Comitato Politico Nazionale 17 - 18 settembre 2005 Interventi 1 Imma
Barbarossa Sono molto d’accordo con le linee di programma esposte su “Liberazione” da Fausto Bertinotti, che mi paiono delineare una vera e propria carta di intenti su cui lavorare. Ad esempio, sulle questioni della democrazia e della difesa della costituzione, che non può essere solo una battaglia parlamentare ma deve assumere un vero e proprio carattere di percorso di ricostruzione di un tessuto sociale, politico, culturale di “tipo nuovo” (si pensi alla democrazia di genere e al superamento nei fatti della famiglia tradizionale fondata sul matrimonio). Su questo versante stiamo lavorando con Franco Russo in una sorta di interfaccia (se la parola “ambiguità” intesa in senso etimologico), con il forum sociale europeo (per la costituzione europea) e con giuristi/e e costituzionalisti/e. La Costituzione italiana va difesa (anche con critiche al titolo V modificato durante il governo di centrosinistra) perché rappresenta anche il testo e il contesto su cui sviluppare lotte sociali; provo a fare qualche esempio, lotta alla precarietà come diritto alla dignità umana, l’autonomia della magistratura, le garanzie costituzionali, la laicità dello stato. A questo proposito penso che abbiamo impropriamente rimosso la questione della invasività delle gerarchie ecclesiastiche e anche del sacro e della religione non solo nella vita pubblica ma anche nelle coscienze e nella soggettività singola e collettiva. Occorre sviluppare una critica profonda, radicale che incroci anche paure e insicurezze di massa, in nome di una etica pubblica laica, uno spazio di convivenza e differenze fondato sul nesso personale/politico. Voglio correre il rischio di apparire strutturalista e meccanicista, per dire che la parte della relazione del comp. Bertinotti che riguarda i concetti di “crescita e decrescita”, non mi convince. Ritengo, infatti, che un partito comunista abbia, ogni tanto, il dovere di capire le cause strutturali dei fenomeni che si trova ad affrontare. Mi pare che l’attuale momento sia caratterizzato dalla grave crisi recessiva mondiale che la classe dominante, la borghesia, è incapace di affrontare e di risolvere. Questo produce, da una parte, politiche economiche sempre più restrittive nei confronti dei ceti subalterni, dall’altra, la fine della spinta propulsiva della borghesia come classe capace di produrre innovazione e sviluppo. Questa incapacità, a sua volta, determina quella involuzione democratica e di valori che il nostro Segretario ha giustamente denunciato come “crisi di civiltà”. L’attuale momento non è, quindi, assimilabile a quello del primo centro sinistra dove, in effetti, si ottennero grandi riforme, ma in un clima economico che era, allora, espansivo. Oggi tutto ciò non è più possibile. Mi pare, quindi, di poter affermare che la borghesia ha, con ogni evidenza, esaurito la sua funzione storica. Ne deriva, quindi, che ogni margine riformista è oggi precluso. Il compito di un partito comunista dovrebbe essere, in tali condizioni, quello di riguadagnare al proletariato, di cui va capita l’attuale strutturazione, quote del potere perduto nei lustri scorsi. Anche alla luce di ciò, mi sembra gravemente sbagliato l’atteggiamento da noi assunto nei confronti della legge “proporzionalista” proposta dalla casa delle libertà. Intendiamoci, così com’è formulata, essa si configura in effetti come una “legge truffa”. Ma noi avremmo dovuto denunciarne gli elementi truffaldini e dichiararci disponibili a ragionare attorno ad una modificazione del testo proposto. Avremmo intercettato anche il malessere del centrodestra acuendone la crisi. Il non averlo fatto mette in luce una nostra subalternità, seppur inconscia, alle compatibilità del centrosinistra. Abbiamo, persino, utilizzato il peggiore degli argomenti prodiani, affermando che una legge elettorale non si cambia alla vigilia del voto. Storicamente è vero l’esatto contrario. Ogni nuova legge elettorale, dal ’92 in poi, è sempre stata introdotta prima del voto, anche per non delegittimare le nuove rappresentanze