Comitato Politico Nazionale
25 - 26 ottobre 2003
Presentato da Marco Ferrando, Franco Grisolia, Matteo Malerba
Il documento respinto
Il Comitato Politico Nazionale del Prc nel mentre ripropone l’obiettivo
centrale della cacciata del governo Berlusconi, constata l’assenza
-a otto mesi dal varo della “svolta” del Prc- di qualsiasi
convergenza programmatica di fondo tra il Prc e il Centro liberale dell’Ulivo
(Margherita, maggioranza Ds, Sdi), e in ogni caso tra le ragioni dei
lavoratori e quelle dei poteri forti della società ben rappresentati
dal centro ulivista.
La prova dei fatti:
il centro dell’Ulivo non cambia
Il confronto pubblico di questi mesi, nel vivo dello scontro sociale
e politico del paese, ha smentito nel modo più netto, e su ogni terreno,
la tesi avanzata dalla maggioranza dirigente del partito circa un presunto
spostamento a sinistra dell’Ulivo. Solo un pregiudizio cieco può
ignorare questa verità. Nello scontro referendario sull’estensione
dell’articolo 18, il centro dell’Ulivo si è schierato
contro i lavoratori e i loro diritti dalla parte del padronato e dello
stesso governo. Nel vivo dello scontro sociale con Berlusconi in materia
di pensioni, il centro liberale dell’Ulivo avanza la proposta
di rilancio e accelerazione della contro-riforma Dini e si dichiara
disponibile a negoziare la stessa contro-riforma di Berlusconi. Di fronte
alla risoluzione Onu sull’Irak il centro dell’Ulivo riconosce
la legittimità dell’occupazione coloniale di quel Paese
frutto di una aggressione imperialista, e si dichiara disponibile a
sostenere permanenza ed ampliamento della presenza militare italiana.
Nel vivo del dibattito europeo sugli assetti istituzionali della Ue,
il centro dell’Ulivo sostiene in prima fila l’attuale proposta
di Costituzione europea, naturale rivestimento istituzionale dell’Europa
del capitale e dei banchieri. Sullo sfondo della tragedia quotidiana
dei migranti, assassinati dalle leggi anti-immigrazione, il centro dell’Ulivo
sostiene pubblicamente la linea europea dell’ulteriore blindatura
poliziesca delle frontiere, fonte prevedibile di altre tragedie. A ciò
si aggiungono le pubbliche dichiarazioni programmatiche di Massimo D’Alema
a difesa dell’intangibilità della contro-riforma Moratti
sulla scuola; le proposte pubbliche degli esperti economici della maggioranza
Ds sulla intangibilità di larga parte delle stesse politiche fiscali
di Tremonti “per dare certezze alle imprese”; le pubbliche
proposte di Rutelli sul ripristino delle gabbie salariali. Questo è
il programma dichiarato del centro liberale dell’Ulivo, dopo due
anni di movimenti di massa in Italia, e nonostante le resistenze e riserve
che si producono nella sinistra della coalizione. La tesi che i movimenti
potessero spostare l’asse programmatico dell’Ulivo si è
dunque rivelata una totale illusione e un obiettivo inganno. Rilanciare
questa illusione e quell’inganno - come se nulla fosse accaduto
e prescindendo dai fatti - è, tanto più oggi, del tutto improponibile.
Il centro dell’Ulivo con i banchieri
I fatti dimostrano una volta di più, giorno dopo giorno, i rapporti
organici del centro liberale con i poteri forti del Paese, con la finanza
europea, con l’imperialismo internazionale e la sua diplomazia.
La crisi latente del governo Berlusconi - con il distacco dal berlusconismo
di poteri e interessi che ne avevano sostenuto l’ascesa- rafforza
la candidatura del centro dell’Ulivo ad una rappresentanza politica
di quei poteri e quindi consolida i suoi rapporti con la borghesia.
