Comitato Politico Nazionale
25 - 26 ottobre 2003
Documento di astensione presentato da Gigi Malabarba, Flavia D’Angeli,
Franco Turigliatto
L’alternanza non è un’alternativa
Il dibattito che il nostro partito ha svolto finora ha dato la sensazione
che molti giochi fossero fatti e che si potesse correre il rischio di
una “espropriazione” politica in netto contrasto con l’andamento
dei movimenti degli ultimi anni dentro i quali il contributo di Rifondazione
è stato quanto mai prezioso: non possiamo correre il rischio che
questo percorso si incagli in una svolta moderata, né in un'involuzione
interna. Abbiamo bisogno, invece di rilanciare un progetto che poggi
su tre pilastri fermi: la costruzione del movimento e il suo rilancio;
la definizione di una sinistra alternativa all'altezza della fase; l'affermazione
di un'opposizione al governo Berlusconi che ne provochi la caduta e
faccia maturare le condizioni per una reale alternativa di società.
Occorre quindi fermarsi a riflettere meglio: il dibattito ha bisogno
di tempo, di partecipazione, di un coinvolgimento attivo del partito
ben oltre le difficoltà che si sono verificate in numerosi comitati
federali e regionali. Un dibattito che arrivi ai circoli, agli iscritti
e che si doti di forme condivise e di modalità innovative. Per
questo abbiamo proposto l'ipotesi di una conferenza programmatica. Apprezzando
la scelta di dotarci di questo strumento e sostenendo l’impegno
a rafforzare il movimento e a salvaguardarne l’autonomia scegliamo
di astenerci sul documento presentato al Cpn pur non condividendo la
proposta di un’alternativa programmatica di governo, punto dirimente
del nostro dissenso.
Costruire il movimento, rinnovandolo
Del movimento antiglobalizzazione si dice spesso che sia in crisi. Lo
si è detto in particolare in seguito alla guerra in Iraq, dove
la vittoria degli Usa ha alimentato l’idea che occorresse spostare
il conflitto sociale su un terreno pi_ “duro” – vedi
il dibattito interno all’area disobbediente – fuori dalle
“rituali” manifestazioni di massa, mentre ha spinto la politica
degli apparati del centrosinistra a ricandidarsi come unico luogo in
cui progettare alternative possibili.
Nel frattempo il movimento è andato avanti, in Italia ma soprattutto
a livello internazionale. A Canc_n ha ottenuto una vittoria tutt’altro
che simbolica; in Bolivia ha cacciato un presidente come de Lozada;
a Roma il 4 ottobre ha posto in primo piano il tema della Convenzione
europea e dell'altra Europa come mai era stato fatto; ha contribuito
all’esito della Perugia-Assisi; si prepara al Forum sociale europeo.
Eppure nel nostro dibattito resta un residuo di "sconfittismo"
come se l'esito della guerra in Iraq o quello del referendum sull'articolo
18 avessero stabilito che in fondo non c'è molto da fare sul versante
delle lotte sociali, che il movimento costituisca una parentesi da chiudere
rapidamente e che l'unica alternativa per un partito come Rifondazione
sia quella di adattarsi, sia pure criticamente, al bipolarismo istituzionale,
dato di fatto inoppugnabile. In questa prospettiva l'intera vicenda
del movimento resta imprigionata in un realismo privo di prospettiva
e in un politicismo esiziale per la "rifondazione della politica"
che, orgogliosamente, abbiamo auspicato in questi anni. L'ipotesi dell'accordo
programmatico con il centrosinistra, che ha inaugurato questo nostro
dibattito, rischia di contraddire il ruolo "rifondativo" del
movimento di massa, il suo carattere "costituente" che allude
alla necessità di nuove “istituzioni” del movimento
operaio: nuovi sindacati, nuovi partiti, nuove forme associative. La
crescita e lo sviluppo del movimento ha bisogno prima che di un'efficacia
politica, di un'efficacia sociale, quella stessa che i partiti, tutti
compreso il nostro, non hanno pi_ e che il sindacato stenta a conservare.