elette. Abbiamo creato disorientamento in chi ci ha sempre visti come una forza proporzionalista e abbiamo perduto l’occasione di condurre una prima battaglia per la riconquista di un sistema proporzionale che è garanzia di una nostra autonomia politica e di quella del proletariato. Vorrei concentrarmi sulla questione della legge elettorale, che va colta in tutta la sua complessità. È una partita cruciale. Il sistema maggioritario è nemico della democrazia, perché viola il principio di eguaglianza e perché provoca una potente pulsione centrista. Su questo e sulla necessità di tornare al proporzionale siamo d’accordo. Dove ci dividiamo? Evidentemente su come rispondere alla proposta della CdL in materia elettorale. Due aspetti vanno ben distinti. Il primo è il motivo per cui la destra avanza questa proposta. Si tratta del tentativo di ribaltare i pronostici delle elezioni. Questo intento si riflette sul contenuto della proposta, irricevibile perché fondata su espedienti truffaldini. Ma c’è un secondo aspetto, altrettanto rilevante. Questa proposta ha rimesso in circolazione l’idea del ritorno al proporzionale, riaprendo una questione che negli ultimi dieci anni è stata tabù. Questo fatto cambia uno scenario che peraltro conosciamo benissimo. Ci sono forze come il nostro partito che vogliono una riforma in senso proporzionale e altre che non la vogliono affatto. È possibile che noi si risponda alla proposta della destra esattamente come le forze dell’Unione che non sono soltanto contro questa proposta, ma anche contro il proporzionale? Si assicura che il discorso si riaprirà dopo le elezioni. È poco credibile, perché Prodi, Fassino, D’Alema e Rutelli non hanno mai accennato a un ripensamento su questa materia. Quello della legge elettorale è un terreno fondamentale che incide sulla costituzione e sull’autonomia dei partiti. Per questo, trattandone, bisognerebbe evitare di far prevalere considerazioni contingenti. Quella che si è aperta con la proposta della destra è una partita chiave, nella quale dovremmo recuperare in pieno la nostra autonomia, dichiarandoci pronti a dare il nostro contributo per introdurre una buona legge proporzionale già nel corso di questa legislatura. Non credo che le primarie costituiscano una forma avanzata di democrazia. Troppo permeate di leaderismo e di relazione individuale con il personaggio. C’è molta distanza tra la democrazia del conflitto, della partecipazione organizzata, con il messaggio che invia il “postit”. Eppure non è questa la ragione principale della mia contrarietà allo strumento. Non lo è nemmeno la constatazione della esclusività con cui è stata presa la decisione, comunicata a mezzo stampa e senza la minima consultazione degli organismi dirigenti. Insomma, si poteva convocare un Cpn a luglio o, almeno, la direzione. La ragione principale del dissenso muove invece dal fatto che con le primarie Rifondazione accetta preventivamente l’accordo di governo accettando il regolamento e la bozza di programma comune dell’Unione e, soprattutto, chiude un suo ciclo storico: da forza esterna al centrosinistra si pone oggi come forza compiutamente interna a quello, sia pure sotto forma dell’Unione, incaricata non più di costruire una sinistra alternativa ma “di spostare a sinistra l’Unione”. E’ un cambio di passo rilevante che dovrebbe farci riflettere. Un passaggio che avviene proprio nel mentre l’Unione, con le polemiche estive sul capitalismo bancario, mostra la sua vera faccia: espressione degli interessi della borghesia italiana, dilaniata da uno scontro tra borghesia “nazionale” e borghesia “europeista” (e tra l’altro ci servirebbe davvero un’inchiesta, fatta da noi, sul capitalismo italiano). Ma questo scontro avviene tutto nel centrosinistra e non riguarda per nulla la destra. Tanto che, per dirla con una battuta, spostare a sinistra l’Unione, oggi rischia di somigliare allo spostamento a sinistra… dell’Unipol. Il punto è che il riformismo, di fronte alla crisi del liberismo, non reagisce prospettando un’alternativa ma gettando un’àncora di salvezza a quello proponendosi come carta di ricambio. E