Comitato Politico
Nazionale 26 - 27 novembre 2005
Documento Bellotti
e altri
Proposta di Odg conclusivo
Gli avvenimenti
delle ultime settimane confermano il permanere di una larga disponibilità
alla mobilitazione di massa, che continua ad esprimersi su diversi terreni.
La ripresa della mobilitazioni nelle scuole e nelle università,
la riuscita dello sciopero generale del 25 novembre, la lunga lotta
dei metalmeccanici per il contratto nazionale, le mobilitazioni in programma
contro i Cpt, sono altrettante conferme di questa generosa disponibilità,
ribadita dalla grande lotta della Val di Susa contro lo scempio della
Tav.
Queste lotte trovano peraltro un riscontro sul piano europeo: la rivolta
delle banlieu parigine segue le dure lotte dei marittimi, il Belgio
ha visto due scioperi generali nel giro di poche settimane, nella Spagna
di Zapatero riprendono le mobilitazioni operaie contro le privatizzazioni
e le chiusure delle miniere asturiane.
A questa spinta
dei lavoratori si contrappone una crescente e martellante offensiva
reazionaria che trova oggi nella gerarchia ecclesiastica un interprete
di punta, con l’attacco alla 194 e alla laicità dello stato.
Mentre la chiesa conduce questa offensiva ideologica e sociale, si schierano
sullo stesso fronte le imprese, il governo, la “grande stampa”,
che battono insistentemente sullo stesso tasto: sono necessari sacrifici,
rinunce, privatizzazioni, liberalizzazioni, politiche economiche e sociali
restrittive, come unica risposta alla crisi del capitalismo italiano.
Questa offensiva si manifesta con forza anche sui temi internazionali
e trascina con se le forze dell’Ulivo, come dimostra clamorosamente
l’adesione alla fiaccolata di Giuliano Ferrara e il successivo
rifiuto di partecipare alle manifestazioni sotto l’ambasciata
Usa.
A questo proposito va chiarita la centralità della parola d’ordine
dl ritiro immediato delle truppe italiane da tutti i teatri di guerra:
dall’Iraq, senza alcuna trattativa con l’occupante americano
e col governo fantoccio, ma anche dall’Afghanistan e dai Balcani
(proprio mentre si scopre una seconda Guantanamo in Kosovo).
Sulla questione palestinese, dobbiamo indubbiamente sottolineare il
recente terremoto politico che ha portato Peretz alla guida del partito
laburista e alla conseguente rottura del governo e a una probabile scissione
della destra dello stesso partito laburista. È una conseguenza
dell’acutizzarsi della crisi sociale in Israele, della ripresa
del conflitto di classe e al tempo stesso esprime un rifiuto della politica
di guerra di Sharon. Ma proprio per aiutare questo movimento a sinistra
dobbiamo rifiutare qualsiasi tentativo volto a dipingere il ritiro da
Gaza attuato da Sharon come un possibile primo passo verso una soluzione
pacifica e negoziata della questione palestinese. Il ritiro da Gaza
(peraltro del tutto formale visto che l’esercito e l’aviazione
israeliana continuano a colpire come quando vogliono anche in quel territorio)
è stato un tentativo di fomentare una guerra intestina fra i
palestinesi e di gettare fumo negli occhi all’“opinione
pubblica” internazionale proprio mentre si stringe ulteriormente
la presa su Gerusalemme est e sulla Cisgiordania. La soluzione giusta
e democratica della questione palestinese non verrà dall’ennesimo
negoziato patrocinato dalle diplomazie imperialiste, incluse quelle
europee (negoziati dai quali i palestinesi in 15 anni hanno avuto solo
inganni). Solo i lavoratori arabi ed ebrei, rovesciando il dominio dell’imperialismo,
della borghesia israeliana e dei corrotti regimi arabi possono porre
le basi per una soluzione equa e democratica che rispetti i diritti
di tutti i popoli della regione.
Sul piano interno,
l’offensiva padronale si propone tre obiettivi: 1) Ottenere il
massimo dal governo Berlusconi nei mesi che ancora gli restano al potere.
2) Condizionare pesantemente l’Unione prima ancora che si affacci
al governo nazionale, sostenendo e incoraggiando tutte le posizioni
più moderate (per non dire reazionarie) al suo interno. 3) Preparare
il terreno a scenari futuri che di fronte alle prevedibili difficoltà
e contraddizioni dell’Unione possano aprire la strada a un rimescolamento
delle carte che isolando la sinistra (a partire dal nostro partito)
e imbarcando spezzoni del centrodestra possano creare nuove maggioranze
“centriste”, base d’appoggio di nuovi governi reazionari
(ipotesi Monti).
