Comitato Politico Nazionale 26 - 27 novembre 2005 Relazione di Fausto Bertinotti Lo sciopero generale del 25 novembre ha visto un successo e una partecipazione enormi, addirittura superiore alle attese che pure erano già particolarmente ottimistiche. Il mondo del lavoro esprime una capacità di mobilitazione importante. La circostanza che questo elemento sia così scarsamente considerato, anche nella comunicazione di massa, è certamente segnale di una contraddizione tra un sentire diffuso dentro il corpo sociale profondo del Paese e parte consistente anche dell’intellettualità democratica. Fatto che è, al tempo stesso, conseguenza di un ciclo lungo e di un più breve momento. Il ciclo lungo è quello che ha lavorato, anche dentro componenti importanti delle sinistre, e che ha sostenuto l’esaurimento del conflitto di classe o la sua residualità (elemento esso stesso di una operazione culturale tesa a rendere invisibile il mondo del lavoro). Il riferimento a breve è quello che coinvolge aree importanti dell’intellettualità progressista e componenti politiche significative dell’Unione che hanno rifiutato la centralità del conflitto di lavoro nell’opposizione al governo Berlusconi. Una opposizione che ha messo tra parentesi la questione sociale, come se quella del governo delle destre in Italia potesse essere ricondotta a patologia italiana in un contesto europeo fisiologicamente sano. Ma la questione di fondo, che la riuscita dello sciopero e delle manifestazioni mettono in evidenza, è il protagonismo del mondo del lavoro che si ripresenta con grande forza. Qui c’è l’occasione di un vero lavoro politico poiché, in questo protagonismo, si esprime una forza di mobilitazione e una disponibilità al conflitto fondamentali, specialmente in questa fase. Anche da qui, dobbiamo produrre un vero sforzo per accentuare l’impegno per la più grande riuscita dello sciopero e la manifestazione nazionale dei metalmeccanici, per il merito della loro vertenza contrattuale e per il ruolo che il sindacato dei metalmeccanici svolge dentro il conflitto sociale nel Paese. Il tema della democrazia dei lavoratori, infatti, è questione centrale, che, non a caso, assume un rilievo importante dentro il congresso della Cgil. Va riproposto con grande forza il tema della centralità del contratto nazionale di lavoro come punto di fondo del conflitto aperto con la Confindustria. Non è un caso che, da parte del padronato, venga riproposto uno scambio tra contratto e flessibilità, scambio inaccettabile in quanto, proprio la mano libera sulla flessibilità, che vuol dire fare regola dell’eccezione alle norme della contrattazione, equivarrebbe a una sorta di eutanasia del contratto nazionale. La necessità dell’unificazione delle lotte Insomma, il lavoro è questione centrale dell’alternativa alle destre. Una situazione, quindi, promettente dal lato della partecipazione e della capacità di mobilitazione che, però, dall’altra parte, mostra il lato della difficoltà nel versante dell’efficacia. Lavora a rendere difficile questo passaggio dalla mobilitazione all’ottenimento di risultati concreti, il carattere della crisi (la frantumazione sociale, i processi di delocalizzazione, la generalizzazione della precarietà). Ma ci sono, evidenti, il riflesso dell’inadeguatezza delle politiche sindacali, specialmente nella ricaduta delle concrete piattaforme, e una difficoltà anche nostra a contribuire a costruire l’orizzonte per far uscire le lotte dalla separatezza. Il nostro impegno deve, quindi, vedere un salto di qualità. Innanzitutto nel sostegno alle lotte, un sostegno che deve essere non stanco e ripetitivo ma, ogni volta, reso cosciente e reindagato nella sua forza ed efficacia, per esempio nel rapporto tra le lotte e la capacità di essere incidenti sulle scelte del governo, a partire da quelle fondamentali come la legge finanziaria. Ma il punto di applicazione principale consiste nel riaprire e riannodare pazientemente circuiti di comunicazione. Un solo esempio. Nelle scuole e nelle università del Paese si sta svolgendo una stagione eccezionale di mobilitazione (gli studenti che invadono le piazze, gli insegnanti, i ricercatori e così via). Dello sciopero e della manifestazione dei metalmeccanici, della loro centralità, ho parlato in precedenza. Il fatto, però, è che queste lotte sono separate e questa è una debolezza da superare. Ecco, l’impegno di un lavoro politico: costruire ponti di relazioni tra le lotte, tessere un ordito, fare dell’inchiesta, non l’elemento di lavoro specifico di un settore di partito, ma la regola generale della nostra iniziativa. La grandi campagne sono occasioni