l’Unione si propone come carta di ricambio alla borghesia italiana delusa e insoddisfatta dall’azione di governo di Berlusconi. Diceva Bertinotti in un’inter vista di quest’estate che le primarie “servono a riempire un vuoto”. Ma cos’è questo vuoto e perché si è determinato? Stiamo parlando del movimento di cui abbiamo parlato in questa sede decine di volta sempre per smentirne la crisi ma senza mai analizzarne seriamente la situazione. Io credo che del movimento viva ancora il depositato di coscienza critica alimentato dalle mobilitazioni degli ultimi anni ma che questo si accompagni a una fragilità sociale, a un’inefficacia nei risultati e a una solitudine delle lotte in corso, come dimostra quella del Sult. Fare leva su questa presunta forza rischia di farci fare la fine di Willy il Coyote che cammina nel vuoto per poi accorgersi che gli manca la terra sotto i piedi e sfracellarsi quindi al suolo. Il rischio per il nostro partito è esattamente questo. E quindi, invece dell’Unione, ci servirebbe un’unione sociale per rilanciare, con le forze di cui disponiamo, una ricomposizione dei fronti di lotta, una ricostruzione di soggettività critica, di forza sociale: la manifestazione del 15 ottobre, che dovrebbe vivere come una grande manifestazione sociale, può andare in questa direzione. E’ questo, del resto, l’unico terreno per far vivere anche la sinistra alternativa. Altrimenti prevalgono i terreni più politicisti siano essi le primarie o la lista Arcobaleno. Abbiamo bisogno di un ambito in cui recuperare il rapporto con le forze di movimento, le associazioni, i sindacati e costruire una Sinistra alternativa che sia innanzitutto alternativa al riformismo e al centrosinistra e che abbia un chiaro profilo anticapitalista. Stiamo assistendo, invece, al paradosso, del riformista Lafontaine che non accetta di fare un governo con Schroeder mentre noi, rivoluzionari, finiamo nel governo di Prodi. Care compagne cari compagni, della relazione del segretario ho condiviso i passaggi inerenti la battaglia che dovremo come partito mettere in piedi in occasione della prossima legge finanziaria. Per quell’appuntamento si deve mettere in piedi una mobilitazione imponente e senza tentennamenti, al cui centro venga posta la centralità delle politiche del lavoro. Io sono un operaio metalmeccanico di quel Mezzogiorno in cui il livellamento verso il basso delle condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori assume proporzioni non più sopportabili. Difficoltà accresciute da episodi sempre più frequenti come quello accaduto nelle scorse settimane a Taranto: non è più accettabile che per salari da fame e condizioni di lavoro disumani si debba morire. La battaglia per salari più alti e per il rilancio della sicurezza sui luoghi di lavoro deve diventare la centralità della nostra proposta anche all’interno delle primarie: dobbiamo trasformare questo strumento sbagliato in una opportunità finalizzata al conseguimento del migliore dei risultati. Non ho invece condiviso il ragionamento che si fa intorno al proporzionale. Sono consapevole del tranello che si nasconde dietro questa farsa proporzionalista che l’attuale governo vuole imporci. Il tentativo è chiaro e tutto deve essere messo in moto per rigettarla. Ma allo stesso tempo non possiamo essere noi comunisti che in questi anni abbiamo fatto anche della battaglia proporzionale una battaglia di civiltà e democrazia ad arroccarci sulla difesa del maggioritario. Rigettare l’attuale provocazione del governo non può e non deve rappresentare la rinuncia al ritorno ad un proporzionale senza truffe. Qualora ciò dovesse accadere saremmo di fronte ad una involuzione strategica con la quale la “connessione sentimentale” con le forze popolari diventerebbe una stolta chimera. Sarebbe un grave errore da parte nostra se discutessimo il merito della legge elettorale, saremmo completamente fuori tema. La destra, infatti, ha proposto la modifica delle legge elettorale non perché si scopre improvvisamente proporzionalista, ma perché ha paura di perdere le prossime elezioni. Inoltre, siamo davanti ad