movimenti è l’obiettivo
a cui finalizzare il nostro intervento nel cielo della politica, nella
consapevolezza che le divisioni con l’Ulivo sono strategiche,
Per questo la nostra azione deve servire a modificare i rapporti di
forza e nel contempo a costruire i canali attraverso cui il conflitto
sociale possa incidere nella sfera della politica.
In secondo luogo l’aggregazione della sinistra di alternativa.
Sono 10 anni che ne parliamo, finalmente adesso arriviamo a dare una
forma a questa proposta con la costruzione del Partito della Sinistra
Europea in Italia. Una costruzione plurale, in cui noi ci stiamo come
Rifondazione Comunista, altri ci staranno con le loro organizzazioni
o in quanto singoli. Non un nuovo partito - l’età dei partiti
unici è per fortuna conclusa - ma una aggregazione stabile di
soggettività diverse che costruiscano un punto di aggregazione
per tutti coloro che si pongono sul terreno dell’alternativa.
Costruire questa aggregazione, nazionalmente e sui territori, è
il compito principale in questa fase.
Claudio
Grassi
Vedo il rischio che si dia per scontata la vittoria su Berlusconi, che
è invece ancora tutta da costruire, sollecitando il centro-sinistra
affinché offra un profilo nettamente alternativo al centro-destra
e preparando una forte campagna elettorale di Partito attraverso alcune
proposte avanzate.
In questo contesto si colloca la discussione programmatica nell’Unione.
Sulla valutazione che diamo del livello raggiunto da questo confronto
vi è tra noi il vero punto di divergenza politica.
In politica estera: Prodi sostiene che non è previsto alcun ritiro
dei militari italiani dall’Afghanistan e che il ritiro dall’Iraq
non sarà come quello di Zapatero. Il documento dell’Unione
dice che le forze da inviare per sostituire le truppe avranno il compito
di aiutare il governo iracheno a completare la transizione democratica!
No, in Iraq non è in corso alcuna transizione democratica, vi
è un governo illegittimo che si sorregge solo grazie alle truppe
di occupazione! E che dire della partecipazione di quasi tutta l’Unione
alla manifestazione promossa dal Foglio? E’ inderogabile farci
promotori, con altri, di una grande iniziativa di solidarietà
con il popolo palestinese.
Anche in politica economica la situazione è ardua. Dove verranno
reperite le risorse per rientrare nei programmi di riduzione del debito?
Non vorrei che ad essere colpiti, come si intravede in alcune dichiarazioni
di Prodi, fossero ancora una volta le classi lavoratrici.
Queste valutazioni sono tali da indurci a non ritenere che vi siano
ad oggi le condizioni per dare per scontato il nostro ingresso nel governo
nazionale.
Infine, sulla costruzione della sinistra europea come sinistra di alternativa:
manteniamo un giudizio critico nei confronti del Pse perché non
unisce la sinistra di alternativa europea.
Detto questo è legittimo che chi ha condiviso questo progetto
cerchi di svilupparlo e insediarlo sul territorio; vedremo cosa si determinerà
concretamente. Intanto ci preme sottolineare che:
a) siamo contrari a qualsiasi operazione che metta in discussione l’autonomia
politica e organizzativa del Prc. Continuiamo a ritenere che vi siano
tutte le condizioni per crescere organizzativamente ed elettoralmente.
Si tratta semmai di affrontarne con urgenza, attraverso una conferenza
nazionale d’organizzazione, i gravi problemi di funzionamento
e di radicamento;
b) riteniamo un errore associare la sinistra europea alla sinistra di
alternativa. La sinistra europea può essere rappresentativa di
alcuni settori della sinistra di alternativa ma sappiamo bene che altri
settori, altrettanto importanti (partiti, pezzi di partiti, giornali,
movimenti e associazioni), non entreranno mai nella sinistra europea.
La riduzione della seconda alla prima è un errore dal momento
che è per noi strategico, assieme alla costruzione del partito,
lavorare per la più ampia sinistra di alternativa, proponendoci
di tenere insieme, sui contenuti, tutte le forze che hanno sostenuto
il referendum per l’estensione dell’articolo 18.
Franco
Grisolia
Il compagno Bertinotti ha fatto riferimento nella sua relazione, rispetto
ad un futuro governo dell’Unione, alla centralità della
sua politica nella prima fase ed in particolare nei primi cento giorni.
Sono parole che abbiamo già sentito nel 1996 e sarebbe giusto
andare a confrontare il libro dei sogni di quel programma che avanzammo
allora e la realtà dei risultati (finanziarie lacrime e sangue,
pacchetto Treu, Cpt, privatizzazioni, etc). Certamente ripeteremo questa
triste esperienza. Perché, cosa che è chiara, in particolare
per dei marxisti, la realtà è sovradeterminata dalla crisi
sociale mondiale del capitale e dalla imprescindibile realtà
della necessità per esso della lotta contro la classe operaia
per il recupero e la salvaguardia dei margini di profitto.