straordinarie per costruire nessi, basti pensare, per fare un esempio, a quella contro la direttiva Bolkestein. Allo stesso modo, non solo cronologicamente, ma politicamente la manifestazione dei metalmeccanici del 2 dicembre e quella dei migranti del 3 si danno la mano. La condizione migrante esprime, infatti, una doppia sfida: sul terreno della svalorizzazione del lavoro e su quella della chiusura securitaria. Uguaglianza e democrazia La rivolta nelle banlieues francesi non può non interrogarci a fondo sul tema della crisi sociale. Ritengo fuorviante la discussione se quella rivolta, in quelle forme, possa coinvolgere il nostro Paese. La domanda di fondo, invece è la seguente, ovvero se essa vada indagata come un caso a sé o, pur nella sua specificità, come espressione della crisi di civiltà che attraversa l’Europa. In questo senso, la discussione sull’intervento securitario, che si è acceso in alcune città del nostro Paese, mostra tutto il suo provincialismo. Da parte nostra, un punto di applicazione deve consistere nel declinare una nuova stagione di ripresa del conflitto sociale, fondandola sulla connessione dell’idea dell’uguaglianza con quella della democrazia. Sul carattere comunitario delle lotte e delle vertenze territoriali abbiamo avviato una discussione. Questa modalità di organizzarsi delle comunità in quanto tali, l’espressione di una identità che si afferma nel vivo di una lotta, che abbiamo visto in particolare nel Sud del Paese, da Terlizzi, a Scanzano, a Melfi, si ripropone, oggi, con una forza straordinaria in Val di Susa. Questa lotta muove questioni di fondo che riguardano la politica delle infrastrutture, il complesso della logistica, il problema della salute. Ma c’è un punto che va ulteriormente sottolineato: è proprio il tema della democrazia e del rapporto tra i territori, le comunità, le scelte dei governi. Ciò che colpisce in maniera sconcertante è l’incapacità di ascolto che i poteri frappongono all’ascolto delle comunità, come se fossero elemento trascurabile della decisione. La lotta in Valle di Susa, come gli altri esempi prima ricordati, ha di fronte a sé una grande prospettiva ma anche rischi gravissimi. La sua sconfitta avrebbe conseguenze devastanti, non solo per le opere che si realizzerebbero ma per la rottura della coesione democratica che ne sarebbe conseguenza. Penso, quindi, che il nostro impegno debba continuare con grande vigore e energia ai fini di avviare canali di relazioni e il riconoscimento del diritto delle comunità locali a essere parte di una vera trattativa. Una iniziativa che serva a disarticolare il fronte favorevole all’opera anche sulla questione della necessità dell’ascolto delle popolazioni e dal punto di vista culturale. Come insegna una esperienza lunga e consolidata, che ha portato anche a interventi legislativi importanti, sul punto fondamentale della difesa della salute, il diritto della popolazione esposta a dover esprimere un parere vincolante è decisivo. Dobbiamo, quindi, vedere le motivazioni di fondo che stanno dietro a questo rifiuto pregiudiziale di un confronto con le popolazioni: sterilizzare il conflitto e marginalizzare le forze politiche, come il Prc, che se ne fanno carico. Partire dai diritti e dai soggetti Adeguatamente dobbiamo riconoscere la forza con la quale nuovi avversari cercano di far pesare i contenuti regressivi di un rigurgito fondamentalista. E’ questo il caso delle gerarchie vaticane che, spaventate dalla crisi prodotta dalla precarizzazione, che penetra fin dentro il vivente, prodotta dalle politiche neoliberiste, sembrano preferire il rifugio nella riproposizione di un integralismo che imponga una morale e un costume. Credo sbagliata una risposta simmetrica a questa offensiva: contrapporre l’anticlericalismo a un rinnovato clericalismo. Noi dobbiamo partire dai diritti e dai soggetti. L’intransigenza con la quale difendiamo la legge 194 trae da questo un punto di forza. Anzi, dobbiamo coniugare la difesa senza alcuna incertezza delle conquiste di civiltà degli scorsi anni, con l’estensione di nuovi diritti, dal riconoscimento dei Pacs a una serie di interventi antidiscriminatori nei confronti delle differenti scelte nella affettività e nella sessualità. Anche la discussione sulla Costituzione Europea, dopo il fallimento della Convenzione, sancita dai referendum popolari in Francia e Olanda, deve ripartire da qui: l’affermazione di nuovi diritti del lavoro, sociali e di cittadinanza. Rilanciare l’iniziativa internazionale Anche i punti di sofferenza internazionali, la lotta decisiva contro la guerra, non possono essere indagati secondo una ripetizione stanca