E questo ha bisogno di tempo, molto pi_ dei due anni trascorsi dal luglio
di Genova. E ha bisogno di verifiche, molte di pi_ dei parziali appuntamenti
elettorali che hanno contribuito non poco a far maturare quel senso
di sconfitta di cui parlavamo prima.
Pensare di rimediare all’efficacia traslando tutto sul piano delle
mediazioni politiche e di apparato è una scorciatoia impossibile.
E l’idea che Prodi e Fassino, Rutelli o D’Alema, interlocutori
obbligati di un accordo di governo, siano cambiati in relazione al movimento
di massa degli ultimi anni è essa stessa un’illusione. Altrimenti
cosa dimostrano le dichiarazioni sulla missione italiana in Iraq o sulla
riforma delle pensioni?
In realtà, nonostante la loro forza e il loro carattere strutturale,
i movimenti non hanno ancora ottenuto una modificazione concreta dei
rapporti di forza tra le classi e quindi una scomposizione e ricomposizione
dei soggetti politici. Il movimento operaio e sindacale, in particolare,
nonostante imponenti mobilitazioni, non è ancora in grado di rimettere
in discussione le politiche padronali sui luoghi di lavoro e la sua
convergenza con il movimento antiglobalizzazione riguarda i suoi gruppi
dirigenti, avviene cioè sul piano politico, ma non mette in moto
nuove sinergie sociali. Da questo punto di vista, la priorità
di questa fase storica, l'obiettivo del nuovo movimento operaio, è
centrale è consiste nella capacità di "comporre"
i bisogni e i diritti del vecchio e del nuovo proletariato. Questo non
sarà possibile sul piano degli accordi politici, costruiti dall'alto
delle segreterie di partito, ma solo sulla base di un'esperienza comune
che non può che maturare dal basso, in un percorso lento di mutuo
rinoscimento e di scambio di culture, linguaggi, pratiche. E' quanto
abbiamo appreso negli incontri tra il movimento antiglobalizzazione
e gli operai Fiat di Termini Imerese o Cassino. Pensare di rimediare
a questa debolezza strutturale con l’ausilio del governo, cioè
“dall’alto” ci sembra un errore i cui effetti possono
essere distruttivi per questa possibilità storica.
Il movimento va rilanciato preservandone unità e autonomia, superando
la sua forma attuale – quella degli accordi tra gruppi e associazioni
in cui manca partecipazione dal basso, vera chiave di volta per un movimento
degno di questo nome. Autonomia, unità e radicalità sono
le prerogative che hanno permesso di superare il dopo Genova, di organizzare
il Forum di Firenze, di reggere alla manovra di Cofferati e di arrivare
al 15 febbraio. Il movimento ha avuto il pregio di non essere autorefenziale
immaginando l’unità pi_ ampia quando questa sembrava a molti
impossibile: si pensi alla Fiom a Genova, alla Cisl in piazza il 15
febbraio o alla capacità di dialogo con la Ces il 4 ottobre. Ma
accanto a queste coordinate, il movimento ha bisogno di sperimentare
sul piano delle vertenze sociali e della conflittualità diffusa,
soprattutto in relazione alle dinamiche del mondo del lavoro. La battaglia
contro la precarietà è al tempo stesso indicazione di un
percorso necessario ed espressione di una difficoltà obiettiva.
E’ qui che si sperimenta il raccordo tra vecchio e nuovo movimento
operaio ma è ancora qui che si verifica la disgregazione dei rapporti
di forza sociali, la dispersione delle energie di classe e quindi la
fatica di una costruzione fondativa che, appunto, ha bisogno di tempo.