una manovra di palazzo che serve ad alzare un polverone con l’obiettivo evidente di nascondere il merito della prossima legge finanziaria. Tutto ciò mentre si sta costruendo una nuova partecipazione dal basso e si è attivato un processo democratico che vede uomini e donne mobilitarsi per partecipare alle elezioni primarie. Le primarie sono un terreno di battaglia politica che nulla hanno a che vedere col processo di americanizzazione della politica: basterebbe solo il fatto che negli Stati uniti votano esclusivamente gli iscritti ai partiti mentre in Italia si sta costruendo una partecipazione diffusa. L’importanza delle primarie è molto percepita all’esterno del nostro partito, mentre troppe resistenze vi sono al nostro interno: qualche compagno si è perfino rifiutato di raccogliere firme e qualcuno ha dichiarato che non voterà per Bertinotti alle primarie. Tutto ciò mostra che spesso il nostro dibattito interno è più arretrato rispetto ai processi della società. Con le primarie si sta anche costruendo il programma. È evidente che alcuni temi che prima erano oggetto di riflessione di una minoranza, stanno lentamente diventando patrimonio diffuso del popolo dell’Unione: dalla pace al ritiro delle truppe in Iraq, dalla tassazione delle rendite all’abolizione delle leggi vergogna di Berlusconi, dall’abolizione dei cpt alla cancellazione della legge Moratti. Forse non ci siamo neanche accorti che l’Unione ha già raggiunto un’intesa programmatica su un punto importantissimo, infatti la scelta di far votare i migranti alle primarie è eviden temente il primo passo per una legge di modifica della cittadinanza per diritto di sangue che vige nel nostro Paese. La costruzione dell’appuntamento delle Primarie può e deve diventare lo snodo di un processo in cui l’efficace conoscenza della realtà sociale ci permetta di agire proficuamente verso inedite e disomogenee domande di politica. Scegliendo la cifra della partecipazione per connotare la campagna verso il 16 ottobre abbiamo, in realtà, avviato una narrazione della società alternativa a quella proposta negli ultimi anni dalle centrali politiche ed economiche che guidano il Paese. Questa operazione, seppur imperfetta e grezza, recupera delle disponibilità soggettive, che vanno colte e valorizzate alfine di ricostruire luoghi, categorie e linguaggi attraverso i quali la politica torni a consistere. Scommettendo dunque sulla partecipazione dobbiamo essere disponibili ad indagare senza pregiudizi ogni esperienza di protagonismo sociale e collettivo. In questo senso possiamo affrontare le nuove pratiche di comunità, sapendo che la loro carica di ambiguità va valutata criticamente e non semplicemente rifiutata. Non è possibile infatti non vedere come in questi anni si siano sviluppate dinamiche comunitarie che, oltre a proporre vertenzialità locale, hanno collegato quest’ultima a principi generali e universali come la difesa dei beni comuni. Il nostro compito è quello di lavorare ad una composizione di ogni emergenza sociale positiva in grado di segnalare una ripoliticizzazione della società. Esprimo un dissenso profondo e preoccupato sulla rotta generale del partito. Le vicende di questa estate sui casi Antonveneta e Unipol hanno mostrato una volta di più che il centro dell’Unione (Margherita e maggioranza Ds) esprime gli interessi e le contraddizioni della grande borghesia italiana, contendendosi l’egemonia sulla sua rappresentanza politica. Gli indirizzi programmatici del centro ne sono il riflesso: dalla rivendicazione in politica estera di “un rapporto privilegiato con gli Usa e di una maggiore capacità di impegno sul versante della difesa” (leggi spese militari) sino all’annuncio di un programma di risanamento finanziario per la prossima legislatura, basato su “misure impopolari e inevitabili sacrifici”, come Prodi ha candidamente dichiarato su “La Stampa” del 4 settembre. Le primarie hanno un rapporto con questo scenario. Prodi le ha chieste non solo come mezzo di riequilibrio verso la maggioranza della Margherita, ma come forma di investitura popolare diretta su cui far leva per