I rapporti del centro ulivista con gli ambienti di Confindustria (vedi
la candidatura di Montezemolo ai vertici dell’Associazione padronale),
con le grandi banche (a partire da Banca Intesa, Unicredito, Monte dei
Paschi), con la Confcommercio di Billè, e persino con Bankitalia,
sono oggi più consistenti di ieri e in ulteriore espansione. La proposta
politica di unificazione del centro liberale in un unico partito, con
la fusione di Margherita e Ds, mira a dare a questi interessi dominanti
una rappresentanza politica centrale, stabile e organica, quale essi
non hanno dai tempi del crollo della Dc e che Forza Italia non è
stata in grado di incarnare. Il sommovimento parallelo che si sta producendo
nel Polo con lo sviluppo di un’operazione neo-centrista guidata
da Fini, Casini, ambienti cattolici di Forza Italia è anche una
reazione concorrenziale all’operazione ulivista, e a sua volta
contribuisce di fatto a sospingere tale operazione. Il processo di alternanza
borghese post-berlusconiana, indipendentemente dai suoi esiti, è
già dunque avviato da versanti diversi. E tanto più oggi si pone,
per noi comunisti, la questione decisiva: l’inserimento nell’alternanza
o la lotta per l’alternativa. Sono due prospettive opposte ed
inconciliabili, socialmente e politicamente. E non riguardano semplicemente
la collocazione istituzionale del Prc ma il nostro rapporto con la lotta
di classe e i movimenti di massa.
L’alternanza liberale è contro i lavoratori e i movimenti
Il centro liberale propone ai movimenti, alla Cgil, al Prc di fare da
sgabello alla sua alternanza liberale, contro i lavoratori e contro
i movimenti. Ai movimenti chiede sostegno, nel mentre respinge tutte
le loro ragioni di fondo (sociali, di pace, antiliberiste…), e
tutte le pratiche di lotta (dalla contestazione delle lotte Fiom in
Emilia al rifiuto di ogni “spallata” a Berlusconi). Alla
Cgil chiede di tornare ad una stabile politica di concertazione con
il futuro governo dell’Ulivo, superando ogni residua tentazione
politica “autonoma”. Al Prc offre ministri e un patto programmatico
di legislatura con l’obiettivo dichiarato di coinvolgerlo e corresponsabilizzarlo
alla propria politica e di usarlo come ammortizzatore dei movimenti
e strumento di loro contenimento e controllo: ed anzi l’integrazione
del Prc nel governo è parte importante dell’integrazione
subalterna dei movimenti e della Cgil. Aver accettato questa prospettiva
negoziale ha rappresentato un fatto gravissimo. L’ingresso del
Prc in un governo di alleanza col centro liberale, guidato dal suo massimo
esponente italiano ed europeo (Romano Prodi), inevitabilmente dominato
dal suo programma e dagli interessi dominanti di cui è portavoce,
rappresenterebbe un obiettivo tradimento delle ragioni sociali dei movimenti,
degli interessi dei lavoratori, delle potenzialità di due anni
di lotte. Quell’evento distruggerebbe di fatto, al di là
di ogni intenzione, le ragioni sociali e politiche del Prc e seppellirebbe
ogni credibilità dell’istanza stessa della “Rifondazione”.
Qualsiasi mediazione e compromesso di governo col centro ulivista, i
suoi programmi e le sue ragioni sociali segnerebbe la rinuncia non solo
all’alternativa ma alla stessa difesa degli interessi di classe
e delle ragioni dei movimenti. Prova ne sia che il confronto programmatico
di governo tra Prc e Ulivo –avviato dal 6 marzo 2003- ha già
rimosso per parte nostra ogni “condizione irrinunciabile”:
infatti ogni proposta programmatica davvero irrinunciabile –come
una proposta di abrogazione delle contro-riforme pensionistiche di Dini
e Berlusconi o di ritiro delle truppe dall’Irak- sarebbe in realtà
incompatibile con lo stesso tavolo negoziale con l’Ulivo.