di obiettivi che non colgono come la situazione vada modificandosi di fronte a noi. Ne cito due: l’Iraq e la Palestina. La guerra dimostra chiaramente il fallimento della strategia nordamericana. In Iraq cresce la forza dell’opposizione alla occupazione militare, segnalata anche dai sondaggi, da dove emerge che l’80% del popolo iracheno chiede la fine dell’occupazione militare. Negli Usa medesimi, il disagio e la critica alla guerra crescono. Ma è altrettanto evidente come la crisi non determini di per sé la fine dell’occupazione militare. Anzi, è aperto anche lo scenario opposto che prospetta un devastante ampliamento del teatro di guerra. In questo contesto, dobbiamo mettere il tema del ritiro delle truppe come elemento di vera discontinuità e come uscita dal sistema di guerra. Anche il rapporto Israele Palestina chiede di essere indagato dentro le novità che si sono prodotte. L’ispirazione di “Due Stati per Due Popoli” mantiene tutta intera la propria validità, così come è centrale il nostro sostegno ai palestinesi e alle ragioni della pace. La novità del ritiro da Gaza va posta non nelle conseguenze sul conflitto ma, invece, su quelle che investono Israele (la fine della strategia della “Grande Israele”) e la sua configurazione politica. La rottura nel Likud e le novità dentro il Labour parlano di queste ricadute che terremotano la situazione. Dentro questo nuovo quadro, dobbiamo riproporre la capacità di una forte iniziativa politica proponendo la trattativa, il negoziato come rottura del sistema di guerra. La sinistra critica, il Partito della Sinistra Europea in particolare, possono essere protagonisti di questa iniziativa. Il Partito della Sinistra Europea dimostra la sua forza e la sua capacità di rappresentare una novità importante nel panorama internazionale. Lo sguardo è sempre quello della centralità dei diritti del lavoro e delle persone e con questo spirito affrontiamo il viaggio che ci apprestiamo a compiere in Cina e che è un segno del rilievo assunto dalla Sinistra Europea. Il lavoro comune che ci ha proposto Chavez, per un incontro tra la Sinistra Europea e la sinistra latinoamericana sui temi di fondo del rifiuto della guerra e della globalizzazione neoliberista, rappresenta un punto di applicazione che riteniamo di grandissimo valore per le potenzialità che si possono esprimere ed attivare. n Il nostro programma Il tema del rapporto tra il programma dell’Unione e il nostro programma va precisato. Il nostro programma lo possiamo ritrovare nelle elaborazioni più recenti, il programma presentato alle recenti elezioni europee e il profilo dell’impostazione che abbiamo presentato alle primarie. Proponiamo un aggiornamento di questo nostro programma, non come alternativo a quello dell’Unione ma che sia “oltre “ quello. Un “oltre” che va declinato in senso temporale (non solo un programma di legislatura ma un programma che guarda all’Italia dei prossimi 10- 15 anni), un “oltre” che va declinato nel rapporto tra il programma di governo e il percorso di trasformazione, l’alternativa di società che è l’ispirazione della nostra iniziativa. Un nostro programma che vada nella direzione della costruzione del programma fondamentale. Un nostro programma nel senso, non solo di un programma di Rifondazione ma della sinistra di alternativa. Proponiamo, cioè, una precipitazione della costruzione della sinistra di alternativa, dentro il contesto della definizione del nostro programma. Il programma dell’Unione La discussione sul programma dell’Unione è entrata nella sua fase decisiva. I tavoli di discussione tematica stanno dando contributi, frutto di un lavoro importante. Un lavoro che le nostre compagne e i nostri compagni hanno attraversato con un impegno significativo che trova nelle acquisizioni raggiunte primi punti di vero avanzamento. Un miglioramento netto, su tanti punti generali e specifici, rispetto al dibattito pubblico in cui spesso l’Unione si dibatte. La nostra divisa, quella con la quale abbiamo affrontato questo lavoro, è stata non la caratterizzazione del Prc (non abbiamo bisogno di questo, lo faremo nel “nostro” programma come prima delineato) ma la ricerca dello spostamento a sinistra dell’asse programmatico dell’Unione. Proponiamo, dopo il seminario unitario degli inizi di dicembre, un punto di verifica seminariale dell’intero gruppo dirigente del Partito, un seminario congiunto con le realtà dell’associazionismo e dei movimenti che ci hanno chiesto questo rapporto come leva fondamentale per alimentare un rapporto vero con il Paese reale. Per questo non abbiamo intenzione di determinare elementi di centralizzazione del