La concretezza dei contenuti riguarda anche il nodo delle pratiche e
delle forme di lotta. Non abbiamo mai condiviso forme di lotta fini
a se stesse, ansiose di legittimarsi sul piano della rappresentazione
simbolica e sganciate dai bisogni dei soggetti in carne e ossa. Quelle
stesse forme sono state appoggiate e teorizzate a dismisura anche dal
nostro partito spesso nell’illusione che attorno alla pratica
potesse costituirsi una soggettività di movimento. Oggi, al contrario,
vengono repentinamente criticate e osteggiate. Ancora una volta si rischia
di non andare al cuore del problema. Non esistono forme di lotta giuste
o sbagliate. La stessa dimensione della non-violenza se assunta in termini
astratti e ideologici può diventare paralizzante come la stessa
violenza fine a se stessa. Il problema è per cosa si lotta e chi
lotta. Le pratiche, se non danno vita a una soggettività, tuttavia
non sono disgiunte dai soggetti: gli occupanti di case, le occupazioni
di fabbriche, i picchetti operai possono anche essere dipinti come violenti
– e del resto non accade lo stesso ai contadini boliviani? –
ma esercitano un diritto inalienabile alla loro lotta. Che sarà
efficace e non minoritaria nella misura in cui sarà ampia e partecipata,
non delegata a poche avanguardie dotate di slancio guerresco e muscolare.
L’alternanza riformista
La costruzione del movimento è certamente uno dei fattori che potranno
aiutare a rafforzare un progetto di sinistra alternativa, anche se i
due soggetti non possono sommarsi né sovrapporsi. Pi_ complesso
il rapporto con il centrosinistra che pure il movimento ha saputo affrontare
in termini non settari né autoreferenziali come hanno dimostrato
i passaggi del Forum sociale di Firenze, il 15 febbraio scorso ma anche
il 4 ottobre.
E’ vero che il centrosinistra è oggi diviso e disarticolato
dalla pressione congiunta della crisi del liberismo e del movimento
di massa. Ma contestualmente assistiamo a una progressiva involuzione
negli orientamenti del gruppo dirigente centrale del centrosinistra,
Ds e Margherita, con il quale si dovrebbe praticare un accordo di governo.
Basta leggere i principali avvenimenti degli ultimi mesi. Sul fallimento
del Wto a Cancun, non solo Prodi o Fassino ma anche Walter Veltroni
ha dovuto pubblicamente esprimere il proprio rammarico. Sulla “riforma”
delle pensioni il segretario dei Ds continua a lanciare messaggi al
governo per “riformare il welfare”. Addirittura, dopo aver
firmato il progetto di inserire il ripudio della guerra nella Costituzione
europea alla marcia Perugia-Assisi, Fassino, D’Alema e Rutelli
si sono schierati a fianco della missione italiana in Iraq in seguito
al voto delle Nazioni Unite.
In realtà il nucleo centrale dell’Ulivo si presenta come
espressione moderata degli interessi della borghesia. La stessa proposta
della lista unica, del partito riformista di Prodi e D’Alema si
spiega in questa chiave, come percorso conclusivo della compiuta internità
dell’ex Pci-Pds-Ds agli interessi del capitale. Non può
esserci quindi alcun dubbio sulla natura sociale e sulla collocazione
di classe delle forze politiche portanti del centro sinistra e quindi
sulle loro scelte di fondo nella gestione del paese. Di fronte a Berlusconi
che si dibatte nella propria crisi, il centrosinistra si presenta agli
occhi della borghesia, italiana ed europea, come carta di ricambio,
come il classico progetto di alternanza. Non è un caso se quel
progetto viene avanzato nel vuoto pneumatico di un politicismo vecchia
maniera, in assenza di contenuti e di prospettive, tutto centrato sugli
effetti salvifici della candidatura Prodi: basterebbe un’analisi
attenta delle direttive della Commissione europea per rendersene conto.
Anche per questo riteniamo che non esistono le condizioni per un accordo
di governo con il centrosinistra e che al cedimento alla logica del
bipolarismo e quindi dell'alternanza, vada preferita la prospettiva,
difficile ma ineludibile, di un punto di riferimento di classe alternativo.