In questa situazione il gioco dell’alternanza tra centro-destra
e centro-sinistra è il normale quadro di regime per il capitale
in tutto il mondo. Noi stiamo per entrare a far parte di questo regime.
E’ in questo quadro che va vista anche la questione del Partito
della Sinistra Europea ( e della sua sezione italiana). L’asse
si cui nasce è un asse governativo: il tentativo non di utilizzare
la classe e i movimenti in funzione di un’alternativa contro la
borghesia, ma recuperarli al fiancheggiamento del centrosinistra o di
una “sinistra plurale” con funzioni analoghe nei vari paesi
europei.
Un alternativa è possibile e necessaria, quella di un progetto
anticapitalistico per la classe e i movimenti che veda la riaffermazione
del ruolo di un vero partito comunista (quindi in netta rottura di principio
con la tradizione stalinista dei Pc ufficiali, ma dal versante del recupero
del marxismo rivoluzionario di Lenin, Trotsky e Luxemburg, non da quello
della socialdemocrazia) in lotta per l’egemonia; che proponga
all’insieme della sinistra politica e sociale la rottura con la
borghesia e la propria costituzione in un polo autonomo di classe.
Enzo
Jorfida
Condivido la proposta di porre il lavoro come questione fondamentale
e programmatica.
Le lotte dei lavoratori metalmeccanici per il contratto collettivo nazionale
sono un punto di riferimento per superare l’inadeguatezza dell’agire
del Sindacato in Italia e in Europa.
Venerdì 25 lo sciopero generale Confederale è stato visto,
giustamente, dalle forze politiche come sciopero contro le politiche
del Governo:ed in piazza e nei cortei abbiamo visto i dirigenti di tutti
i partiti che compongono l’Unione.Dobbiamo fare in modo che a
fianco dei lavoratori metalmeccanici il 2 dicembre vi siano tutte le
forze dell’Union e che questo non sia un dato solo nazionale ma
anche locale.Dobbiamo lavorare razionalmente e localmente perché
si costruiscano queste condizioni,se vogliamo bloccare l’offensiva
padronale contro i lavoratori,i loro diritti,le loro condizioni.
Il ns Partito nel corso del 2005 è stato esposto,è stato
visibile in modo concreto e ampio almeno in 3 grandi occasioni:A) i
congressi di circolo fino al congresso nazionale (gennaio-marzo) B)le
elezioni regionali (maggio) C) le primarie dell'Unione (ottobre).
Dovrei ritenere,e me lo auguro vivamente,che questa grande visibilità
esterna e vivacità interna abbiano,alla fine di questo 2005,portato
ad un incremento del n° degli iscritti e delle iscritte rispetto
al 2004. Faccio un ragionamento sul tesseramento (dati non ne conosco
però, neanche parziali),sulla nostra forza organizzata perché
credo che avremo bisogno di tutta la nostra forza organizzata sia nella
battaglia politica interna all'Unione( che ritengo ancora aperta nella
definizione di una bozza di programma unitario) sia nella campagna elettorale
che a fine febbraio ufficialmente si aprirà per le elezioni politiche
2006, leregionali in Sicilia e per le amministrative in centinaia di
Comuni grandi e piccoli.Una forza che noi dobbiamo mettere in campo
in modo adeguato ( e mi domando e domando se oggi riteniamo di essere
adeguati ai problemi che dovremo affrontare per ottenere risultati elettorali
più che buoni).
Il nuovo sistema elettorale per le politiche 2006,molto diverso da quello
in vigore ancora oggi ma per pochi giorni,non prevede solo una competizione
fra coalizioni,ma anche fra forze di una medesima coalizione. I consensi
elettorali che si coglieranno non serviranno solo per definire il numero
dei rappresentanti di ogni coalizione e partito nel Parlamento,ma anche
i rapporti fra i partiti nel Paese e nel Parlamento.Abbiamo la necessità,e
credo che tutti la cogliamo,di avere un partito forte e unito sulle
proprie opzioni programmatiche, sulla composizione delle liste e nella
direzione politica.