confronto ma di mantenerne il carattere decentrato e di coinvolgimento ampio dei soggetti. Accanto a elementi di importante avanzamento, registriamo una criticità di fondo che riguarda la politica macroeconomica e l’impianto complessivo della politica economica e sociale. Lo diciamo con grande chiarezza: la politica dei due tempi non è accettabile e non è proponibile, così come non è accettabile l’assolutizzazione del tema del risanamento e della riduzione del deficit come elemento sovraordinatore, specialmente nella prima fase del nuovo governo. Consideriamo questo, una sorta di boicottaggio dell’Unione. La prima fase del governo, infatti, deve caratterizzarsi sull’elemento della distribuzione del reddito (l’aumento delle retribuzioni reali per salari e pensioni e interventi diretti a colpire le rendite, l’evasione, la speculazione finanziaria). Anche l’intervento demolitorio delle principali norme varate dal governo Berlusconi, intervento che riproponiamo con forza, ha un senso in quanto è indirizzato lungo la linea di una acuta discontinuità sulle politiche macroeconomiche. Una precipitazione nella costruzione della sinistra di alternativa Il cuore della proposta politica che avanziamo, a nome della segreteria, a questo Cpn è la seguente: determinare una precipitazione nella costruzione della sinistra di alternativa. Il tempo dell’attesa e della discussione astratta è finito. Proponiamo quindi un salto: l’avvio di una fase per una prima configurazione della sinistra di alternativa attraverso una proposta compiuta in un tempo breve, concentrato e definito (due, tre mesi). Cosa non proponiamo? La federazione tra forze politiche, peggio che mai, una federazione tra forze politiche a fini elettorali, tale che, cambiando la legge elettorale, si modifica pure il carattere della proposta, come sta avvenendo per altri. Proponiamo, al contrario, di dare vita a una soggettività politica condivisa tra forze differenti, che si sono incontrate in questi anni in un comune percorso dentro i movimenti e, in questa fase recente, dentro il confronto delle primarie. Una aggregazione per la quale non è sufficiente un’intesa programmatica ma serve una cultura politica condivisa e che trova come riferimento l’irruzione dei movimenti e gli elementi di innovazione che Rifondazione ha contribuito a promuovere. Su questa base condivisa la sinistra critica può ridefinirsi in un rapporto di connessione stabile. I riferimenti per questa costruzione sono rappresentati dal Partito della Sinistra Europea e dalla straordinaria esperienza delle primarie. Sul successo del congresso di Atene della Sinistra Europea, abbiamo già parlato. Vorrei solo segnalare la crescita di consenso (basta vedere l’espansione della Linkspartei in Germania) e l’interesse che è segnalato anche dalla richiesta di nuovi ingressi (come è il caso della formazione britannica di Respect). Le primarie hanno rappresentato una vera occasione di partecipazione popolare, hanno attivato una ricchezza di esperienze il cui patrimonio non va disperso (comitati, laboratori territoriali, ecc.). Ciò che proponiamo, per dirla con una sintesi, è la costituzione di una Sezione italiana del Partito della Sinistra Europea nella quale il Partito della Rifondazione Comunista, soggettività (in quanto tali o nelle loro espressioni più rilevanti) che sono disponibili a questa esperienza, singole personalità che già hanno aderito alla Sinistra Europea o che intendano farlo, possano incontrarsi, darsi una configurazione e compiere un percorso comune che attraversi le scadenze elettorali, facendo di esse una tappa importante della costituzione e della visibilità di questa soggettività ma che sappia proiettare questo percorso oltre quelle scadenze. In questo senso, decidiamo una vera apertura delle nostre liste. Il segno dell’apertura delle liste non è per noi una novità, il punto però non è solo la consistenza di questa apertura ma il suo diverso carattere: essa non consiste nell’aggiungere agli eletti di Rifondazione una quota di indipendenti cui il Partito offre una possibilità, ma nell’essere quelle candidature espressioni delle soggettività e delle esperienze che, con Rifondazione Comunista, decidono di costituire una relazione stabile dentro il Partito della Sinistra Europea. Le elezioni politiche possono essere un momento catalizzatore di una prima fase di questo progetto che prende così una forma e una visibilità. Un confronto e una apertura che non mettano in discussione il carattere unitario dei gruppi parlamentari che andremo ad eleggere, così come il simbolo del Prc con il quale ci presenteremo al confronto elettorale. |