rafforzare il proprio futuro ruolo di premier nella gestione delle politiche dei sacrifici. Non a caso il 20 giugno, giorno del varo delle primarie, Prodi ha chiesto e ottenuto da tutti i partiti della coalizione un impegno di legislatura vincolante, pena il ricorso, in caso di defezioni, a elezioni anticipate: un patto di tipo presidenzialista che rafforza i poteri del premier rispetto alla sua coalizione e maggioranza. Qui sta la responsabilità del nostro partito sulle primarie: quella di partecipare al processo di consolidamento di una prospettiva politica che si volgerà contro i lavoratori. Non mi sfugge il fatto che la candidatura Bertinotti possa catalizzare domande positive di svolta, in aperta diffidenza verso il centro dell’Unione: ma proprio la prospettiva di governo dell’Unione, a braccetto col centroliberale cozza di fatto contro quelle domande e le subordina ad uno sbocco opposto. In questo quadro appaiono del tutto subalterne le opzioni “critiche” di Ernesto ed Erre, che si limitano a rivendicare uno “spostamento a sinistra dell’Unione”, o attraverso una maggiore pressione negoziale o attraverso una maggiore pressione di movimento. Il punto non è continuare ad alimentare l’illusione in una politica di pressione sulla borghesia, ma di ribaltare l’intera impostazione politica del partito. Non si tratta di spostare a sinistra l’Unione, ma di liberare dall’Unione la sinistra: ossia di rompere con le rappresentanze politiche di Montezemolo e Unipol e di sfidare l’intera sinistra italiana e tutte le rappresentanze dei movimenti di questi anni a raggrupparsi in un polo di classe indipendente. Solo rompendo con Romano Prodi e il centro dell’Unione è possibile rilanciare un’opposizione di massa e radicale a Berlusconi che miri a rovesciarlo dal versante dei lavoratori: un’opposizione oggi compressa e dispersa proprio dalla prospettiva dell’alternanza e dalle sue ricadute sui movimenti e le organizzazioni di massa (Cgil). Solo rompendo con Romano Prodi è possibile sviluppare la democrazia di massa dei lavoratori: che implica il diritto e la libertà di tutti i lavoratori, i movimenti, i protagonisti di lotta di questi anni, di definire in autonomia i propri programmi e le proprie prospettive, senza doversi subordinare a quel quadro precostituito di centrosinistra che le primarie concorrono a rafforzare. Progetto comunista non propone quindi al partito una politica di passività e autoisolamento. Propone al contrario una politica attiva, di aperto investimento nelle potenzialità di lotta del movimento operaio, capace di incunearsi nella contraddizione tra gli stati maggiori liberali dell’Unione e le esigenze delle classi subalterne; ma proprio per questo una politica che sciolga con nettezza il nodo di fondo: o l’unità con la borghesia contro i lavoratori, o l’unità dei lavoratori contro la borghesia. In ogni caso a questa coerenza Progetto comunista non ha mai rinunciato e non rinuncerà mai. Le “primarie” potranno riservare più di una sorpresa, misurare, tra l’altro, lo scarto di ciascun partito con il proprio insediamento elettorale, noi compresi. Rispetto la battaglia che si sta giocando è più che evidente come il nostro elettorato sia un passo più avanti riguardo al corpo del partito con i suoi distinguo e i suoi timori. Il rischio per Rifondazione Comunista è di divenire un mondo a sé con i suoi conflitti, le sue ritualità e la sua asfissiante vita correntizia. Due questioni, tra le altre, di fronte a noi: la cosiddetta candidatura “no global” e la “lista arcobaleno”. Riguardo alla prima va colto il dato positivo, al di là delle modalità e dei percorsi specifici, di una volontà a sconfiggere le destre. Va rifiutata nei confronti di quest’area ogni seppur minima tentazione di conflittualità. La “lista arcobaleno” pone invece un problema politico. Pur condividendo le ragioni della nostra impossibilità a convergere ora con questo cartello elettorale, credo, da un lato, sia auspicabile il superamento da parte di questa lista della soglia di sbarramento del 4%, dall’altro, la necessità di raccogliere una richiesta di unità che