Anche dopo le elezioni,che spero positive per noi,per un parlamento
ed un governo diversi da oggi,la nostra lotta politica,per costruire
una società diversa,continuerà. Il nostro orizzonte non
si esaurisce con una o più di una campagna elettorale.Dovremo
saper tener distinto il ruolo del Partito nel Parlamento da quello nel
Paese.Sino a che permarranno disuguaglianze e differenze di classe permarrà
una forza comunista.Questa forza la dobiamo curare e far crescere sempre
di più.All'inizio di questo 2005 abbiamo fatto in poco più
di un mese congressi in tutti i Circoli e in qualche settimana quelli
di Federazioni.Credo ci siano spazi,tempi e necessità per fare
una conferenza d'organizzazione e programmatica che dia vigore e forti
motivazioni per portare avanti in modo più che positivo gli impegni
che ci aspettano,compreso quello non secondario del referendum per dire
NO (insieme a tante altre forze politiche,sociali e culturali) alla
contro-riforma della Costituzione.
Alessandro Leoni
Non raccoglierò la bonaria provocazione di quei compagni, fra
gli altri il neosegretario regionale toscano, che hanno sollecitato
ad esprimersi circa la così detta “sezione italiana della
Sinistra europea” per il semplice motivo che al di là dell’etichettature
la sostanza dell’iniziativa non ha subito mutamenti tali da giustificare
reciproci ripensamenti rispetto a quanto ci siamo detti in sede congressuale.
Voglio, invece, concentrare l’attenzione sul tendenziale, progressivo
palesarsi di una inquietante vocazione ipermoderata espressa dai maggiori
esponenti, dirigenti dell’area maggioritaria dell’“Unione”.
Non mi riferisco esclusivamente a Prodi quanto soprattutto ai dirigenti
massimi dei Ds e della Margherita. Le dichiarazioni fortemente ambigue
sul ritiro delle truppe italiane in Iraq (Fassino, Rutelli, ecc.), sulla
permanenza dell’impegno bellico italiano in Kossovo, Afghanistan,
ecc… unite a tutta un’altra serie di “perle”
(dal “processo a Mussolini” dell’ineffabile M. D’Alema,
al necessario “rigore” economico-finanziario di Amato, Bersani
& C.) non possono essere rimosse da più o meno enfatiche
dichiarazioni sull’ottimo lavoro dei nostri (fra parentesi: chi
sono e, soprattutto, chi ha deciso i loro nomi?) compagni nei “dodici”
tavoli ufficiali che istruiscono il futuro “programma” della,
composita, coalizione. E ciò non per mancanza di fiducia e stima
nei confronti dei soprannominati compagni. Del resto l’ottimismo
di maniera, riproposto anche in questo Cpn non trova giustificazione
alcuna in un’ Europa segnata dallo “stato d’eccezione”,
con relativo coprifuoco, in Francia, la Grosse Koalition in Germania
e, non per ultimo, con l’adesione della sinistra, compresi esponenti
di rilievo della costituenda “sezione italiana” di quella
“europea”, alla manifestazione, bipartisan, filo-sionista
di poche settimane scorse.
Graziella
Mascia
La questione della rivolta nelle periferie francesi ha in sé
una complessità che va oltre la condizione sociale. Esiste una
difficoltà persino di comunicare con quei giovani, anche da parte
dei partiti della sinistra, compresi Pcf e Lcr. Vi sono almeno due elementi
che meriterebbero una riflessione, e cioè il concetto di integrazione,
che consideriamo sbagliato perché non contiene un riconoscimento
dell’altro, dal punto di vista culturale e il rapporto di questi
giovani con le istituzioni.
Se giovani immigrati di seconda e terza generazione si sentono esclusi,
dentro una storia come quella francese chiederebbe quanto meno di ripensare
la categoria dell’integrazione, e i problemi non riguardano solo
la precarietà o l’organizzazione urbanistica delle periferie
che ha determinato dei ghetti. Ha ragione Bertinotti nel sostenere che
sarebbe grottesca una risposta sicuritaria, ma il punto è esattamente
questo, che la gestione sicuritaria dei fenomeni giovanili è
precedente, anche negli anni del governo di sinistra, con legislazioni
che risolvono ogni problema con sanzioni penali e con un rapporto tra
i giovani e lo stato che passa attraverso il poliziotto che insulta.
Il ruolo che svolgiamo come Prc in tante situazioni, come nella vicenda
bolognese, è per noi positivo da diversi punti di vista e ha
a che fare con il rapporto delle istituzioni con il conflitto sociale
e a come stiamo costruendo il programma dell’Unione con i movimenti.
La questione diritti e democrazia partecipata sono giustamente al centro
del progetto politico per la sinistra alternativa che oggi subisce una
accelerazione importante con la costruzione della sezione italiana della
sinistra europea.
I tempi proposti dal segretario sono brevi, il percorso deve essere
curato con attenzione. Se l’adesione individuale alla Sinistra
europea ha avuto tanto successo, deriva naturalmente dalla respiro nazionale
con cui affrontiamo ogni vicenda quotidiana, ma anche dalle pratiche
che abbiamo sperimentato. Ci sono diverse ragioni per cui centinaia
di persone, intellettuali e soggetti di movimento non aderiscono a Rifondazione
comunista ma alla Sinistra europea, dunque non possiamo considerare
questi iscritti appendice del partito. Si tratta dunque di riconoscere
la pari dignità, come viene indicato dalla relazione, a soggettività
diverse che hanno lo stesso progetto.