Movimenti e governo:
la lezione amara dell’esperienza
Integrare i movimenti in quel tavolo, o pretendere di rappresentarne
le istanze a quel tavolo, significherebbe contribuire alla loro sconfitta
a tutto vantaggio dell’Ulivo e della borghesia italiana. Infatti
tutta l’esperienza storica dimostra che i governi di collaborazione
col centro borghese e liberale non solo non aiutano le ragioni dei movimenti
ma militano contro di essi. Non solo non valorizzano le ragioni dei
comunisti che vi partecipano ma le ignorano e le colpiscono. Sono governi
utili alla borghesia contro i movimenti e contro i comunisti. Non vi
sono eccezioni. Lo abbiamo visto con Prodi, con Jospin, col governo
attuale del Sudafrica, col governo Lula in Brasile: ovunque governi
che privatizzano e colpiscono la condizione popolare, ed anzi capaci
di misure anti-operaie più severe di quelle praticate dai governi precedenti;
ovunque governi che configgono con i movimenti nel tentativo di rimuoverli
o subordinarli; ovunque governi che logorano e compromettono i partiti
operai che li sostengono o che ne fanno parte, talvolta precipitando
autentiche loro crisi distruttive. Prender parte a un nuovo governo
Prodi, tanto più dopo la grande stagione dei movimenti di questi anni,
significherebbe semplicemente riproporre, con effetti più gravi, esperienze
già fallite in Italia e nel mondo. E ciò ancor più in un
quadro generale di crisi del capitalismo e del riformismo che annulla
reali margini ridistribuitivi e sostiene la continuità delle politiche
controriformatrici. Peraltro la pretesa di combinare una “sinistra
di alternativa” con una sua collaborazione di governo col centro
liberale - l’alternativa di classe con la collaborazione di classe
- è priva di ogni fondamento e credibilità.
La svolta del Prc non piace né ai movimenti né al
partito
Non a caso in tutta l’ala sinistra e radicale dei movimenti di
massa di questi anni –sia sul versante più strettamente sindacale,
sia sul più generale versante anti-liberista- cresce il disagio o l’aperto
dissenso verso la prospettiva indicata: prima ancora che quella prospettiva
si compia già essa agisce come fattore di disorientamento e depressione
delle spinte più radicali. Il suo compimento segnerebbe ben più gravemente
una rottura irrimediabile del Prc con le migliori aspettative ed energie
di lotta che si sono espresse nell’avanguardia operaia e giovanile.
Peraltro nello stesso partito cresce turbamento e amarezza per la svolta
intrapresa. Il consenso alla svolta è prevalentemente passivo e
dubbioso. Il dissenso è ampio e in crescita, ben al di là
di ogni steccato di mozione. Vasto è il disorientamento nei circoli
e nelle federazioni. Il solo avvio della svolta demotiva le energie
migliori e più combattive del nostro partito e rischia di alimentare
disimpegni e passivizzazioni. Il compimento della svolta, con l’ingresso
del Prc nel governo dell’Ulivo produrrebbe effetti irreparabili.
Cacciare Berlusconi sÏ, governare con l’Ulivo no
Il Cpn respinge questa prospettiva e avanza una nuova e diversa proposta
politica. Non solo al nostro partito ma all’insieme delle classi
subalterne del Paese, a tutti i loro movimenti di lotta, a tutte le
loro rappresentanze. Cacciare Berlusconi è una necessità
–anche con possibili accordi tecnici sul solo terreno elettorale-
a fronte del carattere reazionario di questo governo e della forte domanda
in tal senso dell’insieme del popolo della sinistra. Ma Berlusconi
va cacciato dal versante delle ragioni dei lavoratori e dei movimenti,
non dal versante opposto dei loro avversari di classe. Per questo il
Cpn si appella alla Cgil e all’insieme del sindacalismo anti-burocratico
e di classe, a tutte le rappresentanze di lotta di questi anni sul terreno
dell’antiliberismo e della pace, a tutte le forze che si sono
impegnate al nostro fianco per l’estensione dell’articolo
18, perché rompano col centro liberale dell’Ulivo; perché
rompano con i sostenitori delle controriforme pensionistiche e delle
occupazioni coloniali; e perché invece realizzino con noi, con
il Prc, la più ampia unità di lotta su un programma coerente di
mobilitazione che risponda alle ragioni comuni dei movimenti di questi
anni e miri a cacciare, su queste basi, il governo reazionario di Berlusconi.
E’ la proposta della costruzione di un polo di classe autonomo
e anticapitalistico in Italia.