travalica la dinamica dei ceti politici. Va pensata una politica di rapporti e di relazioni nel quadro della costruzione della sinistra alternativa. E’ molto opportuna la scelta di convocare un convegno sulle tendenze in atto nel capitalismo, mondiale e italiano. Dire crisi della globalizzazione non basta, bisogna capire quale è la tendenza prevalente. Le vicende di questa estate hanno messo in luce la lotta tra i gruppi di potere in campo finanziario, e non solo, per posizionarsi meglio in vista di un nuovo governo. Capire di che si tratta è indispensabile per evitare che l’iniziativa di un governo di alternativa sia paralizzata dai poteri economici. D’altro canto anche i naturali referenti della sinistra moderata si stanno autonomizzando. Questo è anche il significato dell’attivismo di Unipol, che provoca divisioni dentro i Ds e l’Ulivo tra opposte fazioni. Ma è tutto il capitalismo mondiale che ripiega su stesso. La bolla immobiliare comincia a New York, passa poi per Londra e Parigi prima di approdare a Roma, anche se da noi la particolare storia del nostro capitalismo lo fa ancora più fragile. In realtà il capitalismo, accanendosi contro il lavoro, precarizzandolo e rendendolo servile, marginalizzando il conflitto sociale, si è priva di un potente fattore di innovazione quale è stato il conflitto stesso nei luoghi della produzione. Ne consegue una mancanza di innovazione senza precedenti. Il dibattito sul nostro giornale sulla decrescita mi pare che ci faccia arretrare da alcune acquisizioni che pensavo fossero ormai consolidate. Quando discutemmo del programma europeo affrontammo la critica al concetto di “sviluppo sostenibile”, termine in voga presso l’Ulivo. Tale critica, che univa compagni economisti e compagni ambientalisti, comporta non solo la demistificazione della crescita, ma anche il rifiuto di una concezione che tollera lo sviluppo solo fino a che non colpisce l’ambiente, Se si giunge a quel punto bisognerebbe deaccelerare, cioè decrescere. Quello che abbiamo proposto è invece altro, cioè fare della difesa e della valorizzazione dell’ambiente un fattore di un nuovo modello di sviluppo e di società. Mi pare che questa scelta avremmo dovuto appoggiare, ma non lo abbiamo fatto, nella discussione che si è aperta fra Italia Nostra e Legambiente, visto che le posizioni di quest’ultima sono sicuramente più vicine a quel tipo di critica allo sviluppo sostenibile. Riprenderemo la discussione, con toni più ragionati e ragionevoli, sulla rivista Alternative. Sulle primarie dobbiamo decidere alla fine di questo Cpn che tutto il partito, malgrado le differenze di giudizio tra noi, si impegni per il successo della candidatura di Bertinotti. Il segretario nel suo programma insiste sulla grande riforma e il “nuovo compromesso sociale dinamico”. Si tratta di una proposta di collaborazione di classe che si inserisce in un contesto di declino del capitalismo italiano. Mentre dal 2004 è in atto una ripresa mondiale, l’Italia resta sostanzialmente in recessione. La crisi è particolarmente evidente nell’industria. Secondo “l’Economist” per ridare competitività alle imprese italiane bisognerebbe tagliare 500.000 posti di lavoro. Gli investimenti sono ai minimi storici. Il deficit pubblico si attesta tra il 4 e il 5%. Manovre correttive e stangate saranno inevitabili. I nostri alleati e Prodi non parlano d’altro: risanamento, politiche europeiste e rigore finanziario. Non si capisce come in un tale contesto un futuro governo dell’Unione possa aumentare salari e pensioni. Le finanze pubbliche non possono sostenere alcuna politica keynesiana e redistributiva. Per colpire la rendita (che non è separabile dalla borghesia produttiva) è necessario aprire uno scontro che deve proiettarsi oltre le compatibilità capitalistiche. È inevitabile per questo rompere con Prodi e il centro borghese dell’Unione. La coalizione, da quando ne facciamo parte, non si sposta a sinistra ma va sempre più a destra. I movimenti non avanzano ma arretrano. Al congresso della Cgil per la prima volta dal ’91 non ci sarà un documento alternativo. Le primarie