Roberto
Musacchio
Interverrò su un solo tema, ripercorrendo intorno ad esso i punti
della relazione di Bertinotti che condivido molto. Il tema è
la Bolkestein, la “maladirettiva” che ci vede impegnati
in una lotta europea per il suo ritiro.
Proprio sulla Bolkestein misuriamo il valore di una idea alternativa
di Europa, laddove essa è precisamente la trasformazione del
modello sociale europeo in dumping e costruzione di multinazionali che
operano fuori e dentro il continente. Questa lotta si avvale fortemente
dello strumento Partito della Sinistra Europea, vede protagonista il
Gue, si lega in movimenti altermondialisti e sindacali. Vale per l’Europa,
vale per l’Italia. C’è qui da noi uno schieramento
importante che va da Attac ai Cobas alla funzione pubblica Cgil e che
parla anche di una nuova dialettica del sindacato e tra sindacato e
Movimenti.
Questa lotta vede la sinistra alternativa non necessariamente minoritaria
e testimoniale. Anzi, può essere vinta. Abbiamo visto la prova
in queste settimane, un’operazione di grande coalizione, di stampo
neocentrista, volta ad emendare la direttiva ma lasciandone la sostanza,
il principio del Paese di origine. Vi hanno lavorato i socialisti europei,
ed in Italia, settori del centro sinistra che hanno ricercato anche
intese trasversali. Alla prova dei fatti il compromesso, cattivo, è
stato travolto da destra. Torna dunque il tema di una lotta a fondo
per il ritiro. E’ in queste lotte, concrete e di prospettiva,
che si misura tutta la valenza del Partito della Sinistra Europea, nel
suo agire internazionale e nella sua costruzione italiana che, proprio
in queste esperienze, trae forza.
Alfio
Nicotra
Sciopero, generale, manifestazione dei metalmeccanici, contestazione
studentesca e degli insegnanti alle varie controriforme Moratti, la
manifestazione dei migranti del 3 dicembre, i ragazzi di Locri, la rivolta
antiTav in val di Susa, le mobilitazioni contro gli inceneritori e in
difesa dei beni comuni. Possiamo dire che i movimenti in Italia esistono
e si “muovono” ma non hanno - al momento - la forza di spostare
da soli il quadro politico. Ha ragione Bertinotti quando dice che il
nostro compito è quello di trovare una connessione tra i vari
movimenti, un dialogo tra loro o meglio un linguaggio comune che alluda
a un progetto comune. Abbiamo bisogno di più conflittualità
sociale, di più vertenze e lotte per spostare un quadro politico
che - pur contestando Berlusconi - non riesce ancora a rompere in modo
profondo con le politiche neoliberiste.
Il quadro globale in cui anche i nostri movimenti si collocano è
però confortante. Il fallimento definitivo dell’Alca al
recente vertice di Mar del Plata non ha solo il valore di sconfiggere
un programma voluto dagli Usa e dalle multinazionali che avrebbe fatto
delle Americhe il più vasto mercato “libero” del
mondo. Questa vittoria è più forte perché è
in campo - per la prima volta - anche l’alternativa. L’allargamento
del Mercosur, il progetto Alba, l’alternativa bolivariana delle
America, dicono che un’altra integrazione economica è possibile.
Per questo guardiamo con ottimismo al probabile fallimento - per la
quarta volta consecutiva- del round del Wto che si svolgerà a
Hong Kong. Un fallimento che può rappresentare una crisi irreversibile
delle politiche neoliberiste così come le abbiamo conosciute
negli ultumi due decenni.
Nel quadro globale c’è anche la crescente contestazione
alla guerra all’Iraq nel cuore dell’impero: negli Usa. Per
la prima volta i sondaggi dicono che il popolo degli Stati Uniti vuole
il ritiro delle truppe e la fine dell’avventura militare. Ad esso
si sommano alcuni fatti positivi che riguardano l’Iraq. La conferenza
del Cairo ha deciso - mandando su tutte le furie gli Usa e parte del
governo provvisorio - l’avvio di un processo di riconciliazione
nazionale anche - ed è la prima volta - riconoscendo alla resistenza
irachena un ruolo d’interlocutore politico. Di contro la stessa
resistenza - forgiata dalla campagna per il no alla Costituzione e nelle
strutture di opposizione civile- sta sempre di più prendendo
le distanze da Al Qaeda e dal progetto terroristico e fondamentalista
islamico essenzialmente importato in Iraq (come dimostrano gli scontri
a fuoco di Ramadi tra i resistenti e gli uomini di Al Zarhawi).