Per una “spallata” a Berlusconi con una lotta prolungata
e radicale
E’ questa l’unica proposta, innanzitutto, che possa oggi
liberare tutte le potenzialità dell’opposizione di massa
a Berlusconi. Queste potenzialità sono state ben misurate dalla
grande partecipazione allo sciopero generale del 24 ottobre (nonostante
il limite profondo delle quattro ore), ma proprio per questo richiedono
tanto più oggi la continuità e la radicalità dell’azione
attorno a un programma unificante, e non il ripetersi di atti semplicemente
dimostrativi. Chiediamo quindi alla Cgil e a tutto il sindacalismo di
classe di promuovere un vero sciopero generale prolungato sino al ritiro
dell’attuale legge Finanziaria, alla caduta della manovra anti-pensioni,
alla cancellazione della Legge 30, alla conquista di un forte aumento
salariale unificante per l’intero lavoro dipendente. Peraltro
l’esperienza di lotta della Fiom in Emilia col ricorso a blocchi
delle merci, blocchi delle portinerie, picchetti e scioperi a oltranza,
mostra che rompendo le regole del gioco sul terreno della lotta e ricorrendo
alla forza di massa è possibile piegare le resistenze padronali
e strappare risultati. E’ una lezione per l’intero movimento
operaio italiano che va recuperata e generalizzata nella stessa lotta
per cacciare Berlusconi. Solo una “spallata” di lotta può
precipitare la crisi del governo e creare le migliori condizioni per
una prospettiva di alternativa di classe. Per questa ragione tutto il
centro liberale si oppone alla “spallata” a Berlusconi.
Per questa ragione il Prc la propone con forza al movimento operaio
e a tutti i movimenti. E impegna i propri militanti a lavorare in questa
prospettiva.
Per una alternativa di classe a Berlusconi
Più in generale la proposta del polo autonomo di classe è l’unica
proposta che possa coniugare la cacciata di Berlusconi con la costruzione
di un’alternativa di classe al berlusconismo e all’insieme
dei poteri forti e dei partiti che li rappresentano: un’alternativa
dei lavoratori e delle lavoratrici. Un’alternativa che- per essere
tale- richiede innanzitutto un programma di cancellazione di tutte le
controriforme sociali, politiche, istituzionali varate in questi dieci
anni sia dal centrosinistra, sia dal centrodestra. Pertanto a tutte
le forze del movimento operaio e dei movimenti proponiamo un programma
d’azione che congiunga gli obiettivi del necessario sciopero generale
alla rivendicazione dell’abrogazione di tutte le leggi di precarizzazione
del lavoro (a partire dal “pacchetto Treu”); del rilancio
della previdenza pubblica contro le leggi privatizzanti varate dal ’95
(Dini); del controllo operaio e popolare sui prezzi; di un vero salario
garantito per i disoccupati, fuori da ogni scambio con logiche di precariato;
della cancellazione delle privatizzazioni realizzate negli ultimi dieci
anni; del ritiro immediato delle truppe italiane dall’Irak e da
ogni altro Paese, assieme alla riduzione verticale delle spese militari;
di una lotta coerente per la difesa di spazi e diritti democratici,
contro leggi e istituti del maggioritario e della Seconda Repubblica,
per una legge elettorale pienamente proporzionale. Sono tutte rivendicazioni
essenziali per una svolta vera, e sostenute da un consenso potenzialmente
larghissimo nel popolo della sinistra e nelle classi subalterne. Sono
tutte rivendicazioni incompatibili col centro liberale e gli interessi
che questo rappresenta. Questa è dunque l’unità contro
Berlusconi che noi proponiamo: l’unità nell’autonomia
delle ragioni dei lavoratori e dei movimenti. In una parola: cacciare
Berlusconi, governare con l’Ulivo no.
Per un congresso libero e sovrano
Il Cpn ritiene indispensabile che sulla scelta di fondo del partito
possano esprimersi tutti i militanti del Prc e non solo i gruppi dirigenti.
Lo richiede la natura stessa dei problemi di orientamento che oggi si
pongono e le ricadute decisive delle scelte sul futuro stesso del Prc.
Lo richiede una domanda diffusa importante di chiarificazione, di approfondimento
politico, ma anche di poteri decisionali sulle scelte che sono per definizione
di tutto il partito. Diffusa è la lettura dell’attuale svolta
come un fatto di discontinuità e contraddizione con l’interpretazione
che a suo tempo fu data della linea dell’ultimo congresso. Per
questo il Cpn ritiene insostenibile un’eventuale pretesa di chiudere
la discussione con la consultazione degli organismi. CosÏ ritiene
assolutamente inadeguata un’ipotesi di “conferenza”
che abbia, nei fatti, carattere di puro convegno. Ogni convegno naturalmente
è ben accetto: ma l’essenziale è il potere democratico
reale di decisione dei militanti e degli iscritti. Il Cpn pertanto assume
l’impegno di avviare da subito il percorso di un congresso straordinario
del Prc come garanzia di confronto democratico paritario tra le posizioni
presenti e soprattutto di piena sovranità dell’intero corpo
del partito.
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Contrari 78
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