Nell’immediato, è chiaro l’obiettivo di giungere
alla definizione di un nuovo patto concertativo, vero e proprio nodo
scorsoio con il quale ci si propone di soffocare ogni prospettiva di
mobilitazione contro il futuro governo di centrosinistra. Tale pressione
ha portato alla completa capitolazione della vecchia sinistra interna
alla Cgil la quale ha rinunciato a marcare alcuna differenza rispetto
alla maggioranza di Epifani in cambio di un accordo spartitorio sulle
cariche dirigenti. Se questa capitolazione ha un lato positivo, poiché
dissipa l’equivoco di una sinistra che è sempre stata d’apparato
e burocratica, ha tuttavia un altro aspetto fortemente negativo costituito
dalla impossibilità per i lavoratori di pronunciarsi su una ipotesi
chiaramente anticoncertativa nel congresso della Cgil. In questo contesto
difficile, le tesi alternative di Rinaldini, pur con tutti i loro limiti,
costituiscono l’unico strumento possibile di interlocuzione con
i lavoratori e la base della Cgil e l’unica leva per avanzare
posizioni critiche che, peraltro, trovano nonostante tutto risposte
incoraggianti laddove nei congressi di base vengono sostenute con chiarezza
e decisione; ma neppure su questa battaglia parziale il partito riesce
a schierare la maggioranza dei propri militanti nella Cgil, assumendo
invece una posizione pilatesca, a conferma di quanto profonda sia stata
la penetrazione di una concezione burocratica della lotta sindacale
anche nel nostro partito.
Questa continua pressione
proveniente dalla classe dominante trova ampie sponde negli stati maggiori
dell’Unione, che non a caso per bocca di Prodi ripropone la più
classica politica dei “due tempi”: prima il “risanamento”,
poi le riforme; dove il “poi”, come insegna l’esperienza
degli ultimi 30 anni, non arriva mai.
Ma non si tratta solo di Prodi o di Rutelli. L’esperienza viva
di questi mesi ci mostra un Ulivo sempre distante e spesso frontalmente
contrario alle istanze che sorgono dalle mobilitazioni di massa. Valga
per tutti l’esempio della Val di Susa, dove la giunta regionale
a guida Ds si dimostra disposta ad andare avanti come un carro armato
contro un’intera popolazione, ponendo il nostro partito (che è
parte della maggioranza) in una condizione di insanabile contraddizione.
La stessa contraddizione si manifesta a Bologna di fronte alla campagna
di Cofferati per la “legalità” e dove l’accordo
raggiunto recentemente è evidentemente scritto sulla sabbia e
destinato a saltare al primo serio conflitto.
Queste esperienze (e tante altre meno conosciute) mostrano come la partecipazione
del partito all’Unione più che portare noi ad aprire le
contraddizioni nel campo dell’Ulivo, porti all’esatto opposto;
il partito si trova in forti difficoltà, diviso e debole nella
risposta politica, spesso incapace di esercitare un controllo sui suoi
stessi rappresentanti nelle istituzioni che sempre più di frequente
appaiono come un vero e proprio corpo esterno, il cui comportamento
è sottratto al dibattito democratico del corpo del partito.
Da queste difficoltà
non si esce con operazioni d’immagine quali la “Sezione
italiana della Sinistra europea”, che puntano a reclutare settori
ristretti di ceto politico in uscita dai Ds o autonominati rappresentanti
dei “movimenti”, che non hanno alcun interesse a un dibattito
fertile e trasparente sulle prospettive per una sinistra che finalmente
si liberi dalla sudditanza politica e ideologica al mercato e alla classe
dominante, ma sono mossi solo dalla volontà di conquistare una
rappresentanza istituzionale. La proposta di un processo costituente
della “sezione italiana della Se” si avvia a ripetere l’esperienza
disastrosa della Izquierda unida spagnola, che nel giro di 15 anni ha
portato alla virtuale distruzione del partito comunista, all’affermarsi
di posizioni politiche sempre più moderate, che ha contribuito
a un drammatico spostamento a destra del più forte sindacato
in quel paese (Comisiones Obreras) dovrebbe esserci di avvertimento.
Ogni proposta di diluizione politica e organizzativa del Prc non può
che aggravare le difficoltà politiche nelle quali ci troviamo.
Si tratta invece di avviare un profondo ripensamento della nostra strategia,
di creare una reale e profonda sintonia con le istanze e le aspirazioni
che si esprimono fra i lavoratori, i giovani, gli immigrati, nei movimenti
di massa, e di lavorare pazientemente su questo terreno in una logica
di prospettiva. Oggi l’Unione capitalizza, sul terreno elettorale,
la grande attesa di cambiamento che c’è nel paese, come
conferma anche la grande partecipazione alle primarie. Ma la contraddizione
stridente fra le politiche del centrosinistra e le aspirazioni delle
masse è destinata ad emergere in maniera esplosiva nella prossima
fase. La scelta per il nostro partito è se lavorare per dare
espressione, organizzazione e prospettiva a queste aspirazioni e a queste
lotte, o se essere intrappolato e corresponsabilizzato di politiche
antipopolari, compromettendo così la sua prospettiva di radicamento
e soprattutto la possibilità di costruire una reale alternativa
a livello di massa rispetto alla sinistra riformista.
Claudio Bellotti,
Simona Bolelli, Alessandro Giardiello, Jacopo Renda
respinto con 4 voti a favore
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