Al tavolo dell’Unione sulla politica estera - a cui ho preso parte
- abbiamo definito una posizione chiara sul ritiro dei militari italiani
dall’Iraq: decisione unilaterale, rapida, come primo punto da
far immediatamente assumere dal nuovo Parlamento. Il depistaggio mediatico
fatto dal Pdci - che ha abbandonato il tavolo - è dettato unicamente
dalla disperazione rispetto alla nuova legge proporzionale con il rischio
concreto di non ottenere più una rappresentanza parlamentare.
Riguardo all’Iraq sarebbe più utile organizzare una manifestazione
nazionale per il ritiro delle truppe alla fine di Aprile, quando il
nuovo parlamento dovrà pronunciarsi invece di “bruciarla”
semplicemente per una manifestazione rituale in piena campagna elettorale
per il terzo anniversario dell’inizio della guerra.
La proposta di Bertinotti di coinvolgere le associazioni della campagna
“Cambiare si può” in una iniziativa comune per strappare
risultati nel programma dell’Unione mi sembra corretta e utile.
Salvaguardia l’autonomia dei movimenti e al contempo non sfugge
alla necessità per gli stessi - e la nostra gente - di conseguire
risultati concreti.
Vito
Nocera
Val di Susa, Bologna, l’acqua, perfino Parigi parlano di una idea
“rovesciata di governo” che sopporti, cioè, pena
la crisi la della civiltà, dentro di se i conflitti. Quelli più
consapevoli e quelli spuri, che sposti la stessa idea della legalità
in avanti incorporandovi i bisogni nuovi, allargando socialmente e giuridicamente
il campo della cittadinanza.
E’ il perimetro in cui collochiamo il tema del governo e la contesa
del programma, ogni altro approccio mi appare inefficace, destinato
alla sconfitta, soprattutto fuori dalla inedita, delicata, perfino a
tratti inquietante condizione sociale del paese.
Altro che moderazione, la sfida è la più inedita e azzardata.
La più radicale e non era scontato che si dispiegasse con al
centro del confronto un interrogativo per tutti sulle domande del paese.
Non solo proposte ma la sfida di domande forti. Retribuzioni, precarietà,
calo dei consumi, le conseguenze gravi sull’economia e l’occupazione
sono solo un problema nostro? E l’assillo per come evitare che
il Sud venga saltato da ogni investimento? E dunque le politiche pubbliche
di selezione dell’industria innovativa, la ricerca, i sistemi
agricoli e ambientali, le infrastrutture sostenibili, l’impegno
per sostenere il reddito di famiglie povere e disoccupati. E’
solo un problema nostro o una condizione cui se non dai una risposta
non solo tu Prc, ma tu Prodi, tu Ds, tu Unione non ce la fai a governare
il paese, a non frustarne aspettative, a sfuggire a rotture più
profonde tra società e politica. Così come le cose che
incrociamo sui governi locali, dalla Tav all’acqua, ai rifiuti
stanno o no ormai dentro il confronto, non più derubricabili.
E muovono forze, opinioni, alludono a grandi questioni di carattere
strategico, all’idea che hai della società e del suo modello.
Siamo a un tornante decisivo e per questo che deve anche partire la
strutturazione qui da noi della sinistra europea, dando voce e spazio
a tante soggettività politiche e anche a quei mondi a volte prepolitici
che la campagna delle primarie ci ha consentito di esplorare.
Giovanni
Russo Spena
L’asse della fondazione della sinistra alternativa è il
rapporto tra costruzione di relazioni sociali (per ricomporre i conflitti),
inchiesta e progetto come punto unificante. Una potenza democratica
che animi un nuovo spazio pubblico in rapporto con la partecipazione
e le nuove municipalità. Sarebbe, infatti, deludente una mera
raccolta di ceti politici oligarchici che non avesse radici nei conflitti
sociali, nella fase in cui il liberismo è sempre più autoritario
proprio perché in crisi e viene rimessa a tema la necessità
della trasformazione anticapitalista. La deriva verso lo scontro di
civiltà e l’emergenzialismo globale è, altrimenti,
già segnata. La sinistra alternativa assumerà come centrale
il tema della cittadinanza transnazionale, del cosmopolitismo, dello
scontro di civiltà. La società meticcia, infatti, nasce
da un vero e proprio mutamento di paradigmi. la stessa dislocazione
del partito tra militanza sociale e lavoro teorico che ci obbliga alla
centralità politica del tema delle migrazioni. Esse mutano la
nostra stessa concezione dello Stato sociale, della vertenzialità
sindacale (i nuovi proletariati o saranno meticci o non saranno). Ci
parlano di precarietà, di svalorizzazione del lavoro e, insieme,
di concezione sicuritaria e razzista della società.