rappresentano l’ultimo anello che incatena il partito all’Unione. Gli effetti sulla nostra linea sono evidenti. Oggi non si sorprende più nessuno se nelle giunte di centrosinistra approviamo finanziamenti alle scuole private o firmiamo decreti di sgombero contro lavoratori immigrati come è avvenuto a Sassuolo. Ogni giorno che passa vengono marginalizzati i militanti più combattivi e si rafforzano le tendenze istituzionali. Ma l’esperienza sarà maestra, i compagni ovunque collocati nel dibattito interno, potranno verificare la linea nei prossimi mesi e anni. È compito di chi si oppone oggi alla svolta governista non cadere nell’isterismo settario ma preparare quell’alternativa che è necessaria al partito e ai lavoratori di questo paese. 1) Sulla legge elettorale mi sarei aspettato da Rifondazione Comunista un atteggiamento meno appiattito sul centrosinistra. Oltre a denunciare la strumentalità dell’iniziativa della Casa delle libertà, dovevamo farci carico di chiedere all’Unione di avanzare una proposta di legge elettorale priva dei caratteri truffaldini di quella del Polo e al tempo stesso capace di eliminare i disastri provocati da 10 anni di maggioritario. Non averlo fatto ha evidenziato una carenza di autonomia che mi preoccupa per il fatto in sé e anche per quello che può voler dire per il futuro. 2) Il segretario ha detto che vede l’irrompere nell’Unione di positivi elementi di discontinuità. Questa analisi non mi pare suffragata dai fatti, su una vicenda decisiva come le misure antiterrorismo varate da Berlusconi, non solo non vi è stata una proposta alternativa, ma vi è stato un voto bipartisan. Così come sul ritiro delle truppe dall’Iraq è ormai da tempo che non si riesce più a scrivere da nessuna parte la parola “immediato” e quindi nemmeno proporre tale posizione. Anche sulla crisi economica l’unica cosa precisa che Prodi ha proposto in questi mesi è una misura inaccettabile che risale agli anni 80 e 90: la riduzione del costo del lavoro. Inoltre nel documento sottoscritto da tutti i partiti dell’Unione – quindi anche da noi – vi è un punto grave, che recita: “Il rispetto degli impegni derivanti dai Trattati e dalle Convenzioni internazionali liberamente sottoscritti è un elemento essenziale della nostra azione”. Mi sembra chiaro il riferimento all’Alleanza atlantica e all’Onu che purtroppo, come mostra l’esperienza passata, possono fare o avallare azioni di guerra. Ecco perché io penso che quella cosa che Bertinotti giustamente propone anche nel programma, e cioè che bisogna rompere la legge del pendolo, sia difficilmente realizzabile. Per ottenerla sarebbe necessaria una discontinuità vera che, allo stato, non è data. Continuo a ritenere che sarebbe bene discutere le differenze prima del voto e non dopo. Le difficoltà che incontreremmo nel registrare prima delle elezioni la non praticabilità di un pieno accordo – difficoltà che ho ben presenti – sarebbero di gran lunga meno gravi, per il partito e per tutta la sinistra, del dover prendere atto che dopo le elezioni l’accordo non regge e che si determina di nuovo una rottura con il rischio di un ritorno delle destre alla guida del paese. 3) Sulle primarie ho un’opinione critica nei confronti dello strumento e credo sia legittimo mantenerla. Non ritengo che le primarie siano utili perché farebbero aumentare la partecipazione e metterebbero “il popolo” in condizione di decidere. Io sono propenso a pensare che ci troviamo di fronte a un rafforzamento della personalizzazione della politica, del presidenzialismo, del maggioritario. Ritengo dannosa l’estensione delle primarie a tutte le consultazioni elettorali. Credo che accettare questo processo non ci aiuti nella battaglia contro la tendenza in atto di concentrare sempre maggiori poteri nelle persone e negli esecutivi. Detto questo, sappiamo distinguere la critica dall’impegno e dal lavoro per il partito. A questo punto, favorevoli o contrari alle Primarie, siamo in campo e per tutti, non solo per una parte, è importante ottenere il massimo risultato perché ciò sarà utile per il partito e per la discussione programmatica. |