Battere le destre, rilanciare l’opposizione ora
Questa impostazione non riduce la necessità di battersi contro
il governo Berlusconi poiché le sue concrete politiche, non solo
sul terreno della giustizia, dell'informazione e della democrazia violata,
ma soprattutto sul terreno sociale e dei diritti del lavoro rischiano
di produrre guasti irreversibili. Ci sono lotte in corso, ci sono movimenti
di massa, ed è sulla disponibilità a un'opposizione politica
e sociale forte, e quindi su obiettivi qualificati, che si può
misurare la possibilità di un'alternativa. Sono quelle realtà
sociali e del lavoro, è quel movimento che deve entrare con i suoi
contenuti in questa discussione, ma sul serio. Altrimenti, si rischia
di entrare in rotta di collisione con le stesse ragioni costitutive
del movimento che, in assenza di un confronto sui contenuti, potrebbe
sentirsi espropriato delle proprie prerogative, risucchiato dalla vecchia
politica e rimpiazzato dallo sbocco istituzionale. L’opposizione
ha bisogno di contenuti qualificati sui quali costruire l’unità
necessaria e quuesto va fatto ora. L'applicazione della Legge 30, ad
esempio, va concretamente impedita ora, a partire dai rapporti di lavoro
che dipendono da tutte le amministrazioni pubbliche non gestite dal
centrodestra: un modo concreto per non lasciare isolati la Fiom, il
sindacalismo di base e tutte le sinistre sindacali che ne contrastano
l'applicazione e un modo di verificare il reale impegno delle regioni
e dei comuni ulivisti. I metalmeccanici vanno sostenuti ora nel mezzo
di una vertenza difficilissima e in cui la stessa rinnovata unità
di Cgil, Cisl e Uil è un’unità “a ritroso”,
provocata da Berlusconi e dal suo “tradimento” della Cisl,
non già da un ripensamento della concertazione o del Patto per
l’Italia. L’impegno per una democrazia sindacale va preso
ora, con la riproposizione di una legge che dia un segno tangibile alle
sinistre sindacali diversamente dislocate. Così come va fatta una
battaglia democratica per il ripristino del proporzionale contro la
logica del maggioritario. La battaglia per un nuovo meccanismo di tutela
salariale contro l’inflazione va lanciata ora indicando qual è
il meccanismo e quale difesa si vuole intraprendere anche sul versante
del minimo salariale e del salario sociale. La battaglia contro la guerra
e il militarismo va fatta ora chiedendo il ritiro di tutti i soldati
italiani impegnati in missioni di guerra e dichiarando questo ritiro
interno all’opposizione al nuovo modello di difesa europeo. La
Bossi-Fini va contestata ora sapendo che questo significa mettere in
discussione anche la Turco-Napolitano. Il no alla Costituzione europea
va pronunciato ora, dando corpo e sostanza all’ipotesi degli “stati
generali dell’altra Europa”, da intendere come un percorso
congiunto di elaborazione politica e di conflitto sociale sul piano
europeo in vista di una sorta di “15 febbraio sociale” a
livello continentale.
E’ questo il terreno dell’unità necessaria. Solo un
suo sviluppo può spostare in avanti i rapporti di forza e permettere
una relazione pi_ efficace e feconda tra “sociale” e “politico”,
nella prospettiva della rifondazione di una sinistra alternativa e di
un’alternativa di società.
Certamente, battere Berlusconi significa batterlo anche sul terreno
elettorale con le scelte tattiche e le convergenze necessarie a non
consegnare il paese alle destre, ipotesi che sarebbe folle non contemplare.
Si dice che la desistenza è impraticabile ma la desistenza ottenne
lo scopo per cui fu ideata, cioè battere Berlusconi. Non ottenne
invece lo scopo di governare con l’Ulivo: ma non fu ispirata da
questo. Del resto, l’impraticabilità dell’opzione
di governo, confermata dalla rottura del ’98, dimostra che governare
per aprire veramente una fase di alternativa alle politiche del capitale
e del liberismo richiede interlocutori politici disponibili a percorrere
questa strada e quindi rapporti di forza sociali molto diversi. Lo stesso
Schroeder aveva vinto le elezioni schierandosi contro la guerra all’Iraq,
ma, dopo aver appoggiato gli industriali contro il sindacato, sta colpendo
pensioni e stato sociale in misura tale da essere citato come esempio
da Berlusconi. Così come Lula in Brasile, che ha alle spalle un
ben diverso percorso politico e sociale nella costruzione del Pt sta
entrando in rotta di collisione frontale con tutte le organizzazioni
sociali e sindacali al punto da essere definito “presidente geneticamente
modificato” dal movimento dei Sem Terra.