Linda
Santilli
In questi giorni, alla vigilia del voto di aprile, è sotto i
nostri occhi un attacco contro la legge 194 di portata inusitata attraverso
una serie di proposte esplicite: quella del segretario dell’Udc
di istituzionalizzare la presenza dei militanti del movimento della
vita nel consultori pubblici, poi quella di istituire una commissione
parlamentare sul funzionamento della legge, l’impedimento a far
entrare la pillola abortiva in Italia. Un pacchetto di misure volute
dal centro destra e sostenuto a gran voce dal cardinal Ruini, con il
consenso anche di una parte del centro sinistra per snaturare il senso
della legge contro la libertà delle donne, che ci obbliga ad
una riflessione attenta, puntuale, come sinistra, come femministe, come
rifondazione su una serie di temi connessi tra loro che sono gli stessi
nodi di fondo sollevati dalla legge 40. Una sconfitta grave quella dell’ultimo
referendum, su cui troppo poco si è riflettuto, come se si fosse
trattato di un incidente di percorso, e come se lì non si giocasse,
come invece si è giocata, una partita grossa che andava al di
là della difesa del principio di autodeterminazione femminile,
toccando altri principi tra cui quello della difesa della laicità
dello stato. L’uno principio e l’altro legati a filo doppio,
calpestati, negati perfino in sede di parlamento. Anche così
si può snaturare la costituzione, non necessariamente con un
atto formale di modifica, ma nei fatti.
Il rischio è che prenda sempre più piede una cultura politica
accondiscendente all’intromissione della Chiesa cattolica nelle
vicende istituzionali interne, ora attraverso il cardinal Ruini, ora
attraverso il Papa, senza che ciò desti allarme, come se fosse
una cosa lecita.
C’è un vuoto assai grande che la Chiesa vuol colmare, un
vuoto di politica, di cultura, di simbolico e proprio quelle masse disperse
smarrite alla ricerca di certezze e miti identitari, rischiano di trovare
lì una sponda a portata di mano, in grado di dispensare certezze
e di offrire facile miti identitari, come quello dell’Europa cristiana.
Questo è il quadro in cui si inscrive la campagna contro la libertà
delle donne.
A noi di rifondazione sta il compito di rilanciare una sfida alta a
cominciare dalla campagna elettorale in difesa della 194 e per l’abrogazione
della legge 40. Ma bisogna anche rilanciare una grande campagna politica
e culturale laica, di sinistra, per la difesa del principio di laicità
dello stato troppe volte violato, ed aprire un percorso di riflessione
al nostro interno che ci interroghi sul nesso tra patriarcato contemporaneo,
nuovi fondamentalismi, eurocentrismo, etnocentrismo, guerra.
Anche per questo abbiamo costituito all’interno dell’area
nuovi diritti e politiche istituzionali del Prc, un gruppo di lavoro
sul patriarcato, aperto ad uomini e donne iscritte/i e non iscritte/i,
per avviare così una riflessione e una serie di iniziative, di
cui c’è un grande bisogno.
Luigi
Saragnese
Il compagno Bertinotti ci ha detto dei molti miglioramenti già
avvenuti nella stesura del programma ai “Tavoli” tematici
dell’Unione. Ma, finora, per la scuola, nei fatti e nelle dichiarazioni
pubbliche, continuiamo ad assistere al moltiplicarsi delle posizioni
più diverse.
Molte e autorevoli voci fra i partiti del centrosinistra, dalla Margherita
ai Ds, continuano a ribadire la loro contrarietà ad abrogare
la legge 53 sulla scuola e la legge sulla docenza universitaria.
Se poi si passa dal piano nazionale a quello locale, alle scelte politiche
concrete delle Regioni e delle Province, assistiamo al moltiplicarsi
di atti politici che prefigurano la continuazione della Moratti…
senza la Moratti, esattamente come la politica delle “ grandi
opere” dalla Tav al Ponte sullo Stretto vede la continuità
centrodestra-centrosinistra.
Si prenda la questione delle leggi regionali sui “buoni scuola”,
varate da quasi tutte le regioni prima governate dal centrodestra: invece
della loro abrogazione, si prevedono modifiche che, però, non
intacchino il mantenimento del principio della “libertà
di scelta educativa”, cioè la possibilità di continuare
a scegliere le scuole facendosele pagare da tutti i cittadini. Oppure,
si prendano gli accordi Stato-Regioni sulla “sperimentazione”
dei percorsi di formazione professionale: c’è un gran movimento
di assessori della Margherita e/o dei Ds che, invece di portare alla
fine questa sciagurata esperienza, punta ad un loro rinnovo per altri
tre anni
Per questi motivi credo che tutto il Partito debba tenere fermo l’obiettivo
dell’abrogazione delle Riforme Moratti della scuola e dell’Università
e impegnarsi nel sostenere una proposta di innalzamento dell’obbligo
scolastico, senza pasticci e confusioni con la formazione professionale.
Nello stesso tempo occorre avviare una grande discussione di massa,
nelle scuole, su un progetto condiviso di riforma della scuola secondaria
superiore come, ad esempio, quello proposto dal movimento milanese di
Retescuole, che coinvolga insegnanti, genitori e studenti e che sia
capace di costruire un progetto di “scuola che vogliamo”.
Patrizia
Sentinelli
Il carattere aperto e dinamico che contrassegna l’attuale fase
politica ci presenta grandi spazi per una politica incidente. A noi
indicare la direttrice di marcia. Quella scelta nel vivo delle lotte
sociali, territorio e di lavoro come dimostra anche il riuscito sciopero
generale. Le primarie svolte si muovono nella stessa direzione. In forme
diverse propongono rifiuto della delega e voglia di protagonismo attivo.
E’ tutto ciò che preme anche sui tavoli dell’Unione
per il programma. In quello in corso sulle politiche ambientali entra
prepotentemente il concetto ispiratore di bene comune, di competizione
di qualità e cooperazione sociale, di prevenzione e cura del
territorio, risparmio idrico ed energetico dentro il quadro che rilancia
il ruolo pubblico. Così come in quello dell’agricoltura
si parla di sovranità alimentare e di produzione di qualità.
Non era scontato. E’ il prodotto, naturalmente non lineare né
concluso, ancora contraddittorio, che risente delle pratiche di conflitto.
Pratiche ancora troppo scisse tra loro che necessitano di connessione.
E’ questo umore che nutre la proposta del nuovo “contenitore”
della sinistra alternativa avanzato dalla relazione introduttiva. Grande
innovazione che entra direttamente, con forza, nel processo rifondativo
e ci dice anche del rinnovamento della forma partito più volte
evocato.
A Roma siamo ad un passo già fatto: la sinistra romana entra
nella sinistra europea e un suo esponente in Consiglio Comunale viene
ad arricchire il gruppo di Rifondazione. Strada tracciata, sperimentazione
feconda da estendere con i circoli già costituiti e altri che
ne verranno. Proposta di buon auspicio, la sinistra europea - sezione
Italia - per l’alternativa.
Nando
Simeone
Nel dibattito che si è svolto nel Cpn alcuni dirigenti del partito,
sostenitori delle tesi di maggioranza, hanno ammesso esplicitamente
che, dal punto di vista degli indirizzi macroeconomici, l’Unione
porta avanti una politica di continuità con l’impianto
neoliberista.
Questo significa che le forze del centro sinistra insistono nel solco
fissato da Maastricht in continuità con le direttive degli organismi
internazionali come il Fondo monetario e la Banca mondiale. Tutto ciò
dovrebbe essere sufficiente per dire che la linea proposta dall’ultimo
congresso è naufragata.
Altri compagni della maggioranza hanno sostenuto che i movimenti hanno
spostato a sinistra l’asse dell’Unione. Evidentemente si
vedono due realtà diverse: le mobilitazione degli ultimi mesi
ci dimostrano ben altro. Il caso Bologna e Val di Susa, parlano da sé.
Per non parlare poi delle lotte che hanno investito il paese in questi
ultimi mesi: dalle mobilitazioni contro la Bolkestein, alla risposta
data alle grandi manifestazioni studentesche contro la riforma Zecchino-Moratti,
dai movimenti di lotta per la casa, alle mobilitazioni dei metalmeccanici
del 2 dicembre e dei migranti il 3 dicembre. Questi conflitti sociali,
non solo non sono riusciti a spostare a sinistra l’asse dell’Ulivo
ma in molti casi hanno confermato la scelta di classe delle forze del
centro sinistra contro i movimenti.
Ma la nostra critica non è solo di merito, ma anche di metodo.
E’ necessario, a questo punto, chiarire un elemento importante:
le lotte sociali non sono la sommatoria delle organizzazioni che le
sostengono, ma esprimono delle istanze completamente autonome, che non
possono essere imbrigliate in una dinamica esclusivamente politica.
Per questo motivo consideriamo un grave errore politico portare i gruppi
dirigenti (delle organizzazioni o parte di esse) nei tavoli programmatici
dell’Unione in quanto si rischia di snaturare la dinamica sociale
delle lotte stesse.
Altra questione: sulla Valle del Sacco, grazie alla determinazione di
alcuni compagni, in particolar modo del circolo di Colleferro (con la
maggioranza del partito che frenava) si è riusciti a costruire
una lotta che ha aperto una dinamica di movimento contro le politiche
di disastro ambientale perpetrate dalla giunta di centro destra.