Un programma per la sinistra alternativa
L'alternativa a Berlusconi, per essere davvero tale, è un programma
alternativo: di idee e di lotta antiliberista. La stessa questione dell’efficacia
politica, per essere tale, ha bisogno di proposte e di contenuti, di
obiettivi “ponte” tra bisogni sociali e necessità
di costruire un "altro mondo possibile". Il programma non
può certo essere inteso come un espediente per trattare un’alleanza
politica, né come esercizio letterario o di propaganda. E’
invece uno strumento di lotta, un metodo per far crescere il conflitto
sociale, per dotarsi di obiettivi credibili e ottenibili. Una forza
comunista ha oggi il dovere di proporre la rinazionalizzazione di settori
strategici dell’economia; la riduzione drastica delle spese militari,
il rifiuto della Nato e dell’esercito europeo e quindi il ritiro
immediato di tutti i militari all’estero; il ripristino di un
meccanismo automatico di difesa dei salari; uno stato sociale garantito
di cui salario sociale e pensioni per tutti e tutte siano i capisaldi;
una scuola pubblica e gratuita; una cittadinanza effettiva per tutti,
migranti e non, a partire dall’abolizione dei vergognosi Cpt;
una società sostenibile in cui l’ambiente non sia una variabile
dipendente ma un vincolo effettivo; una democrazia effettiva dai luoghi
di lavoro; un sistema elettorale democratico, quindi proporizionale,
e una democrazia partecipativa reale e non simbolica.
L’uscita dalla crisi, in Italia e in Europa, una prospettiva politica
in avanti non si darà con un accordo di governo ma con la costruzione
di un soggetto politico alternativo a questo presunto riformismo. Un
soggetto che assuma il terreno del programma, che costruisca il movimento,
che si renda disponibile a un’opposizione unitaria, dal basso
e sui contenuti. Un soggetto plurale, in cui possano mescolarsi forze
sociali e politiche; non la riproposizione di “ceti”, variamente
dislocati, non la somma di coloro che restano “fuori” dal
partito riformista ma un altro soggetto, un’altra prospettiva
politica. Un soggetto europeo che rompa le rigidità tradizionali
e si collochi nell'alveo di un anticapitalismo conseguente: innanzitutto
in un rapporto non subordinato alla socialdemocrazia e con un orientamento
chiaro, da subito, rispetto alla Costituzione europea.
Sarebbe quindi utile un percorso programmatico tra tutte le forze che
si riconoscono nelle discriminanti del movimento: l’antiliberismo
e il No, senza se e senza ma, alla guerra. Per questo è utile che
Rifondazione Comunista promuova una Conferenza programmatica aperta
a tutti i soggetti sociali e di movimento, che elabori i contenuti irrinunciabili
di un'alternativa a Berlusconi e al liberismo. Non per entrare in una
trattativa sindacale con il centrosinistra, ma per promuovere una battaglia
di massa che sia essa stessa sponda politica per le lotte in corso.
Evitando così alle forze di alternativa - tutte, non solo il Prc
- di essere messe sotto ricatto, paradossalmente, dall'avventura neocentrista
del partito riformista.
Le priorità della fase rimangono dunque il rilancio del movimento
di massa, con particolare attenzione al movimento dei lavoratori, l'opposizione
al governo Berlusconi e la costruzione di una sinistra alternativa.
Sono le coordinate dell’ultimo congresso di Rifondazione Comunista
che rimane il nostro orientamento.