Infine, per quel che riguarda la sinistra di alternativa, non capiamo
la discriminante tra chi aderisce al partito e chi invece alla sinistra
europea. O meglio, vorrei che qualcuno mi spiegasse perché, chi
si iscrive alla sinistra europea non potrebbe iscriversi a Rifondazione
comunista.
Michele
Terra
Spesso sul caso Bologna sono state dette varie inesattezze. La realtà
è che Cofferati ha ingannato i bolognesi: prima si è presentato
come colui che avrebbe battuto la destra e poi, una volta eletto, ha
disatteso tutte le aspettative di svolta a sinistra per portare avanti
politiche reazionarie. In campagna elettorale Cofferati aveva sostenuto
il “superamento” del Cpt, oggi bisogna prendere atto che
non solo nulla ha fatto in quella direzione ma, con gli sgomberi delle
baraccopoli da lui voluti, molti migranti al Cpt vi sono finiti. Sul
traffico e inquinamento: prima si è attivato il sistema di videosorveglianza
per limitare gli accessi all’inquinatissimo centro storico, poi,
a seguito delle proteste dei commercianti di destra, si è aperta
la zona a traffico limitato al sabato e nel periodo natalizio. Si progettano
grandi opere come people mover (una monorotaia sopraelevata), passante
stradale nord, tram su gomma e metro tranvia. Tutte opere inutili, funzionali
solo agli interessi di Assindustria, Collegio costruttori e Legacoop.
Le priorità di investimento pubblico a Bologna sarebbero ben
altre, basti pensare che vi sono mille famiglie nelle liste di attesa
per l’accesso agli asili nido e alle scuole materne.
E’ chiaro che i problemi non sono né la delibera che impedisce
il consumo di alcolici fuori dai locali dopo le 22 o la legalità.
La legalità cofferatiana è rivolta solo alle fasce più
deboli, mentre convive benissimo con l’evasione fiscale, con lo
sfruttamento del lavoro nero e un tasso cittadino di inquinamento che
viola ogni normativa. Cofferati non è Tex, è lo sceriffo
di Nottingham. Qual è il limite allora per dover capire che bisogna
passare all’opposizione? Poche settimane fa un carabiniere ha
picchiato e ferito il segretario di federazione fuori dal Comune e nessuno,
né sindaco né questore, si è scusato. Se un domani,
con il Prc al governo, durante una manifestazione fuori da Montecitorio
un carabiniere colpisse Bertinotti e nessuno si scusasse, rimarremmo
ancora al governo?
Franco
Turigliatto
Assistiamo a uno sviluppo positivo dei movimenti; il movimento dei lavoratori,
però, non riesce a esprimere le sue potenzialità in accumulo
di forza organizzata e di risultati, non solo per la forza dell’avversario
e delle dinamiche economiche, ma anche per l’inadeguatezza delle
piattaforme e per le strategie attendiste dei dirigenti sindacali di
fronte all’attacco dei padroni e del governo. Il rimando a un
futuro governo crea un clima di attesa che sfavorisce i lavoratori e
apre la strada a una nuova concertazione, per molti versi già
in corso con la Confindustria.
Sono necessari movimenti di lotta con precisi obbiettivi, capaci di
battere il governo e le nuove pretese dai padroni, condizionando così
un futuro governo dell’Unione.
Il cuore della divergenza nel Prc è tra chi spera di utilizzare
la presenza in un eventuale governo dell’Unione per l’alternativa
o anche solo avere misure che favoriscano la ricomposizione del lavoratori
e chi ritiene utopistico questa prospettiva e sottolinea l’esplosiva
contraddizione di essere in un governo coi rappresentanti diretti e
indiretti del padronato. La rinuncia a una soggettività esterna
ai due schieramenti ha già mutato il quadro in cui operano i
movimenti.
Scadenze decisive attendono il grande movimento della Val Susa. C’è
una lobby trasversale, che da anni opera per superare la vocazione manifatturiera
del Piemonte, che ha già costruito un enorme vallo (tav) che
divide la pianura padana e che vuole l’enorme torta della Torino-Lione
(21 miliardi di euro).
Il movimento deve fronteggiare l’azione congiunta del governo
che militarizza il territorio e degli esponenti del centro sinistra
non meno decisi a imporre la Tav e che voltano le spalle alle democrazia
e alla partecipazione di una comunità.
Ho condiviso che giocassimo la partita sfruttando la presenza nella
maggioranza. Non è detto che questo sia possibile sempre. Siamo
sul filo del rasoio; noi rispondiamo al movimento e a soggetti sociali
diversi da quelli di altri partiti della maggioranza.